E’ una cantilena terribile, un lamento. Antonio ha 6 anni e si dondola dentro un letto contornato di sbarre metalliche finché non arriva il sonno. E’ uno dei tanti pargoli abbandonati dai genitori negli orfanotrofi, oggi ribattezzati “presidi residenziali socio-assistenziali”. Ci saranno in Italia un padre e una madre per lui? Anche se ci fossero sarebbe difficile fargli sapere che il piccolo esiste. Perché Antonio sopravvive in un istituto del Mezzogiorno, dove molti orfanotrofi non sono neppure censiti né conosciuti. Ospiti degli orfanotrofi sono anche i giovani provenienti da famiglie in difficoltà, in cui i genitori sono separati, hanno problemi di alcool, droga, carcere, abusi sessuali; e tanti sono figli di immigrati. Adozioni? Attualmente nel Belpaese non esiste una banca dati che consenta di fornire informazioni sui bambini che attendono di ritornare figli. E non è stata mai istituita l’anagrafe dei minori che vivono in strutture di ricovero. A tutt’oggi non esistono ancora anagrafi regionali. Eppure è un obbligo sancito dall’articolo 40 della legge 149 del 28 marzo 2001. E’ la stessa norma che impone la chiusura degli istituti entro la fine del 2006, per offrire agli orfani «una famiglia» o «inserimento in comunità di tipo familiare caratterizzate da rapporti interpersonali analoghi a quelli di una famiglia». Insomma, ambienti più adeguati alla loro crescita. Il governo Berlusconi interpellato in materia da decina di interrogazioni non risponde. Attualmente questi reclusori restano ancora aperti. Ma quanti sono, ora, i minori in istituto e nelle comunità? Dai dati ufficiali al 30 giugno 1998, risultavano ricoverati in 1802 strutture assistenziali 14.945 minori, di cui 1.174 portatori di handicap. Al 31 dicembre 1999, secondo l’ Istat, i minori presenti nelle strutture residenziali erano saliti a 28.148. L’ultima stima dell’Osservatorio nazionale sui minori dell’Istituto degli Innocenti di Firenze e del ministro del Welfare contava 202 istituti nel 2003. Secondo i dati istituzionali più recenti quella cifra è scesa: 140 gli istituti contati in 19 regioni, ai quali si sommano i 30 della Campania. Si arriva così a 170 istituti e circa 2 mila minori ancora dentro. Perché le cifre sono così altalenanti? «Le tipologie di classificazione sono eterogenee. Purtroppo non si investono grandi risorse sulle ricerche – attesta Giulia Milan, responsabile per l’Istat delle indagini sui minori – Le nostre indagini sono lunghissime. E le regioni non collaborano. I dati non sono aggiornati». In effetti l’Istat non conduce un’indagine completa dal 1999. A parte i ritardi dei censimenti, i dati elaborati devono essere sempre integrati con quelli di altri minori classificati in categorie assistenziali nelle quali non sono numericamente distinguibili. Ecco gli unici numeri ufficiali: «55 istituti attivi, di cui 32 in attesa di trasformazione, per un totale di 515 minori». Mentre l’ultima Relazione della Commissione parlamentare per l’infanzia della Camera si riferisce a «28 mila i minori in istituto». Quanti sono, dunque, i bambini fuori dalla famiglia? Ecco la stima realizzata dalla Commissione: «È possibile stimare in circa 3.000 il numero di minori attualmente in istituto. Per avere il dato complessivo dei “minori fuori dalla famiglia” è necessario aggiungere a questo numero la quota di minori accolti nelle comunità (familiari ed educative) che possono essere stimati tra i 15.000 ed i 20.000 (anche in riferimento ai ricoveri “anomali”) ed il numero dei minorenni in affidamento familiare che nel 1999 in Italia erano 10.200, di cui 5.280 in affidamento intra-familiare e 4.668 in affidamento etero-familiare (per 252 soggetti non è stata fornita l’informazione sulla tipologia di affidamento), in base alla ricerca, sempre condotta dal Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza». Se si fa il calcolo sulla base di questo ragionamento, il numero è impressionante: 