Tierra del Medio, Amazzonia orientale, stato del Pará, Brasile. Qui, nel bacino del fiume Xingú, un secolo fa giunsero alcune famiglie dal povero e desertificato Nordest. L'intento era rifarsi una vita grazie alla ricchezza naturale prodotta da quell'immenso mercato no profit a cielo aperto che è la foresta. E ci riuscirono. In poco tempo divennero esperti siringueros, estrattori del latte che l'albero della cauchù produce senza fine dalla sua corteccia. In poco tempo entrarono così nella grande catena di produzione della gomma, e la loro vita cambiò. In meglio. Ma oggi qualcosa minaccia quel tradizionale rapporto proficuo e rispettoso con la foresta. Un manipolo di aziende, affamate e senza scrupoli, spalleggiate dal governo, ha inteso trasformare quel fazzoletto di terra in una fonte energetica, sfruttando la potenza dei fiumi. E' nato, infatti, il progetto della centrale idroelettrica dello Xingú, la quale sfrutterà il dislivello di 85 metri che il fiume forma all'altezza di una grande curva chiamata Volta Grande. Un'occasione ghiotta a cui nessuno degli interessati pare voler rinunciare. Governo Lula in testa. Il quale, ancora una volta, si distingue per la sua rinomata politica del 'cerchiobottismo'.
Nel 2004, infatti, l'area ora minacciata dalla centrale, era stata dichiarata Riserva estrattiva (Resex) Riozinho do Anfrísio proprio tramite decreto presidenziale. Un gesto eclatante fatto per garantire il tradizionale lavoro di quelle famiglie e per proteggere la ricchezza del luogo dalla minaccia della deforestazione selvaggia in nome del profitto. Non solo. Per dimostrare da che parte stava, Lula aveva anche inviato sul posto una decina di militari per proteggere gli abitanti dalle continue minacce di pistoleiros mandati da aziende che li vorrebero fuori dai piedi. Poi, il voltafaccia.
"Sono obbligato a vivere nascosto nella mia terra, senza aver discusso con nessuno né rubato nulla", ha raccontato a Tierramérica Herculano Porto de Oliveira, 66 anni, siringueiro. "Lula ci dette coraggio creando la riserva, ma ora ci scoraggia con Belo Monte", il nome della centrale idroelettrica in via di costruzione. Il Riozinho do Anfrísio, infatti, cuore della riserva, è un affluente del fiume Iriri che sbocca nello Xingú, e quindi subirà sicure conseguenze dalla nascita della centrale. Non solo. Uno dei due laghi artificiali previsti dal progetto andrà a inondare le zone basse di Altamira, inclusa la casetta che Oliveira comprò due anni fa per accogliere la gente della Resex che aveva bisogno di assistenza medica o di altri servizi. La zona, infatti, è distante da tutto e tutti. I pochi viaggi in barca verso la città durano "tre giorni per andare e quattro per tornare", che diventano otto o dieci nei periodi di siccità, a causa delle pietre nascoste sotto le rapide o nei pressi delle cascate, precisa Oliveira.
Lo Studio di Impatto ambientale del progetto Belo Monte riconosce che le acque inonderanno gli alloggi di 16.420 abitanti di Altamira e di 2.822 persone della zona rurale. Gli sfollati saranno cinquantamila, trentamila solo in Altamira. Ad assicurarlo è Antonia Melo, coordinatrice del Movimento Xingú Vivo, che riunisce più di cento organizzazioni in netta opposizione alle centrali idroelettriche della conca del fiume, area eccezionale per la sua diversità biologica e sociale. Oltre a contenere molte specie animali e vegetali, esistenti soltanto qui, questa zona ospita da sempre trenta terre indigene abitate da più di tredicimila persone di 24 popoli, e dodici aree di conservazione, fra le quali quattro riserve estrattive e altre totalmente protette. Le zone protette stanno infatti da tempo facendo da barriera alla deforestazione selvaggia che dietro le spoglie di allevatori di bestiame, agricoltori e predatori del legno preme da est e da sud. E adesso anche da nord, visto che la centrale spalleggiata dal governo porterà non solo inondazioni e distruzione dell'ecosistema, ma anche l'asfalto della Transamazzonica.
Belo Monte è "l'inizio di un nuovo ciclo di estinzione - ha commentato André Villas-Bôas, il sociologo che coordina il programma Xingú per la Ong Isa -. Ora si tratta di mangiarsi il fiume, poi toccherà ai boschi". E secondo lui, oramai la idroelettrica è "un fatto compiuto", nonostante le azioni giudiziarie che cercano di fermarne la costruzione. L'ultima risale allo scorso aprile, quando il giudice Antonio Almeida Campel accolse una richiesta avanzata da sei pubblici ministeri del paese.
Sarà un gigante da 11.233 megawatt di potenza, che però andrà a rendere solo per un 40 percento del suo potenziale, visto che il flusso idrico del fiume nell'estate amazzonica - secondo semestre dell'anno - arriva a toccare appena mille metri cubi al secondo, contro i ventimila del periodo delle pioggie. Da qui la necessità di costruire grandi dighe a monte, con il fine di rendere più regolare il flusso e aumentare l'energia prodotta.
I giochi sono fatti e migliaia di persone sono ora inconsolabili. A nulla è valsa la promessa di Brasilia di limitarsi a questa unica centrale. L'effetto devastante che avrà basta e avanza. E lo testimoniano gli studi di 40 specialisti riunitisi in una tavola rotonda apposita, i quali hanno pesantemente criticato le approssimazioni e gli errori dello Studio di impatto ambientale scritto ad hoc per fare approvare il progetto. Le due dighe previste e la deviazione del corso delle acque non solo ridurranno drasticamente il flusso in un tratto di cento chilometri all'altezza della Volta Grande, con la conseguente e probabile estinzione o diminuzione di molte specie di pesci, ma cambierà l'ecosistema di tutto lo Xingú. Parola di Hermes Medeiros, professore di ecologia alla Universidad Federal de Pará, Altamira.
La Volta Grande è lunga cento chilometri e fatta di rapide e cascate. È dunque una barriera naturale alla migrazione della fauna acquatica, e divide il fiume in due parti ecologicamente molto differenti. Subendo la deviazione, questa preziosa funzione andrà perduta. Le due dighe verranno infatti costruite dove finisce la parte più accidentata del rio, e proprio qui sorgerà la centrale. E anche tutti coloro che da sempre vivono di pesca, di raccolta di castagne e di altre erbe officinali tipiche della Amazzonia, molto richieste dalle industrie di cosmetici che ne ricavano preziosi oli essenziali, resteranno a bocca asciutta. Un disastro a catena, dunque, che sembra nessuno avrà il potere di scongiurare.
Stella Spinelli
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