Fonte: NautilusMagazine |
Autrice: Ines Curzio |
Recenti indagini chiariscono la localizzazione dei ricordi nell’ippocampo e la possibilità di leggerli attraverso l’analisi dell’attività cerebrale. Di Ines Curzio
Gli studi sulla telepatia continuano. Sembrano lontani i tempi in cui si parlava unicamente di facoltà paranormali, vantate da veggenti e sensitivi. Oggi le neuroscienze si fanno protagoniste di ricerche sempre più approfondite in questo campo e i progressi sono alquanto rapidi.
A gennaio è stato pubblicato un articolo su “Current Biology” quale risultato degli esperimenti condotti da un gruppo di ricercatori della University College di Londra (Decoding Individual Episodic Memory Traces in the Human Hippocampus).
Esattamente un anno fa lo stesso team di ricercatori aveva condotto un altro studio nel quale, esaminando l'attività cerebrale di una persona, ne hanno potuto individuare l'esatta posizione in uno spazio virtuale. La ricerca di oggi, secondo la coordinatrice dello studio Eleanor Maguire, compie un passo avanti. In questo caso, infatti, i ricercatori sono riusciti a "leggere" nel cervello dei partecipanti un pezzo di memoria episodica: quella raccolta di eventi quotidiani che costituisce la biografia di una persona. Questo tipo di memoria è molto più complessa di quella spaziale e quindi più difficile da “crackare”.
Si ritiene che la formazione della memoria lasci una “traccia” nel cervello, una sorta di attività elettrica che all’interno della rete estesa di neuroni ne intensifica il collegamento in un’area ben definita e che riemerge quando la memoria viene richiamata. Il concetto della traccia della memoria fu proposto per la prima volta quasi un secolo fa, ma la natura della traccia, la sua ubicazione precisa nel cervello ed i meccanismi neuronali rimanevano oscuri.
I ricercatori dell’Università di Londra hanno mostrato che la risonanza magnetica funzionale può essere utilizzata per decodificare la traccia della memoria individuale. L'anno scorso, la Maguire ed i suoi colleghi mostrarono che è possibile predire la posizione di un individuo in un ambiente generato in realtà virtuale a partire dai differenti patterns (schemi) individuati nell'attività dell’ippocampo. Ricercatori dell'Università di Vanderbilt mostrarono inoltre che l'attività nella corteccia visuale può essere decodificata per predire quale immagine è trattenuta nella memoria sensoriale (quella in grado di memorizzare informazioni sensoriali uditive, visive, tattili per la durata di pochi secondi). Ancora più notevole è il lavoro di alcuni ricercatori giapponesi che hanno ricostruito immagini visuali analizzando l’attività del cervello, incluso romanzi che né i ricercatori né i partecipanti avevano visto mai prima.
Negli ultimi studi che prendiamo ora in esame, i ricercatori di Londra hanno mostrato a dieci persone tre diversi e brevissimi cortometraggi. Ciascun filmato rappresentava una diversa attrice impegnata in una scena simile (per esempio imbucare una lettera o buttare un bicchiere di plastica nel cestino). Dopo ogni visione gli scienziati hanno sottoposto ogni volontario a una scansione dell'attività cerebrale mentre questi richiamavano alla memoria le immagini appena osservate. Successivamente i ricercatori hanno chiesto a ognuno di ricordare uno dei tre filmati, a piacere e contemporaneamente hanno effettuato una risonanza magnetica funzionale del loro cervello. Le immagini così ottenute sono state inserite in un computer e analizzate con un programma messo a punto proprio per confrontare scansione e risonanza e individuare lo schema dell'attività cerebrale associato al ricordo di ogni film. I ricercatori in questo modo sono riusciti a determinare, tramite la scansione effettuata dal programma, quale film stava ricordando ogni partecipante e a localizzare l'area del cervello coinvolta nel processo.
I ricercatori hanno constatato, non senza sorpresa, che l'attività associata con il richiamo di ciascun ricordo è stabile anche quando i ricordi stessi vengono richiamati ripetutamente. E’ stato inoltre definitivamente confermato che questi ricordi “risiedono” nella zona dell'ippocampo, non distribuiti in maniera casuale, ma concentrate in regioni specifiche a seconda del tipo di ricordo. Mentre la memoria spaziale ad esempio è strettamente collegata alla zona posteriore dell’ippocampo, quella dei ricordi è concentrata a destra e sinistra della zona frontale.
