La storia dell’umanità è piena di esempi di omicidi di massa e stermini di gruppi etnici messi in atto in diversi periodi e luoghi del mondo. Dall’eliminazione degli indigeni nelle Americhe, all’Olocausto degli ebrei, passando dalla strage di Srebrenica al genocidio in Darfur. Esistono, però, casi che, per la mole di vittime, possono essere paragonati a veri e propri massacri diluiti nel tempo, ma che rimangono circondati dal silenzio e di cui non viene fatta menzione nei libri. Il gendercide, l’omicidio commesso in base al genere sessuale, appartiene a questa tipologia di crimine.
Per secoli, uomini e donne sono stati egualmente presi come bersaglio da politiche mirate esclusivamente all’eliminazione di uno o l’altro ‘genere’ (è toccato anche ai Joyas, il cosiddetto “terzo genere” vissuto nella società precoloniale nel XVI secolo, che fu sterminato dai colonizzatori spagnoli). Guerre, fame e tradizioni culturali sono alcuni dei fattori che contribuivano al massacro. Oggi la società si trova a fare i conti con nuove realtà e problemi e con altre concezioni della vita che stanno deteminando una versione moderna del tradizionale gendercide. Complice lo sviluppo della scienza e un sempre più diffuso relativismo culturale che ha permesso, nel tempo, atteggiamenti più o meno tolleranti nei confronti di fenomeni che in realtà sono aberranti. Vittime, in primis, le donne.
Circa 100 milioni di femmine sono, per così dire, demograficamente “scomparse” dalla faccia della Terra. A denunciare per prima volta nel 1990 questa tragedia è stato il premio Nobel dell’Economia Amartya Sen. Una cifra che ingloba gli aborti selettivi, l'infanticidio, l'abbandono di neonati, gli abusi che portano al suicidio, il disprezzo delle figlie femmine al punto di lasciarle morire, le violenze sul corpo delle donne che portano alla morte (come nel caso delle mutilazioni genitali) e omicidi di varia natura. Tutti accomunati da un’unica caratteristica: appartenere al genere femminile e, quindi, venire considerate esseri inferiori all’uomo.
Non si tratta della solita retorica femminista. Parliamo di una vera e propria violenza protratta nel tempo nei confronti delle donne, un sopruso che ancora oggi viene legittimato o tollerato dai governi...
Il caso più esemplare – e che oggi fa più rabbrividire di più – è il “feticidio” femminile. Si tratta dell’aborto attuato dopo aver conosciuto il sesso del feto, compiuto solo ed esclusivamente perché non è quello desiderato dai genitori, cioè a dire quello maschile. Complice di questo tipo di omicidio è la diffusione sempre più massiccia delle tecnologie prenatali, che permettono di scoprire se una donna incinta aspetta un maschietto o una femminuccia, ma anche la sempre maggiore diffusione delle “famiglie ristrette” (e di conseguenza, il calo della fertilità) in ossequio alla tradizionale concezione che “un figlio maschio sia più conveniente di una femmina”.
Il caso più esemplare – e che oggi fa più rabbrividire di più – è il “feticidio” femminile. Si tratta dell’aborto attuato dopo aver conosciuto il sesso del feto, compiuto solo ed esclusivamente perché non è quello desiderato dai genitori, cioè a dire quello maschile. Complice di questo tipo di omicidio è la diffusione sempre più massiccia delle tecnologie prenatali, che permettono di scoprire se una donna incinta aspetta un maschietto o una femminuccia, ma anche la sempre maggiore diffusione delle “famiglie ristrette” (e di conseguenza, il calo della fertilità) in ossequio alla tradizionale concezione che “un figlio maschio sia più conveniente di una femmina”.
E’ quasi impossibile stabilire la cifra esatta delle vittime dell’aborto selettivo. La medicina però è riuscita a far emergere meglio questo fenomeno facendo due semplici conti. Secondo gli studiosi, la ratio naturale di nascita è che per ogni 100 femmine nel mondo esistano 105 maschi. Ma in certi Paesi questa forbice si allarga pericolosamente: in Cina il rapporto è di 120 maschi ogni 100 femmine (ma arriva a 130 in alcune regioni), mentre in India si calcola che ogni giorno nascono 7mila bambine in meno di quante dovrebbero. Si tratta di medie considerate “biologicamente impossibili” senza un intervento umano e che, per di più, nascondono anche un altro dato: ogni anno, in queste zone del mondo vengono realizzati un milione di aborti selettivi, che secondo l’Onu potrebbero essere molti di più.
