Come se non bastassero i drammatici problemi ambientali di cui già soffre Taranto, il golfo su cui si affaccia la città è finito nel mirino dei petrolieri. Il ministero dello Sviluppo Economico ha, infatti, dato l’ok a Shell e Eni per scandagliare i fondali del Golfo di Taranto alla ricerca dell’oro nero. A Taranto, l’ENI possiede già una raffineria e una centrale termoelettrica ma la compagnia potrebbe espandersi sul mare per le estrazioni di petrolio.
La vicenda delle trivellazioni nel mar di Taranto è iniziata 13 anni fa con una richiesta che è stata sempre respinta perché secondo il ministero dei beni culturali la procedura riguardava un’area di interesse ambientale di particolare bellezza. Fino al luglio dello scorso anno. Nell’estate del 2009, purtroppo, la compagnia ha ottenuto il permesso di sondare i fondali alla ricerca di idrocarburi con il sistema della sismica di riflessione (metodo Air Gun).
Secondo l’associazione pescatori di Taranto il metodo “reca danni al settore della pesca e alle praterie di Posidonia oceanica dell’isola di San Pietro che è un SIC, “sito di interesse comunitario”. Pochi i vincoli richiesti: interrompere i lavori in caso di ritrovamento di siti archeologici o in caso di avvistamento di cetacei per almeno mezz’ora e fino a quando gli animali non si sono allontanati.
Il 30 aprile scorso l’ex ministro allo sviluppo economico, Claudio Scajola, tramite l’Ufficio minerario idrocarburi e geotermia del Ministero, ha rilasciato anche a Shell il permesso di ricerca petrolifera nel Golfo di Taranto e il 3 maggio la compagnia, tramite Marco Brun, Ceo di Shell Italia E&P spa, ha comunicato l’ottenimento di due licenze per l’estrazione petrolifera in una zona di mare di quasi 1400 chilometri quadrati. Nel febbraio di quest’anno il TAR di Lecce aveva bloccato un progetto di ricerca di giacimenti dell’inglese Northern Petroleum che aveva ricevuto l’autorizzazione di due ministeri; quello dell’Ambiente e quello per i Beni e le attività culturali, mentre un progetto simile, nella zona delle isole Tremiti della società irlandese Petroceltic Elsa, avrebbe avuto l’autorizzazione della commissione VIA.
Cosa succederebbe se ci fosse una perdita di petrolio nel Mediterraneo?
Se l’incidente nel golfo del Messico fosse avvenuto nelle nostre acque avrebbe sparso una marea nera in grado di ricoprire un’area da Trieste fino al Gargano, soffocando l’intero Adriatico. Se è vero che incidenti del genere sono rari nei fondali bassi, è vero anche che il rischio esiste e i danni sarebbero devastanti per un mare chiuso, su cui si affacciano 20 stati e vivono 135 milioni di persone.
Le preoccupazioni sono concrete considerando che tra poche settimane la British Petroleum avvierà le trivellazioni nel golfo della Sirte, in Libia, per estrarre petrolio ad una profondità di 1700 metri.
Le acque del Mediterraneo conoscono già il petrolio; il 25% del traffico mondiale di petroliere transita da qui e come ha spiegato alla rivista Focus Ugo Biliardo, docente di meccanica di idrocarburi alla Sapienza di Roma, “il problema è rappresentato dalla pratica di lavare le stive in mare aperto anziché nei porti. Ogni anno con questa attività illegale sono rilasciate in mare 150 mila tonnellate di petrolio”.
E, sempre a Taranto, un impianto solare fotovoltaico è stato installato sul tetto della palazzina direzione dello stabilimento Ilva di Taranto.
Si tratta, annuncia un trionfalistico comunicato dell’azienda, di un impianto in grado di produrre energia elettrica con una potenza di 160 kwp che si estende su di una superficie complessiva di 1.164 mq che 8secondo l’Ilva “consente significativi miglioramenti sotto il profilo ambientale realizzando, in particolare, una importante riduzione delle emissioni di anidride carbonica immessa in atmosfera”.
“Da oggi sarà inoltre possibile quantificare costantemente l’attività produttiva dell’impianto solare attraverso un apposito pannello luminoso che, con i suoi circa 200 mila led, permetterà” prosegue la nota dell’Ilva “una lettura immediata e aggiornata dell’energia prodotta dall’impianto e della conseguente riduzione delle emissioni di CO2 in atmosfera, riferite sia al singolo giorno che del mese in corso”.
