Alessio Nannini
CACCIA. La Corte Europea ha fermato il divieto di commercio per i prodotti canadesi accogliendo il ricorso di 16 industrie della pellicceria appoggiate dal governo del Canada.
La decisione definitiva sarà presa il 7 settembre
pochi giorni fa avevamo salutato con soddisfazione la messa al bando dei prodotti canadesi di foca nei Paesi della UE. Neanche il tempo di rallegrarsene, che ecco il contrordine: avanti tutta, o quasi tutta. Almeno fino al 7 settembre. La notizia, inattesa, è che la Corte Europea ha sospeso il divieto perché sedici soggetti, tra cui il noto Inuit Tapiriit Kanatami, sono interessati nel procedimento legale presentato presso il tribunale di Strasburgo. Fino alla data indicata la messa al bando non ci sarà, e dunque dal Canada potranno continuare ad arrivare le merci a base di foca. Nell’Ordinanza della Corte si legge che l’accoglimento della richiesta di sospensione è dovuto al fatto che i giudici dovranno valutare le argomentazioni dei ricorrenti anche alla luce delle recenti disposizioni della Commissione Europea circa le modalità di applicazione del bando.
Intanto fanno festa le organizzazioni di Inuit ma soprattutto le industrie della pellicceria, Fur Institute of Canada, Ta Ma Su Seal Products, NuTan Furs Inc, e Canadian Seal Marketing Group, che ovviamente difendono da sempre la caccia. Sebbene gli animalisti guardino alla sospensione come un ritardo di piccola entità, l’industria canadese ritiene di poter convincere la Corte Europea delle proprie ragioni. In gioco ci sono i rapporti economici dei Paesi dell’Unione Europea con il Canada, e il contenzioso si è aperto proprio in un momento delicato delle trattative commerciali: Stephen Harper, il primo ministro canadese, è intervenuto in maniera energica difendendo i cacciatori di foche e definendo ingiusta la messa al bando decisa dai Paesi europei.
Una posizione ribadita anche da Gail Shea, ministro della Pesca, che ha lanciato una dura accusa a Bruxelles, cioè di aver preso una posizione che viola gli obblighi verso la Wolrd Trade Organization. Nonché minacciato di rivolgersi all’organizzazione internazionale qualora la sospensione del bando non diventi definitiva. Ed ecco spiegato perché i presidenti delle industrie di pellicce si sentono sicuro del fatto loro: «Siamo incoraggiati dalla decisione presa dalla Corte - ha detto Dion Dakins, direttore di NuTan Inc (che da sola copre tra la metà e un terzo della produzione canadese), e membro del board del Fur Institute of Canada -. Dimostra che stanno prendendo molto sul serio la nostra domanda».
In Europa sono le associazioni ambientaliste a pesare sul piatto della bilancia. Sono molti, anche nell’opinione pubblica, a ritenere la caccia alla foca sia un’industria non solo barbara, ma anche poco proficua economicamente. Le vittime sono per lo più cuccioli, perché incapaci di nuotare e perché ricoperti di un pelo più pregiato: si stima che il 97 per cento delle foche uccise abbiano meno di tre mesi di vita. Uccisioni che avvengono non per tradizione, come si vuol far credere, perché quelle perpetrate dagli inuit risultano essere assai inferiori al 2 per cento del totale. Di questo la Corte Europea non potrà non prendere atto.
Intanto fanno festa le organizzazioni di Inuit ma soprattutto le industrie della pellicceria, Fur Institute of Canada, Ta Ma Su Seal Products, NuTan Furs Inc, e Canadian Seal Marketing Group, che ovviamente difendono da sempre la caccia. Sebbene gli animalisti guardino alla sospensione come un ritardo di piccola entità, l’industria canadese ritiene di poter convincere la Corte Europea delle proprie ragioni. In gioco ci sono i rapporti economici dei Paesi dell’Unione Europea con il Canada, e il contenzioso si è aperto proprio in un momento delicato delle trattative commerciali: Stephen Harper, il primo ministro canadese, è intervenuto in maniera energica difendendo i cacciatori di foche e definendo ingiusta la messa al bando decisa dai Paesi europei.
Una posizione ribadita anche da Gail Shea, ministro della Pesca, che ha lanciato una dura accusa a Bruxelles, cioè di aver preso una posizione che viola gli obblighi verso la Wolrd Trade Organization. Nonché minacciato di rivolgersi all’organizzazione internazionale qualora la sospensione del bando non diventi definitiva. Ed ecco spiegato perché i presidenti delle industrie di pellicce si sentono sicuro del fatto loro: «Siamo incoraggiati dalla decisione presa dalla Corte - ha detto Dion Dakins, direttore di NuTan Inc (che da sola copre tra la metà e un terzo della produzione canadese), e membro del board del Fur Institute of Canada -. Dimostra che stanno prendendo molto sul serio la nostra domanda».
In Europa sono le associazioni ambientaliste a pesare sul piatto della bilancia. Sono molti, anche nell’opinione pubblica, a ritenere la caccia alla foca sia un’industria non solo barbara, ma anche poco proficua economicamente. Le vittime sono per lo più cuccioli, perché incapaci di nuotare e perché ricoperti di un pelo più pregiato: si stima che il 97 per cento delle foche uccise abbiano meno di tre mesi di vita. Uccisioni che avvengono non per tradizione, come si vuol far credere, perché quelle perpetrate dagli inuit risultano essere assai inferiori al 2 per cento del totale. Di questo la Corte Europea non potrà non prendere atto.
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