lunedì 12 luglio 2010

USA: Il plutonio disperso è più del previsto

fonte: http://mazzetta.splinder.com

L’ultima analisi sulle quantità di plutonio disperso nell’ambiente negli Stati Uniti triplica i valori precedentemente riconosciuti. Nei pressi del solo sito di Hanford, dove si arricchiva il plutonio per le bombe nucleari, ne sarebbero state sepolte e disperse la bellezza di più di undici tonnellate e mezza, una quantità sufficiente alla costruzione di milleottocento bombe atomiche (1800) come quella lanciata su Nagasaki nella Seconda Guerra Mondiale.

Gli USA, pur da tempo ufficialmente mobilitati per risolvere il problema, la prendono con comodo,dopo qualche anno di studio devono ancora decidere se rimuovere il 90%,il 99% o il 99.9% del plutonio nella prevista bonifica e non hanno ancora brillantissime idee sul come fare.

Per ora sembra che l’orientamento sia per la soluzione al 99%, una pulizia capace di giungere al 99.9% sarebbe troppo costosa. Il plutonio è terribilmente nocivo e ha un tempo di dimezzamento della sua radioattività di ventiquattromila anni (24.000), il che significa che tra decine di migliaia di anni continuerà a uccidere chi vivrà nei pressi del deposito e chi berrà le acque che dovessero passare per quei terreni.

Tradotto significa che, restando così le cose, per costruire le bombe atomiche si uccidono (perché è sicuro che ne moriranno anche a dispetto di una bonifica seria) un numero imprecisato di persone che ancora devono venire al mondo, nei secoli dei secoli. Ed è appena il caso di ricordare che anche le oltre centomila tonnellate di plutonio prodotte ad Hartford e che sono finite nelle testate nucleari, rappresentano una quantità dieci volte superiore di plutonio che prima o poi dovrà essere stoccato da qualche parte.

Discorso che vale allo stesso modo per le scorie nucleari, che sono una quantità ancora più grande e per le quali non c’è ancora al mondo un solo deposito che si possa considerare sicuro per migliaia di anni, per non dire che non si sa davvero chi dovrebbe sorvegliare per millenni questo genere di depositi e a carico di chi dovrebbero essere i costi di questo stoccaggio quasi perenne, l’unica cosa sicura è che il conto non lo pagheranno le aziende che hanno guadagnato dal genere di attività che produce rifiuti nucleari.

Fino ad oggi negli Stati Uniti i rifiuti nucleari sono stati seppelliti senza eccessive cautele o buttati in mare (quelli meno radioattivi), come dimostrano la storia di Hartford e altre simili. Nel resto del mondo non va tanto meglio, nemmeno nel nostro paese, dove i depositi di materiali radioattivi sono in condizioni pietose e nemmeno nel resto del mondo, con aree estremamente critiche nelle repubbliche meridionali dell’ex-URSS.

Lo scandalo più clamoroso, al di là dei problemi degli statunitensi, è proprio che ancora oggi circolino, in materia di nucleare, stime dei costi di produzione dell’energia elettrica che non comprendono per niente o minimizzano all’incredibile i costi di uno stoccaggio per il quale ancora non esistono tecnologie sicure e che è destinato a durare millenni. Costi che, quando correttamente contabilizzati, dimostrerebbero l’assoluta anti-economicità della scelta di produrre energia nucleare con centrali tutto sommato primitive e senza avere la più pallida idea di come risolvere il problema delle scorie.

Nemmeno il fatto che ci vogliano alcuni anni per costruire una centrale che ha una vita media di 30 anni e per smantellare la quale ne serviranno altri 20 senza sapere dove metterne i resti, sembra rappresentare un impedimento per chi le promuove.

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