Come se non bastasse, Fabio Riva, vicepresidente del gruppo proprietario dell’Ilva di Taranto, ha spudoratamente parlato del futuro del siderurgico in una demenziale intervista al settimanale tarantino Wemag, e ha affermato, senza rispetto alcuno per i cittadini, che “Si sta peggio a Milano, dove io vivo, che è molto più inquinata di Taranto”. Il futuro presidente del’Ilva, per la prima volta, ha anche parlato del rapporto con la città, dell’inquinamento e del fronte aperto con gli ambientalisti. “Come faccio a pensare – ha sostenuto Riva – che c’è qualcuno che mi odia se io do da lavorare!. Non mi è mai venuto in mente che qualcuno nella città possa odiarmi. Non l’ho mai immaginato”.
Sul fronte avverso, quello ambientalista, si registra una prima vittoria significativa.
Il Comitato dei garanti per il referendum consultivo comunale sull’Ilva, costituito dal preside della II facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bari, professor Uricchio, dal procuratore della Repubblica Acquaviva e dal professor Triggiani dell’Università di Bari, ha “liquidato” il referendum consultivo comunale Ilva, considerando regolari le firme raccolte (12.000) dal Comitato promotore e trasmettendo gli atti in data 27 luglio 2010 al sindaco di Taranto per l’indizione del referendum.
Lo ha reso noto l’avvocato Nicola Russo, coordinatore del Comitato promotore referendario per la tutela della salute e del lavoro “Taranto Futura”.
“Il Comitato promotore – ha detto Russo – invita il sindaco di Taranto a stabilire di comune accordo con il comitato promotore referendario la data per chiamare alle urne i cittadini di Taranto, nel rispetto della democrazia e della leale collaborazione.” “Il comitato “Taranto Futura” – ha proseguito – esprime soddisfazione per il raggiungimento degli obiettivi referendari, facendo presente che quando c’è il popolo che si muove non ci sono poteri forti che tengano, anche se – ha concluso – questi sono supportati al livello locale da collaboratori”.
Il Comitato per il referendum appare, dunque, soddisfatto e parla di risorgimento tarantino. “E’ in atto – afferma l’avvocato Russo – una rivoluzione democratica e il popolo tarantino è con noi. Non chiediamo – ha precisato – la chiusura dell’Ilva tout court, ma un piano di riconversione che anzitutto assicuri un’alternativa ai posti di lavoro, dopodichè l’Ilva potrà essere chiusa”.
Ecco allora, i quesiti che saranno sottoposti ai tarantini:
- Volete voi cittadini, al fine di tutelare la vostra salute e quella dei lavoratori, la chiusura dell’Ilva?
- Volete voi cittadini, al fine di tutelare la vostra salute e quella dei lavoratori, la chiusura dell’area a caldo dell’Ilva, maggiore fonte di inquinamento?
- Volete voi cittadini che il Comune di Taranto chieda all’Ilva S.p.A. il risarcimento dei danni, in seguito alla condanna definitiva da parte della Corte di Cassazione dei responsabili del citato impianto siderurgico per inquinamento ambientale, tenendo presente che gli interessi diffusi, come quelli dell’ambiente e della salute, non possono essere oggetto di accordo da parte dell’ente locale, così come sancito dalla Corte di Cassazione e dalla magistratura amministrativa?
“Il risarcimento del danno ambientale – afferma Russo – è imprescrittibile perché l’inquinamento è permante. C’è una ricca giurisprudenza in merito e ora – conclude Russo – i tarantini si devono rendere responsabili e decidere futuro dei loro figli e dei loro nipoti”.
Nella torrida estate pugliese, l’appuntamento referendario, seppur solo consultivo, sembra poter costituire un primo passaggio per valutare in concreto la determinazione di tutti i cittadini, non solo dei comitati ambientalisti, a voltar pagina definitivamente.
fonte: www.gliitaliani.it
voglio vedere come paghiamo il mutuo e le belle macchine senza lo stipendio ILVA... 13.000 dipendenti, apriamo una bella "salerno reggio calabria" della conversione così lo stato ci mantiene a tutti...ottimo, cavalcare la paura della gente, c'è l'ha insegnato il nostro illustre Presidente Berlusconi
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