Ci voleva l’esercito degli Stati Uniti per testimoniare il sottolivello qualitativo dell’acqua di rubinetto in Campania: sono tali i dati rilevati dal professor Benedetto De Vivo, alla cattedra di Geochimica ambientale della Federico II, a partire da un’iniziativa di sondaggio dell’acqua pubblica promossa dalle forze armate americane, ed esposti durante un recente meeting tenutosi a porte aperte presso l’Istituto Italiano degli Studi Filosofici. All’indice dei richiami d’allarme compaiono l’area flegrea, le adiacenze di Aversa, il territorio domizio: nel bicchiere dell’ignaro consumatore finiscono metalli pesanti, composti chimici non tollerabili, sostanze cancerogene pericolose.
Non si salvano le acque imbottigliate: nelle 4000 pagine curate da De Vivo e dal gruppo di lavoro da lui coordinato, tutti ricercatori della Federico II, è scritto che tra le 200 marche prese in analisi ben 10 non sono risultate idonee al lecito consumo, perché portatrici di elementi nocivi in concentrazioni inaccettabili. A quanto pare non sarebbe più utile controllare le etichette: talvolta le descrizioni sulla composizione chimica del prodotto vengono falsate, e i riferimenti scomodi abilmente raggirati. «Abbiamo riscontrato percentuali di berillio, arsenico e piombo – spiega De Vivo – e lo stato delle cose è particolarmente grave: mentre la concentrazione di berillio consentita nelle acque di rubinetto non può superare i 2 milligrammi per litro, in alcune acque minerali ne abbiamo ritrovati il doppio. In queste quantità il berillio diventa un agente cancerogeno; allo stesso modo ci preoccupa l’arsenico ritrovato in dosi pericolose da alcuni prelievi nell’acqua pubblica, che può portare a tumori alla pelle e allo stomaco».
La potabilizzazione dell’acqua destinata ai rubinetti risente dello stato idrogeologico delle zone in cui viene captata, anche se la tendenza degli ultimi due anni indica un incremento generale delle acque considerate potabili: circa 9 miliardi di metri cubi, di cui il 32% viene sottoposto a trattamenti di depurazione per essere orientata al consumo pubblico. Da quando nel 2001 una nuova normativa regola attraverso restrizioni più severe la presenza di agenti inquinanti nell’acqua pubblica, ben 13 regioni su 20 hanno richiesto al ministero della Salute di emanare deroghe sull’idoneità dell’acqua, nonostante la bocciatura nei rilevamenti: si tratta di provvedimenti consentiti dalla legge, dato che ai sindaci è dato di diritto appellarsi ai consigli regionali oltre che allo stesso ministero, affinché sia il Consiglio superiore di sanità a dettare le condizioni per l’utilizzo dell’acqua pubblica.
Sono troppe, come denuncia l’Unione europea, le deroghe convalidate: ciò avviene perché gli studi devono tener conto della complessità orografica e dell’origine vulcanica del nostro territorio, ragione per cui l’abbondanza di metalli pesanti nell’acqua non desta stupore. Lo scalpore resta invece perché la Campania, in deroga da 8 anni, non riesce a far ritornare le concentrazioni di fluoro presenti nell’acqua pubblica entro la soglia standard. Intanto i risultati dello studio eseguito dal Commissariato di governo per l’emergenza rifiuti rimangono segreti. «Gli organi di controllo dovrebbero essere terzi ed indipendenti dalla politica – commenta De Vivo – perché possano essere resi pubblici, e per essere confrontati con i parametri internazionali».
Pierluigi Schiano Moriello
Fonte: (Terra Campania)
link: http://www.9online.it
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