“Ora che sappiamo dove si trovano, abbiamo la possibilità di capire come sono immagazzinati e come possono cambiare nel tempo.” – ha affermato entusiasta la Maguire.
I ricordi codificati nell’ippocampo possono poi essere trasferiti alla corteccia frontale dove sono depositati a lungo termine, e da qui possono poi essere richiamati in tempi successivi.
Esperimenti come questo sono normalmente divulgati dai media come “lettura della mente”, ma in realtà non hanno nulla a che vedere con questo. Questo particolare studio, ed altri simili, esigono l’uso di algoritmi elaborati da un computer per distinguere fra di loro un numero noto molto limitato di schemi di attività cerebrali. I nostri ricordi sono molto più lunghi e complessi di quelli dei clip cinematografici utilizzati nell’esperimento. Sarebbe davvero notevole poter chiedere ai partecipanti di ricordare eventi della propria vita, in maniera casuale, ma è improbabile che le attuali tecnologie, per quanto avanzate, possano determinare quali ricordi stiano affiorando nella mente del soggetto coinvolto.
Inoltre c’è da dire che la lettura dei ricordi, o meglio la loro identificazione da parte di un programma in grado di scannerizzare l’attività cerebrale e suddividerla in schemi ben definiti fra cui riconoscere e individuare quelli legati ad un ricordo piuttosto che ad un altro, è ben diverso dall’analizzare la capacità di due persone di comunicare telepaticamente fra di loro. Nel primo caso la macchina è collegata alla testa di un soggetto e ne analizza l’attività elettrica, nel secondo non c’è nulla che colleghi i due soggetti fra loro, almeno apparentemente, eppure il messaggio si trasmette dalla mente dell’uno alla mente dell’altro come farebbero in un certo senso due computer che scambiano fra loro dati attraverso una rete wireless. Che tipo di impulsi collega fra loro le menti durante la telepatia? E qual è il meccanismo che permette la trasmissione e la ricezione del messaggio?
Telepatia letteralmente significa “sentire da lontano”, e tipicamente implica la comunicazione di bisogni, intenzioni o pericolo. A volte le reazioni telepatiche sono sperimentate come sensazioni, talvolta come visioni o il sentire delle voci, talvolta nei sogni. Molte persone ed animali domestici hanno avuto chiare reazioni quando coloro ai quali erano legati hanno avuto un incidente, oppure stavano morendo, e questo anche se l’evento accadeva a miglia di distanza.
C'è un'analogia con questo processo nella fisica quantistica: se due particelle sono state parte dello stesso sistema quantistico e sono separate nello spazio, queste mantengono una misteriosa connessione. Gli esperimenti hanno dimostrato che la teoria quantistica è esatta. Un cambiamento in una parte separata di un sistema può avere un effetto sull’altra parte istantaneamente. Questo fenomeno è conosciuto come non-località o non-separabilità quantistica ed è stato sperimentato anche su persone invitate a comunicare telepaticamente fra loro. Posti in stanze separate, i soggetti sono stati entrambi sottoposti a misurazione dell’attività cerebrale. Si è visto che colpendo uno dei due soggetti con dei fasci di luce o ponendogli delle domande ben precise si evidenziava in lui un’attività in una parte del cervello che risultava poi attivarsi anche nell’altro soggetto posto a distanza e al quale non veniva riferito nulla di quanto accadeva al primo soggetto. Questi fenomeni sono anche detti di “sincronicità”.
La telepatia, come la sensazione di essere osservati, è paranormale solo se definiamo come “normale” la teoria che la mente è ristretta al cervello. Ma se la nostra mente si protrae oltre il nostro cervello e si connette con altre menti, proprio come sembra fare, allora fenomeni come la telepatia diventano normali. Non sono affatto sconcertanti e strani, ma sono parte della nostra natura biologica.
Certo sono ancora terreni impervi, su cui l’indagine sarà lunga, ma tutti gli studi di cui abbiamo parlato sono la prova che la scienza, ed in particolare le neuroscienze, stanno tentando da anni un approccio a questioni che prima erano appannaggio esclusivo della parapsicologia, e soprattutto rappresentavano argomenti su cui gli scienziati erano assolutamente scettici e negazionisti.
