DI MAIDHC Ó CATHAIL
Redress Information & Analysis
Citando come maggiore minaccia alla sicurezza degli Stati Uniti la possibilità che un’organizzazione terroristica si impossessi di un’arma nucleare, Barack Obama ha convinto altre 46 Nazioni al recente Summit sulla Sicurezza Nucleare a concordare sulla messa sotto chiave del materiale nucleare mondiale. I leader giunti a Washington avrebbero, tutavia, potuto fare di più per evitare l’attacco nucleare se avessero chiesto al presidente degli Stati Uniti di menzionare le testate di cui l’America stessa dispone.
Naturalmente il presidente Obama potrebbe anche non essere stato al corrente del grande fallimento degli Stati Uniti nel mettere al sicuro i propri materiali nucleari e conoscenze dal saccheggio dei suoi supposti “alleati più stretti”. Ma dato che Obama non vuole nemmeno “immaginare” quale paese del Medio Oriente abbia armi nucleari, difficilmente ci si può aspettare da lui che sappia in che modo le abbia ottenute.
In un recente articolo uscito su Antiwar.com, intitolato giustamente “Le testate americane in Israele”, Grant F. Smith, direttore dell’Istituto di Ricerca sul Medio Oriente (Irmep) e autore di Spy Trade: How Israel's Lobby Undermines America's Economy [“Commercio di spie: come la lobby di Israele mina l’economia statunitense”, n.d.t.], mostra come “gli Stati Uniti siano un setaccio per lo spionaggio nucleare di Israele”.
La massiccia rete del contrabbando di armi costituita da David Ben-Gurion negli Stati Uniti negli anni '40 aveva sviluppato il ramo del nucleare nel giro di un decennio, secondo Smith. L’acquisizione dello stabilimento della Apollo Steel Company in Pennsylvania fu finanziata da David Lowenthal, un amico stretto del primo ministro israeliano ed ex membro dell’Haganah, il precursore dell’esercito di Israele. L’anno seguente il dr. Zalman Shapiro, capo di una locale Organizzazione sionista americana, incorporò la Nuclear Materials and Equipment Corporation (NUMEC) in Apollo. Presto la NUMEC prese a ricevere grandi quantità di plutonio e uranio altamente arricchito da Westinghouse e dalla Marina Statunitense affinchè venissero trattati.
Negli anni sessanta l’Atomic Energy Commission (AEC) cominciò ad insospettirsi per gli errori nella sicurezza alla NUMEC, e considerò perfino la sospensione del suo “lavoro su armi classificate”. Una verifica dell’AEC del 1965 rivelò che 220 libbre di uranio arricchito erano mancanti. L’anno seguente, l’FBI iniziò le proprie indagini, sotto il nome in codice “Project Divert”, per monitorare la dirigenza della NUMEC e i frequenti visitatori Israeliani. Tuttavia il materiale nucleare continuava ad essere deviato verso Israele. Dopo una visita di 4 israeliani, tra cui l’agente del Mossad Rafi Eitan, il 10 settembre 1968, altre 578 libbre di uranio altamente arricchito scomparvero.
Ad ogni modo, lo spionaggio nucleare di Israele nei confronti degli Stati Uniti non terminò con il suo accesso al club nucleare alla fine degli anni sessanta. Come rivelò l’ex traduttore dell’FBI Sibel Edmonds, la rete del contrabbando ricevette un contributo fondamentale da tre funzionari di alto livello dell’amministrazione di George W. Bush. Tutti e tre hanno legami stretti con il complesso militare-industriale di Israele.
Secondo l’informatrice dell’FBI, Richard Perle e Douglas Feith diedero a Marc Grossman, il terzo più alto funzionario nella gerarchia del Dipartimento di Stato, una lista degli impiegati del Dipartimento della Difesa che avevano accesso a dati sensibili, tra cui quelli sulla tecnologia nucleare. La lista includeva anche dettagli personali estremamente delicati, come le preferenze sessuali, problemi di alcol o gioco d’azzardo e quanto dovevano per i loro mutui. Grossman passò poi le informazioni ad agenti israeliani e turchi, che li usarono per mettere i funzionari del Pentagono “con le spalle al muro”. In più, come disse Edmonds in una sua testimonianza in un tribunale in Ohio, gli agenti stranieri avevano reclutato persone “in quasi tutti i maggiori stabilimenti nucleari degli Stati Uniti”.
