C’è chi lascia la città e si trasferisce in West Bank, rinunciando al proprio “status di residente permanente” a Gerusalemme Est. C’è chi, demolita la propria abitazione, si trasferisce a casa di amici, parenti o conoscenti, causando ulteriori problemi di sovraffollamento in una città dove la densità abitativa raggiunge livelli estremi. E poi c’è chi, come la famiglia Gawi, ha scelto di accamparsi per mesi in tende davanti alla propria ex-abitazione, occupata da settlers israeliani. Demolizioni o sfratti a favore di cittadini israeliani: due realtà, due distinte giustificazioni su base legale. Ma il risultato delle politiche israeliane a Gerusalemme Est è lo stesso: migliaia di palestinesi perdono la propria abitazione.
Eppure, la demolizione di case palestinesi a Gerusalemme Est prosegue, creando disagi e problematiche per interi quartieri e centinaia di persone. Secondo i dati riportati dall’associazione B’tselem sarebbero 449 le case abbattute dal 2004 al 2009: le abitazioni di 1655 palestinesi. E sei edifici sono stati abbattuti nelle scorse settimane, lasciando altre decine di famiglie senza un tetto.
Le case distrutte dalle autorità israeliane sono state costruite illegalmente senza il permesso della Municipalità di Gerusalemme e il loro abbattimento appare, pertanto, in qualche modo giustificato. Ma il problema, come spiegano attivisti e associazioni di diritti umani, è tutt’altro: molti palestinesi di Gerusalemme Est, 260mila attualmente – e si stima che entro il 2030 raggiungeranno il mezzo milione – non hanno un posto dove vivere. Ottenere un permesso di costruzione è problematico e spesso impossibile, in quanto le proprietà a Gerusalemme Est non sono mai state registrate e dal 1959 non esiste un piano urbanistico municipale. Gli abitanti, quindi, da anni costruiscono abusivamente: secondo l’associazione Ir Amim, delle 46.000 case attualmente esistenti a Gerusalemme Est, circa 20.000 non avrebbero ottenuto alcun permesso municipale.
Altre soluzioni, secondo EIlan Katz, collaboratore di Ir Amim, non ce ne sarebbero. “Mancano decine di migliaia di unità abitative: non potendo ottenere permessi legali i palestinesi residenti a Gerusalemme Est sono costretti a trasferirsi altrove, con tutte le conseguenze personali e professionali che ciò comporta, a vivere in stati di sovraffollamento o a costruire abusivamente. E anche in quest’ultimo caso, non risolvono chiaramente il problema, in quanto vivranno costantemente con la paura che rientrando, una sera, la cosa potrebbe non esserci più”. Un’ulteriore difficoltà, poi, la mancanza di fognature e l’impossibilità di collegare molte abitazioni alle tubature dell’acqua. “In molti casi si vedono cisterne sui tetti delle case di Gerusalemme Est: è perché non ci sono allacciamenti con i sistemi di fornitura cittadini”.
Una faccenda burocratica? Non solo: ogni azione a Gerusalemme rappresenta una decisione di tipo politico. “Di tutte le questioni che compromettono il conflitto israelo-palestinese, quella di Gerusalemme è una delle più, forse addirittura la più, complessa. L’annessione da parte di Israele di Gerusalemme Est nel 1967, l’intensa attività di costruzione di migliaia di unità abitative per israeliani nel territorio annesso e l’aumento di popolazione palestinese- che oggi rappresenta un terzo dei residenti della città-, ha fatto della realtà geopolitica e demografica della città un complesso mosaico”, dichiara l’associazione Ir Amim in un documento pubblicato nel mese di giugno.
La situazione, secondo quanto riportato da Amnesty International in una relazione dal titolo “As safe as houses? Israel’s demolition of Palestinian homes” (in inglese in. pdf) pubblicata il mese scorso, non sarebbe sostenibile in quanto verrebbe violato il diritto, sancito dall’articolo 11 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, a un alloggio adeguato. “I palestinesi che vivono sotto l’occupazione israeliana a Gerusalemme Est e nel resto della West Bank subiscono restrizioni tali sui permessi di costruzione da compromettere il loro diritto ad un alloggio adeguato. Le autorità israeliane condannano come ‘illegali’ e distruggono case e altre strutture costruite senza quei permessi che loro stesso controllano e raramente rilasciano ai residenti palestinesi”.
Come denunciato da Amnesty International e numerose altre organizzazioni non governative o associazioni di attivisti israeliane e palestinesi, ai residenti espulsi non viene offerta alcuna abitazione alternativa o risarcimento. In quanto Stato parte della Convenzione, invece, Israele dovrebbe rispettare l’articolo 11 della Convenzione garantendo il diritto ad un alloggio adeguato senza discriminazione.
Michela Perathoner
(Gerusalemme – inviata di Unimondo)
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