Riferimenti bibliografici:
1) http://scienceblogs.com/neurophilosophy/2010/03/brain_scans_read_memories.php?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed%3A+scienceblogs%2FYsBw+(Neurophilosophy)
2) http://www.galileonet.it/news/12508/telepatia-lavoro-da-neuroscienziati
3) http://www.scienzaeconoscenza.it/articolo/una-mente-estesa.php
4) Current Biology doi 10.1016/j.cub.2010.01.053
Gli studi sulla telepatia continuano. Sembrano lontani i tempi in cui si parlava unicamente di facoltà paranormali, vantate da veggenti e sensitivi. Oggi le neuroscienze si fanno protagoniste di ricerche sempre più approfondite in questo campo e i progressi sono alquanto rapidi.
A gennaio è stato pubblicato un articolo su “Current Biology” quale risultato degli esperimenti condotti da un gruppo di ricercatori della University College di Londra (Decoding Individual Episodic Memory Traces in the Human Hippocampus).
Esattamente un anno fa lo stesso team di ricercatori aveva condotto un altro studio nel quale, esaminando l'attività cerebrale di una persona, ne hanno potuto individuare l'esatta posizione in uno spazio virtuale. La ricerca di oggi, secondo la coordinatrice dello studio Eleanor Maguire, compie un passo avanti. In questo caso, infatti, i ricercatori sono riusciti a "leggere" nel cervello dei partecipanti un pezzo di memoria episodica: quella raccolta di eventi quotidiani che costituisce la biografia di una persona. Questo tipo di memoria è molto più complessa di quella spaziale e quindi più difficile da “crackare”.
Si ritiene che la formazione della memoria lasci una “traccia” nel cervello, una sorta di attività elettrica che all’interno della rete estesa di neuroni ne intensifica il collegamento in un’area ben definita e che riemerge quando la memoria viene richiamata. Il concetto della traccia della memoria fu proposto per la prima volta quasi un secolo fa, ma la natura della traccia, la sua ubicazione precisa nel cervello ed i meccanismi neuronali rimanevano oscuri.
I ricercatori dell’Università di Londra hanno mostrato che la risonanza magnetica funzionale può essere utilizzata per decodificare la traccia della memoria individuale. L'anno scorso, la Maguire ed i suoi colleghi mostrarono che è possibile predire la posizione di un individuo in un ambiente generato in realtà virtuale a partire dai differenti patterns (schemi) individuati nell'attività dell’ippocampo. Ricercatori dell'Università di Vanderbilt mostrarono inoltre che l'attività nella corteccia visuale può essere decodificata per predire quale immagine è trattenuta nella memoria sensoriale (quella in grado di memorizzare informazioni sensoriali uditive, visive, tattili per la durata di pochi secondi). Ancora più notevole è il lavoro di alcuni ricercatori giapponesi che hanno ricostruito immagini visuali analizzando l’attività del cervello, incluso romanzi che né i ricercatori né i partecipanti avevano visto mai prima.
Negli ultimi studi che prendiamo ora in esame, i ricercatori di Londra hanno mostrato a dieci persone tre diversi e brevissimi cortometraggi. Ciascun filmato rappresentava una diversa attrice impegnata in una scena simile (per esempio imbucare una lettera o buttare un bicchiere di plastica nel cestino). Dopo ogni visione gli scienziati hanno sottoposto ogni volontario a una scansione dell'attività cerebrale mentre questi richiamavano alla memoria le immagini appena osservate. Successivamente i ricercatori hanno chiesto a ognuno di ricordare uno dei tre filmati, a piacere e contemporaneamente hanno effettuato una risonanza magnetica funzionale del loro cervello. Le immagini così ottenute sono state inserite in un computer e analizzate con un programma messo a punto proprio per confrontare scansione e risonanza e individuare lo schema dell'attività cerebrale associato al ricordo di ogni film. I ricercatori in questo modo sono riusciti a determinare, tramite la scansione effettuata dal programma, quale film stava ricordando ogni partecipante e a localizzare l'area del cervello coinvolta nel processo.
I ricercatori hanno constatato, non senza sorpresa, che l'attività associata con il richiamo di ciascun ricordo è stabile anche quando i ricordi stessi vengono richiamati ripetutamente. E’ stato inoltre definitivamente confermato che questi ricordi “risiedono” nella zona dell'ippocampo, non distribuiti in maniera casuale, ma concentrate in regioni specifiche a seconda del tipo di ricordo. Mentre la memoria spaziale ad esempio è strettamente collegata alla zona posteriore dell’ippocampo, quella dei ricordi è concentrata a destra e sinistra della zona frontale.
“Ora che sappiamo dove si trovano, abbiamo la possibilità di capire come sono immagazzinati e come possono cambiare nel tempo.” – ha affermato entusiasta la Maguire.