Dopo che Israele e la Turchia riuscirono ad ottenere ciò che volevano dai segreti rubati, i loro agenti offrirono quanto restava al migliore offerente. Come Edmonds ha raccontato al Sunday Times, a American Conservative e a Military.com, le informazioni sul nucleare vennero vendute al mercato nero, dove chiunque – al-Qaeda compresa – poteva acquistarle.
Perciò sembrerebbe che coloro che gridano più forte alla minaccia dei terroristi – ossia, i neoconservatori come Perle, Feith e Grossman e le loro controparti israeliane – siano gli stessi che li aiutano, almeno indirettamente, ad acquisire quelle armi di distruzione di massa di cui tanto parlano.
Ma perché, ci si potrebbe ragionevolmente chiedere, gli agenti israeliani dovrebbero aiutare quelli che si suppone siano i loro nemici a mettere le mani sulla bomba?
Quale sarebbe il probabile esito nel caso che le più tremende paure di Obama circa un attacco nucleare agli Stati Uniti – o ad uno degli alleati – si realizzassero?
Indipendentemente dai fatti, alcuni paesi islamici – molto probabilmente Iran o Pakistan – verrebbero accusati di aver aiutato i terroristi. E non serve un alto livello di teoria del gioco per prevedere quale sarebbe la reazione dell’America. La rappresaglia sarebbe così rapida e devastante che i malfattori designati potrebbero invidiare il destino degli iracheni dopo l’invasione – anche loro vittima di uno sviamento dell’attenzione da parte degli israeliani.
Se, come ammise Benjamin Netanyahu, l’11 settembre fu “molto positivo” per Israele, un 11 settembre nucleare lo sarebbe anche di più. Mentre gli ammalianti effetti del traumatico evento di nove anni fa hanno cominciato a svanire, e man mano che gli americani cominciano ad interrogarsi sui costi di un’alleanza unilaterale, potrebbe anche essere considerato necessario.
Maidhc Ó Cathail è uno scrittore con moltissime pubblicazioni al suo attivo, e vive in Giappone. Per leggere altri dei suoi scritti visitare Maidhc Ó Cathail: Writing and Analysis.
Titolo originale: "The next 9/11 – made in Israel?"
Fonte: http://www.redress.cc/
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03.05.2010
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ARLEQUIN
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Redress Information & Analysis
Citando come maggiore minaccia alla sicurezza degli Stati Uniti la possibilità che un’organizzazione terroristica si impossessi di un’arma nucleare, Barack Obama ha convinto altre 46 Nazioni al recente Summit sulla Sicurezza Nucleare a concordare sulla messa sotto chiave del materiale nucleare mondiale. I leader giunti a Washington avrebbero, tutavia, potuto fare di più per evitare l’attacco nucleare se avessero chiesto al presidente degli Stati Uniti di menzionare le testate di cui l’America stessa dispone.
Naturalmente il presidente Obama potrebbe anche non essere stato al corrente del grande fallimento degli Stati Uniti nel mettere al sicuro i propri materiali nucleari e conoscenze dal saccheggio dei suoi supposti “alleati più stretti”. Ma dato che Obama non vuole nemmeno “immaginare” quale paese del Medio Oriente abbia armi nucleari, difficilmente ci si può aspettare da lui che sappia in che modo le abbia ottenute.
In un recente articolo uscito su Antiwar.com, intitolato giustamente “Le testate americane in Israele”, Grant F. Smith, direttore dell’Istituto di Ricerca sul Medio Oriente (Irmep) e autore di Spy Trade: How Israel's Lobby Undermines America's Economy [“Commercio di spie: come la lobby di Israele mina l’economia statunitense”, n.d.t.], mostra come “gli Stati Uniti siano un setaccio per lo spionaggio nucleare di Israele”.
La massiccia rete del contrabbando di armi costituita da David Ben-Gurion negli Stati Uniti negli anni '40 aveva sviluppato il ramo del nucleare nel giro di un decennio, secondo Smith. L’acquisizione dello stabilimento della Apollo Steel Company in Pennsylvania fu finanziata da David Lowenthal, un amico stretto del primo ministro israeliano ed ex membro dell’Haganah, il precursore dell’esercito di Israele. L’anno seguente il dr. Zalman Shapiro, capo di una locale Organizzazione sionista americana, incorporò la Nuclear Materials and Equipment Corporation (NUMEC) in Apollo. Presto la NUMEC prese a ricevere grandi quantità di plutonio e uranio altamente arricchito da Westinghouse e dalla Marina Statunitense affinchè venissero trattati.
