Tra il 2003 e il 2004 la polizia arresta un frequentatore della moschea di Sanremo, la stessa di Ben Slimen, sospettato di collaborare con organizzazioni estremiste e violente. Gli inquirenti decidono di indagare su altri frequentatori della moschea e mettono sotto controllo, tra gli altri, anche il telefono cellulare di Adel Ben Slimen.
Il suo calvario nasce dall’errata trascrizione di una sua telefonata con i familiari. Lui chiede «se la sua carta d’identità è pronta». Le parole e le persone si incrociano. Chiede se «gli possono inviare anche dolci locali», poi torna di nuovo la questione carta d’identità. Compare la parola «Vergina». Il traduttore la lega al documento. Adel avrebbe voluto dire: mandami delle carte di identità vergini, da compilare. Insomma, documenti falsi. Ma la «Vergina», il cui termine, in arabo, non esiste, era un semplice riferimento a una nota bevanda locale, una specie di gassosa. «Avevo visto la pubblicità in tv, una sponsor della Formula uno. Poi avevo simulato, al telefono, il rumore di un motore, come per dire che la Virgin dà lo sprint…». Per i traduttori, quel «rumore confuso» non è altro che un codice misterioso, cioè: «Teeen, teen…». Altro, come ha stabilito i giudici nella sentenza di piena assoluzione, in quelle carte, non c’è.
Il 20 novembre 2007, due anni dopo la telefonata incriminata, Adel viene arrestato e portato in carcere, in attesa del processo. Solo per quella parola, “Vergina”, e il rumore fatto al telefono: gli inquirenti non troveranno nient’altro. Resterà in carcere per due anni, otto mesi e due giorni.
«È stata un’esperienza terribile - dice – all’inizio non riuscivo a capire cosa mai avessi commesso. Per mesi ho cercato di ricostruire ogni momento della mia vita. È vero, frequentavo la moschea di Sanremo e conoscevo bene le persone sotto accusa. Ma io ho sempre vissuto in modo trasparente. Seguo i precetti del Corano ma non ho mai aderito, né mi sono mai lasciato suggestionare da visioni religiose estremiste. Credevo che il mio caso si risolvesse in pochi giorni, invece…».
Ben Slimen denuncia pure di essere stato picchiato dagli agenti della polizia con calci e pugni, nell’estate del 2009, “solo perché avevo chiesto con troppa insistenza di fare la doccia durante il tempo previsto”. Insieme all’arresto gli viene notificata l’espulsione. E quindi anche quando l’accusa per terrorismo svanirà, durante il processo, a causa dell’errore nella traduzione dell’intercettazione, resterà il decreto ingiuntivo di espulsione per clandestinità. E quindi dall’8 luglio di quest’anno è tornato a essere prigioniero: stavolta non della prigione ma del CIE di Torino. E se dovesse essere davvero rimpatriato, potrebbe toccargli una sorte ancora peggiore.
La corte europea, dopo un ricorso del suo legale di fiducia, Pasquale Paolo Cutolo di Milano, ha immediatamente sospeso il provvedimento, poiché le persone accusate di reati connessi al terrorismo («…in quanto ritenuto colpevole del reato previsto dall’art. 270-bis C.p., per avere, in concorso con altre persone, fatto parte di un’associazione per delinquere che si propone il compimento di atti di violenza in Italia e all’estero per finalità di terrorismo», così il gip), in Tunisia, vengono sottoposte a torture e a lunghe carcerazioni, come viene specificato da una sentenza della Cassazione, la 20514 del 28 aprile 2010.
Nonostante la sentenza della corte europea, la polizia ha fatto un’altra proposta per l’espulsione di Adel Ben Slimen. Il giudice di pace di Torino ha rinviato la sua decisione.
Adel è un tipo tranquillo. Nel Cie di Torino serpeggia un clima di tensione, alimentato anche dall’esterno. Ma Adel è sereno. Le rivolte non gli interessano. «Dopo quasi tre anni di carcere ingiusto mi aspettavo di tornare libero. Ma sono sempre recluso, che differenza c’è con una prigione? Nessuna. A Sanremo ho ancora degli amici, potrei avere un permesso di soggiorno per esigenze di giustizia».
tratto da : www.ilpost.it
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