Malgrado la distruzione selettiva dei feti femmine sia più evidente nei Paesi poveri, alcune ricerche dimostrano che siamo di fronte a un problema globale che riguarda anche le fasce più benestanti della popolazione. Anche nelle comunità asiatiche degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, infatti, il rapporto nelle nascite fra maschi e femmine svela “un’evidente alterazione” rispetto ai valori naturali, dimostrando che anche nei Paesi sviluppati si può intervenire sulla scelta del sesso, in particolar modo quella dei secondogeniti. Sabu George, uno dei più importanti attivisti indiani contro il feticidio femminile, ha denunciato l’aumento dei viaggi organizzati in India affinché una donna possa realizzare i test di selezione del sesso del nascituro, nel momento in cui il servizio sanitario britannico proibisce il trattamento a quelle donne che hanno realizzato troppi aborti.
Molti studiosi mettono in guardia dal pericolo che può rappresentare la diffusione di nuove tecnologie mediche prenatali, il progresso della scienza e l’ossessione per il figlio “perfetto”, in Paesi in cui la vita e la dignità dei feti femmina vengono comunemente messe a rischio. Ma è una questione aperta anche in Occidente, dove gli sviluppi della ricerca potrebbero portare ad aumentare sempre di più il pericolo dell'eugenetica, cioè il perfezionamento della specie umana attraverso selezioni artificiali (spesso riguarda persino i caratteri fisici o mentali ritenuti positivi, come è accaduto negli Usa al momento della selezione degli embrioni e dei donatori durante la fecondazione assistita).
Come dicevamo, al contrario di quanto possa sembrare, questi fenomeni sono tutt’altro che un sintomo della povertà e dell’ignoranza tipiche dei Paesi in via di sviluppo. La distruzione selettiva delle bambine è una tendenza non solo globale ma anche legata alle famiglie benestanti: in India e in Cina sono proprio le regioni più ricche ad avere il triste record del minore tasso di natalità femminile. Sono tantissime le ragioni culturali e sociali dell’omicidio di genere (per esempio, esistono luoghi in cui la proprietà può essere ereditata solo dai figli maschi ma c'è anche la questione della dote da consegnare all'uomo prima del matrimonio, un fattore spesso determinante per avere maggiori probabilità di avanzamento sociale), ma tra queste si impone, sempre di più, l’affermazione del “diritto di scelta” delle donne e il desiderio delle coppie moderne di avere famiglie ristrette sul modello di quanto accade in Occidente. L’obiettivo dei genitori è di avere non più di due figli. Di conseguenza, nel caso di un primogenito femmina, gli aborti selettivi diventano più frequenti nella seconda gravidanza per cercare di avere un secondogenito maschio. Non sono pochi i genitori che, per ottenere la desiderata "coppietta" (un figlio maschio e una femmina), farebbero di tutto. Anche abortire un secondo feto femmina.
In certi Paesi non tutti possono permettersi le ecografie e non sempre questo tipo di apparecchiature mediche arrivano ovunque nel mondo. Così avviene che la gravidanza non venga interrotta e il sesso del neonato si scopra solo al momento della nascita. Se è femmina, in molti casi, la sua vita può durare appena qualche minuto. E’ quanto racconta una storia ripresa dall’Economist che denuncia l’abituale omicidio di neonati femmine in Cina perché considerate “cose inutili”. Oppure le esperienze raccolte nel documento Women in a Insicure World, prodotto dal Centre for the Democratic Control of Armed Forces di Ginevra (DCAF), in cui una volontaria che ha vissuto a fianco delle Suore di Madre Teresa di Calcutta descrive questo genere di assassinio in Afghanistan (dove il padre, dopo aver ricevuto le condoglianze, può decidere se tenere oppure sopprimere la bambina) e in Nigeria (dove, secondo la tradizione, in caso di parto gemellare con maschio e femmina, ad essere abbandonata è sempre la bambina).
Allo stesso modo, se una bambina riesce a salvarsi da questa terribile morte dopo il parto, non è detto che riesca comunque a sopravvivere col passar degli anni. L’abbandono delle neonate negli orfanatrofi è di gran lunga maggiore di quello dei maschi. In alcuni Paesi, la differenza nel tasso di mortalità infantile femminile e quella maschile è impressionante. In certe culture, di fronte a periodi di scarsità alimentare, le madri preferiscono sfamare prima i figli maschi nel momento della divisione del cibo o di curarli prima in caso di malattia. Uno studio realizzato dalla World Bank nel Punjab, una ricca regione dell’India, ha svelato che le figlie secondogenite e terzogenite di madri appartenenti alla classe media hanno, nei primi 5 anni di vita, il doppio delle possibilità di morire rispetto ad un maschietto, indipendentemente dall’ordine di nascita.