Negli anni sessanta l’Atomic Energy Commission (AEC) cominciò ad insospettirsi per gli errori nella sicurezza alla NUMEC, e considerò perfino la sospensione del suo “lavoro su armi classificate”. Una verifica dell’AEC del 1965 rivelò che 220 libbre di uranio arricchito erano mancanti. L’anno seguente, l’FBI iniziò le proprie indagini, sotto il nome in codice “Project Divert”, per monitorare la dirigenza della NUMEC e i frequenti visitatori Israeliani. Tuttavia il materiale nucleare continuava ad essere deviato verso Israele. Dopo una visita di 4 israeliani, tra cui l’agente del Mossad Rafi Eitan, il 10 settembre 1968, altre 578 libbre di uranio altamente arricchito scomparvero.
Ad ogni modo, lo spionaggio nucleare di Israele nei confronti degli Stati Uniti non terminò con il suo accesso al club nucleare alla fine degli anni sessanta. Come rivelò l’ex traduttore dell’FBI Sibel Edmonds, la rete del contrabbando ricevette un contributo fondamentale da tre funzionari di alto livello dell’amministrazione di George W. Bush. Tutti e tre hanno legami stretti con il complesso militare-industriale di Israele.
Secondo l’informatrice dell’FBI, Richard Perle e Douglas Feith diedero a Marc Grossman, il terzo più alto funzionario nella gerarchia del Dipartimento di Stato, una lista degli impiegati del Dipartimento della Difesa che avevano accesso a dati sensibili, tra cui quelli sulla tecnologia nucleare. La lista includeva anche dettagli personali estremamente delicati, come le preferenze sessuali, problemi di alcol o gioco d’azzardo e quanto dovevano per i loro mutui. Grossman passò poi le informazioni ad agenti israeliani e turchi, che li usarono per mettere i funzionari del Pentagono “con le spalle al muro”. In più, come disse Edmonds in una sua testimonianza in un tribunale in Ohio, gli agenti stranieri avevano reclutato persone “in quasi tutti i maggiori stabilimenti nucleari degli Stati Uniti”.
Dopo che Israele e la Turchia riuscirono ad ottenere ciò che volevano dai segreti rubati, i loro agenti offrirono quanto restava al migliore offerente. Come Edmonds ha raccontato al Sunday Times, a American Conservative e a Military.com, le informazioni sul nucleare vennero vendute al mercato nero, dove chiunque – al-Qaeda compresa – poteva acquistarle.
Perciò sembrerebbe che coloro che gridano più forte alla minaccia dei terroristi – ossia, i neoconservatori come Perle, Feith e Grossman e le loro controparti israeliane – siano gli stessi che li aiutano, almeno indirettamente, ad acquisire quelle armi di distruzione di massa di cui tanto parlano.
Ma perché, ci si potrebbe ragionevolmente chiedere, gli agenti israeliani dovrebbero aiutare quelli che si suppone siano i loro nemici a mettere le mani sulla bomba?
Quale sarebbe il probabile esito nel caso che le più tremende paure di Obama circa un attacco nucleare agli Stati Uniti – o ad uno degli alleati – si realizzassero?
Indipendentemente dai fatti, alcuni paesi islamici – molto probabilmente Iran o Pakistan – verrebbero accusati di aver aiutato i terroristi. E non serve un alto livello di teoria del gioco per prevedere quale sarebbe la reazione dell’America. La rappresaglia sarebbe così rapida e devastante che i malfattori designati potrebbero invidiare il destino degli iracheni dopo l’invasione – anche loro vittima di uno sviamento dell’attenzione da parte degli israeliani.
Se, come ammise Benjamin Netanyahu, l’11 settembre fu “molto positivo” per Israele, un 11 settembre nucleare lo sarebbe anche di più. Mentre gli ammalianti effetti del traumatico evento di nove anni fa hanno cominciato a svanire, e man mano che gli americani cominciano ad interrogarsi sui costi di un’alleanza unilaterale, potrebbe anche essere considerato necessario.
Maidhc Ó Cathail è uno scrittore con moltissime pubblicazioni al suo attivo, e vive in Giappone. Per leggere altri dei suoi scritti visitare Maidhc Ó Cathail: Writing and Analysis.
Titolo originale: "The next 9/11 – made in Israel?"
Fonte: http://www.redress.cc/
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03.05.2010
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ARLEQUIN
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