DOC. Con "La baia dei lupi" Bruno e Fabrizio Urso ci conducono nel più grande petrolchimico in Italia, a nord di Siracusa. Un’inchiesta che pone l’accento sulla devastazione del territorio.
La denuncia di un grosso male nascosto e ignorato. Menzione speciale al Festival Arcipelago, la videoinchiesta La Baia dei lupi di Bruno e Fabrizio Urso è la storia del più grande polo petrolchimico italiano, a nord di Siracusa, non molto conosciuto rispetto a quelli di Porto Marghera e Taranto. «Ci siamo limitati - afferma Bruno Urso - a ripercorrerne le tappe, evitando di prendere una posizione. Appoggiandoci ad esperti, ci siamo chiesti se la costruzione di un’opera del genere deve comportare la devastazione di un territorio e malattie per la popolazione».
I due autori partono da lontano ponendosi domande a prima vista fin troppo scontate ma utili per fa capire la realtà. «Da siciliani, siamo partiti da un presupposto: volevamo sapere il perché della sua creazione, perché non è stato fatto niente per tutelare la salute pubblica, e se in Italia esista un organo adibito a questo. Ci siamo concentrati soprattutto su uno dei progetti che sorgeranno nella zona, domandandoci se aggraveranno ulteriormente la situazione».
Un lavoro lungo che scava all’interno di materiali d’archivio, coinvolgendo giornalisti e associazioni che operano sul territorio, «Ci hanno dato una grandissima mano - racconta Bruno Urso -, anche perché c’è gente che sta lottando su questo da più di trent’anni. Quindi abbiamo cercato di dare più spazio possibile anche a loro, per raccontarne l’attività. Un sito internet molto interessante è www.maccarrone.da.ru, che è la memoria storica del luogo, con tutta la documentazione e i nuovi progetti».
Tre decadi in lotta a combattere ovviamente anche contro i danni ambientali, come l’inquinamento delle falde, delle acque e dell’aria, con una percentuale di malati di tumore molto alta. «è quello che si è visto anche in altri territori con problemi simili, i quali però storicamente sono stati portati alla ribalta della cronaca, mentre qui da parte dei media non c’è stato grande interesse. All’inizio il petrolchimico portò molti posti di lavoro, inquinava però almeno la gente trovava un salario. Con gli anni, però, da 30 mila gli occupati sono scesi intorno ai 10 mila, e in più negli ultimi tempi sono cambiati i contratti, con un passaggio al tempo determinato».
Ma i problemi non sono certo finiti, l’intera zona è coinvolta in nuovi progetti. «Si tratta di un inceneritore e un rigassificatore - conclude Bruno Urso -, molto rischiosi in una zona circondata da ciminiere industriali perché basta una perdita di gas per provocare un effetto domino. In più, è un territorio altamente sismico, dove sono già presenti insediamenti NATO fino a qualche anno fa con sottomarini a testata nucleare. Adesso non sappiamo bene cosa è stoccato in quei depositi».
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