Infibulazioni, violenze e soprusi sono altri fattori che vanno ad incrementare la già elevata mortalità delle donne. Si stima che siano migliaia le donne morte ogni anno a causa delle mutilazioni genitali mal realizzate e per le relative infenzioni. Un problema che, come dimostrano i casi di cronaca, è presente anche in Occidente. Il traffico di donne e le violenze (anche psicologiche) a cui sono spesse sottoposte provocano disagi che spesso appaiono incurabili: secondo la World Health Organization, in Cina il tasso di suicidi di donne è tra i più alti del mondo.
Non mancano poi veri e propri casi di massacri di genere. E’ il caso della caccia alle streghe nel Medioevo o, più di recente, di quella alle donne di Ciudad Juárez, una città di frontiera nel Nord del Messico, dove oltre 400 giovani sono state assassinate secondo lo stesso rituale: rapimento, tortura, sevizie sessuali, mutilazioni, strangolamento. Da dieci anni, al ritmo di due cadaveri al mese, nei quartieri della città maledetta vengono scoperti corpi di donne, adolescenti e bambine, nude, martoriate, sfigurate. Secondo un documentario sulla malavita in Guatemala, spesso le donne vengono prese come bersaglio sia dalle gang che dalla polizia perché “uccidere una femmina significa lanciare un messaggio ancora più chiaro e diretto” al nemico. Non mancano infine casi limite. Qualcuno ricorderà ancora la tremenda strage di Montréal, dove un giovane di 25 anni uccise 14 donne a colpi di fucile perché riteneva che il sesso femminile fosse un problema della società: in una nota, Marc Lépine motivò il suo terribile atto spiegando che “le femministe hanno rovinato la mia vita, vogliono trattenersi il vantaggio di essere donna e cercano di rubare quelli di essere uomo”.
Qualsiasi siano le ragioni dello squilibrio tra il numero di uomini e di donne nel mondo, il fenomeno rischia di provocare delle conseguenze gravissime. In Bare Branches, Valerie Hudson e Andrea den Boer spiegano che la differenza tra il numero di uomini e donne nel mondo porterà ad una più diffusa violenza e, come conseguenza, a politiche più autoritarie “per diminuire la minaccia posta dal surplus di giovani uomini”. Basta considerare che nel 2020 in Cina ci saranno tra i 30 e i 40 milioni di uomini in più rispetto alle donne. Circa un uomo su cinque, quindi, non avrà una donna da sposare. Un fatto che avrà effetti a dir poco devastanti, come la crescita della conflittualità, la moltiplicazione delle gang e l’aumento esponenziale del traffico di esseri umani (in Vietnam si sono già verificati casi di “vendite” di spose a giovani cinesi in regioni dove le donne scarseggiano) ma anche l’incremento delle coppie miste.
Non si tratta però solo di un problema di sicurezza internazionale. Una ricerca fatta per l’International Food Policy Research Institute di Washington, ha dimostrato che i risparmi delle famiglie formate da soli figli maschi sono di gran lunga superiori alle famiglie con figlie femmine. Un trend valido in tutto il mondo. Secondo l’istituto, circa metà dei risparmi cinesi accumulati negli ultimi 25 anni possono essere attribuiti alla crescita della divergenza nel rapporto tra i sessi. Se tutto questo diventasse una norma significherebbe che, a lungo andare, le politiche mirate a incrementare il consumo nella maggiore potenza economica emergente saranno inutili, creando conseguenze anche per il resto delle economie mondiali.
La denuncia del gendercide delle donne è tutt'altro che il frutto di una moderna retorica femminista. E' un problema sociale, collettivo e transfrontaliero, una macchia nella tradizionale concezione della donna diffusa, con più o meno gravità un po' ovunque nel mondo, che la rende un essere di seconda categoria. Ma il gendercide è soprattutto un ammonimento sull'urgente necessità sociale di mettere sempre la dignità dell'essere umano, al di sopra della volontà del singolo. Il gendercide non è infatti segno di una povertà culturale o economica, ma bensì di una povertà di valori.
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