I ricordi codificati nell’ippocampo possono poi essere trasferiti alla corteccia frontale dove sono depositati a lungo termine, e da qui possono poi essere richiamati in tempi successivi.
Esperimenti come questo sono normalmente divulgati dai media come “lettura della mente”, ma in realtà non hanno nulla a che vedere con questo. Questo particolare studio, ed altri simili, esigono l’uso di algoritmi elaborati da un computer per distinguere fra di loro un numero noto molto limitato di schemi di attività cerebrali. I nostri ricordi sono molto più lunghi e complessi di quelli dei clip cinematografici utilizzati nell’esperimento. Sarebbe davvero notevole poter chiedere ai partecipanti di ricordare eventi della propria vita, in maniera casuale, ma è improbabile che le attuali tecnologie, per quanto avanzate, possano determinare quali ricordi stiano affiorando nella mente del soggetto coinvolto.
Inoltre c’è da dire che la lettura dei ricordi, o meglio la loro identificazione da parte di un programma in grado di scannerizzare l’attività cerebrale e suddividerla in schemi ben definiti fra cui riconoscere e individuare quelli legati ad un ricordo piuttosto che ad un altro, è ben diverso dall’analizzare la capacità di due persone di comunicare telepaticamente fra di loro. Nel primo caso la macchina è collegata alla testa di un soggetto e ne analizza l’attività elettrica, nel secondo non c’è nulla che colleghi i due soggetti fra loro, almeno apparentemente, eppure il messaggio si trasmette dalla mente dell’uno alla mente dell’altro come farebbero in un certo senso due computer che scambiano fra loro dati attraverso una rete wireless. Che tipo di impulsi collega fra loro le menti durante la telepatia? E qual è il meccanismo che permette la trasmissione e la ricezione del messaggio?
Telepatia letteralmente significa “sentire da lontano”, e tipicamente implica la comunicazione di bisogni, intenzioni o pericolo. A volte le reazioni telepatiche sono sperimentate come sensazioni, talvolta come visioni o il sentire delle voci, talvolta nei sogni. Molte persone ed animali domestici hanno avuto chiare reazioni quando coloro ai quali erano legati hanno avuto un incidente, oppure stavano morendo, e questo anche se l’evento accadeva a miglia di distanza.
C'è un'analogia con questo processo nella fisica quantistica: se due particelle sono state parte dello stesso sistema quantistico e sono separate nello spazio, queste mantengono una misteriosa connessione. Gli esperimenti hanno dimostrato che la teoria quantistica è esatta. Un cambiamento in una parte separata di un sistema può avere un effetto sull’altra parte istantaneamente. Questo fenomeno è conosciuto come non-località o non-separabilità quantistica ed è stato sperimentato anche su persone invitate a comunicare telepaticamente fra loro. Posti in stanze separate, i soggetti sono stati entrambi sottoposti a misurazione dell’attività cerebrale. Si è visto che colpendo uno dei due soggetti con dei fasci di luce o ponendogli delle domande ben precise si evidenziava in lui un’attività in una parte del cervello che risultava poi attivarsi anche nell’altro soggetto posto a distanza e al quale non veniva riferito nulla di quanto accadeva al primo soggetto. Questi fenomeni sono anche detti di “sincronicità”.
La telepatia, come la sensazione di essere osservati, è paranormale solo se definiamo come “normale” la teoria che la mente è ristretta al cervello. Ma se la nostra mente si protrae oltre il nostro cervello e si connette con altre menti, proprio come sembra fare, allora fenomeni come la telepatia diventano normali. Non sono affatto sconcertanti e strani, ma sono parte della nostra natura biologica.
Certo sono ancora terreni impervi, su cui l’indagine sarà lunga, ma tutti gli studi di cui abbiamo parlato sono la prova che la scienza, ed in particolare le neuroscienze, stanno tentando da anni un approccio a questioni che prima erano appannaggio esclusivo della parapsicologia, e soprattutto rappresentavano argomenti su cui gli scienziati erano assolutamente scettici e negazionisti.
Riferimenti bibliografici:
1) http://scienceblogs.com/neurophilosophy/2010/03/brain_scans_read_memories.php?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed%3A+scienceblogs%2FYsBw+(Neurophilosophy)
2) http://www.galileonet.it/news/12508/telepatia-lavoro-da-neuroscienziati
3) http://www.scienzaeconoscenza.it/articolo/una-mente-estesa.php
4) Current Biology doi 10.1016/j.cub.2010.01.053
ripreso da : www.climatrix.org
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