28-30 mila minori. In realtà, oggi in Italia non si può sapere esattamente quanti bambini sono senza famiglia. Lucia Nencioni, responsabile della Comunicazione dell’Istituto degli Innocenti rivela: «In Italia tali strutture cambiano nome e non si trovano più, altre vengono usate prima di essere censite, altre ancora si mimetizzano. Gran parte delle regioni non ha il polso della situazione». Queste strutture del secolo scorso sono davvero scomparse? E chi e che cosa ne ha preso il posto, visto che i minori fuori dalla famiglia sono sempre numerosi? Mistero. In realtà non si conosce il numero esatto dei minori attualmente ricoverati negli istituti o ospitati nelle comunità. E’ certo comunque che in condizioni di adottabilità c’è solo il 10 per cento. Che fine faranno? Le nuove strutture per accogliere i ragazzi non sono pronte. Dopo la rivoluzione annunciata, gli orfanotrofi in Italia esistono ancora. Dei 215 aperti al 2003 ne sarebbero rimasti 144, ma è un dato provvisorio: Campania e Calabria non danno le cifre aggiornate. Al Sud resistono grandi orfanotrofi. Soprattutto in Sicilia, Campania e Calabria, che insieme alle altre regioni si sono spartite i due milioni di euro stanziati dal governo Berlusconi per la riforma dell’accoglienza ai minori, e non si sa con certezza cosa ne abbiano fatto, visto che in Italia i bambini in affido familiare sono aumentati solo di poche migliaia dal 1999, mentre i minori nelle piccole comunità sono passati dai 14.747 del 2003 ai 15 mila di oggi. E poi ci sono anche i bambini che vengono abbandonati in strutture fantasma per la seconda volta, dopo adozioni fallite. I ripudiati dell’adozione sono più di cento all’anno. La legge 149 doveva capovolgere la vita dei bambini senza famiglia invece si è eclissata, nel disinteresse generale. Attendiamo l’avvocato del minore, istituito dalla 149 e mai creato. I fondi per questo gratuito patrocinio sono stati rimandati a giugno 2007, ma siamo già oltre di tre anni. Nel frattempo, per ogni piccolo ospite le regioni pagano rette variabili dai 65 euro al giorno della Sicilia ai 150 della Lombardia. Ed infine si contano circa 8 mila piccoli immigrati, i cosiddetti “minori stranieri non accompagnati”. Raramente un ragazzino, per di più “extra-comunitario”, viene accolto in affido familiare. Delle case-famiglia e piccole comunità, quelle che dovranno rimpiazzare i vecchi orfanotrofi, non esiste ancora un censimento nazionale: si sa solo che scoppiano, con i loro ventimila giovani ospiti. Parecchie Regioni non hanno stabilito i criteri che stabiliscono distinzioni in case-famiglia, comunità alloggio e affido familiare. Risultato: se in sette Regioni gli istituti non esistono più, la Sicilia ne conta ancora 55, e altri 90 resistono solo tra Campania, Calabria e Puglia. Le critiche più significative sono state espresse dall’Anfaa (Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie). Innanzitutto, il sostegno economico promesso dalla legge 149/2001 alle famiglie d’origine e alla famiglia affidataria è generico ed aleatorio, in quanto è subordinato alla disponibilità finanziarie dei bilanci di regioni ed enti locali. Secondo l’Anfaa «era generico l’impegno a chiudere gli orfanotrofi entro il 2006». Infatti al riguardo non è stato disposto nulla in caso di inadempienza. Ecco un altro rebus: quali caratteristiche devono possedere le comunità di tipo familiare? La definizione degli standard minimi dei servizi e dell’assistenza che devono essere forniti dalle comunità di tipo familiare è rinviata alle regioni, e non tutte li hanno emanati. Decine di migliaia di bambini sono abbandonati negli istituti senza la speranza di trovare una nuova famiglia. La legge non funziona e le adozioni restano un miraggio. Hanno tra i due e i diciotto anni, niente famiglia, storie di degrado alle spalle. E più di tutto temono il futuro.
fonte: www.terranostra.it
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