Perù: ragazzi al lavoro a Huachipa – Foto: E. Gianotti ©ILO
Sono 150 milioni i bambini in tutto il mondo tra i 5 e i 14 anni coinvolti nel lavoro minorile: “una condizione che è al tempo stesso causa e conseguenza della povertà e che ne compromette l’istruzione e la sicurezza” – riporta un comunicato dell’Unicef in occasione dell’odierna ‘Giornata internazionale contro lo sfruttamento del lavoro infantile‘. La giornata, traendo spunto dai Mondiali dicalcio in corso in Sudafrica, quest’anno ha come slogan “Go for the goal… end child labour!” (“Fai gol. Elimina il lavoro minorile!”) e intende proporre un rinnovato impegno per eliminare le peggiori forme di sfruttamento economico dei minori.
Sebbene le ultime stime a livello globale riportino una lento calo del fenomeno in tutto il mondo, nell’Africa Subsahariana i dati più recenti indicano un peggioramento, con un bambino su 4 coinvolto nel lavoro minorile (la percentuale più alta al mondo), rispetto ad 1 su 8 in Asia e nella regione del Pacifico, 1 su 10 in America Latina e nei Caraibi. Il numero di bambini che unisce il lavoro alla scuola in alcune regioni è aumentato anche del 300%.
“Ma anche questi dati possono essere fuorvianti, in quanto figli di migranti, orfani, bambini vittime di tratta e, soprattutto le ragazze sono troppo escluse dalle indagini che si basano su dati riguardanti le famiglie” – avverte l’Unicef. “È necessario sviluppare nuovi sistemi di raccolta dati per garantire che questi bambini invisibili diventino visibili e vengano aiutati”. Alla recente Conferenza mondiale sulle peggiori forme di lavoro minorile tenutasi all’Aja, l’Unicef si è impegnato a sviluppare nuove metodologie di raccolta dati per intercettare e rendere visibile il lavoro invisibile delle ragazze.
“Sappiamo che i progressi negli Obiettivi di Sviluppo del Millennio sull’istruzione, la povertà, l’uguaglianza di genere e l’HivV/Aids, vengono sistematicamente minati dal lavoro minorile e che nessuna politica da sola può unilateralmente porre fine al lavoro minorile” – commenta Susan Bissell, responsabile per la Protezione dell’infanzia all’UNICEF. “È dimostrato che una risposta efficace coerente sul lavoro minorile richiede una combinazione di misure concernenti condizioni di lavoro dignitose, sistemi di protezione sociale attenti all’infanzia e l’estensione dei servizi di base ai più vulnerabili”.
Il fenomeno dello sfruttamento del lavoro minorile riguarda anche l’Italia dove circa mezzo milione di bambini appartenenti alle fasce più vulnerabili e soprattutto tra gli stranieri vengono impiegati in attività illegali – segnala un comunicato di Save the Children. “In Italia – evidenzia l’associazione – se si confrontano le esperienze dei minori stranieri e di quelli italiani che lavorano, i primi il più delle volte, continuano ad andare a scuola, mentre per quelli italiani si nota una maggiore tendenza ad assentarsi da scuola a lungo o addirittura ad interrompere la frequenza”.
“In Italia inoltre – afferma Save the Children – nonostante esista una difficoltà di fondo a monitorare il fenomeno, secondo alcuni studi esistono dei fattori di rischio che contribuiscono a far aumentare la probabilità che un minore si trovi precocemente inserito nel mondo del lavoro: si tratta di minori maschi, di nazionalità straniera, che vivono in una famiglia mono-genitoriale o in un nucleo familiare con più minori, e risiedono in un territorio con un alto tasso di disoccupazione. Inoltre molti appartengono a famiglie monoreddito o con un reddito inferiore al 50% della media nazionale.
Save the Children ha realizzato a Roma una ricerca sul lavoro minorile e le peggiori forme di sfruttamento del lavoro minorile dalla quale emerge che i ragazzi risultano principalmente impiegati nella ristorazione (pizzaiolo, barista, cameriera), edilizia (muratore), artigianato, ma anche attività illegali e di sfruttamento (borseggio, combattimenti clandestini), mendicità, prostituzione. Nella maggior parte dei casi (40 su 62) i ragazzi e le ragazze risultano impegnati per 6-9 ore al giorno, ma in alcuni casi anche tra le 9 e le 12 ore o addirittura “senza limite” nel caso di attività come mendicità e prostituzione in cui viene stabilita una cifra giornaliera da dover raggiungere ad ogni costo, indipendentemente dalle ore necessarie per farlo.
“Sono emersi dei nodi cruciali del fenomeno nell’area romana – spiega Valerio Neri, direttore generale della onlus: necessità dei ragazzi di contribuire all’economia familiare, sovrapposizione tra lavoro minorile e lavoro nero, considerare come lavorative attività illegali, difficoltà di conciliare il lavoro con la scuola, ma anche con il tempo libero. In questa fase storica segnata da una generale crisi economica e sociale – conclude Neri – il rischio che sempre più minori, spinti dall’impoverimento delle famiglie, si ritrovino a lavorare è molto forte. E’ quindi necessario raddoppiare gli sforzi affinché tutto ciò non accada, in modo da garantire adeguato sostegno, protezione e aiuto a tutti quei ragazzi coinvolti in attività lavorative nocive o addirittura sfruttati”. [GB]
fonte: http://forumambientalista
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