RIFIUTI. Da martedì il termovalorizzatore di Acerra ha smesso di funzionare. Dopo i due forni, chiusi da mesi, è stata interrotta anche l’attività del terzo. «Problemi strutturali di costruzione», spiegano fonti interne.
Anche il terzo forno dell’inceneritore di Acerra ha smesso di funzionare. Bertolaso ieri mattina, nel corso di un’intervista televisiva a Mattino5, ha minimizzato: «Una tempesta in un bicchiere d’acqua, si è solo rotto un tubicino. Sarà riparato tutto entro stanotte (ieri notte, ndr)». Sta di fatto che ora il termovalorizzatore è completamente fermo. La Parthenope Ambiente, la filiale napoletana del gruppo bresciano A2A che gestisce l’impianto, ha deciso di spegnerlo martedì sera. La società non ne ha spiegato il motivo, ma non si è trattato di un fulmine a ciel sereno. Gli altri due forni non funzionavano già da diversi mesi.
«Difetti strutturali di costruzione», avevano rivelato fonti interne all’azienda. E, sebbene il capo della Protezione civile dica che di mezzo c’è soltanto «un tubicino», è molto probabile che anche nel terzo forno si siano riscontrati gli stessi gravi problemi. Il primo, come rivelato dal Corriere del Mezzogiorno, è fermo da metà agosto e non sarà riacceso prima della fine di novembre. Il secondo si è spento a settembre e bisognerà attendere dicembre per farlo tornare in funzione. L’inceneritore ha smesso parzialmente dunque di funzionare appena due mesi dopo il collaudo del 16 luglio del 2010, che aveva dato il via libera all’apertura dell’impianto.
«Una storia assurda. Resa inquietante dal fatto che nessuno ha visto la relazione di quel collaudo. Da settimane la sto chiedendo al presidente della Provincia di Napoli, che sulla vicenda ha pesanti responsabilità», accusa Tommaso Sodano, ex parlamentare di Rifondazione, ora consigliere provinciale della Federazione della sinistra. Del collaudo, in effetti, non c’è nessuna traccia. L’unico documento ufficiale che lo attesti è «il bilancio della Impregilo, che ha registrato, in data 16 luglio, il nulla osta dei periti in modo da poter incassare i 340 milioni di euro del contratto sottoscritto con la Regione Campania», spiega Sodano, che sul tema dell’emergenza rifiuti ha pubblicato con Rizzoli “La Peste”. Nel giro di appena due mesi, le pareti di due forni dell’inceneritore di Acerra sono già state corrose dai fumi acidi prodotti dai rifiuti bruciati.
La Fisia Babcock, che per conto di Impregilo ha costruito il termovalorizzatore, non avrebbe provveduto alle adeguate protezioni rispetto alle superfici interne dell’inceneritore. I forni, racconta chi li ha visti dall’interno, sono pieni di buchi. Per questo la Parthenope Ambiente ne ha sospeso l’attività. La terza linea, quella che è stata spenta martedì sera, si troverebbe nella stessa condizione. Non può continuare a bruciare rifiuti, perché i fumi acidi, altamente tossici, rischierebbero di fuoriuscire. Altro che tubicino, quindi. I tre forni andrebbero rifatti da capo. Per ora, la ditta bresciana subentrata all’Impregilo, sta pensando a rattoppi, che comunque verrebbero a costare oltre 12 milioni di euro. Ma la fretta è tanta: da incenerire ci sono ancora 7 milioni di ecoballe, a cui si aggiungono le 3200 tonnellate di immondizia prodotte ogni giorno in provincia di Napoli.
Lunga storia quella dell’impianto di Acerra. Sin dall’inizio molti esternarono dubbi fin dal bando di gara per la sua costruzione. Secondo i magistrati di Napoli, sembrava ritagliato su misura per Impregilo. La vicenda ha avuto strascichi in Tribunale ed è costata a Bassolino un rinvio a giudizio. Nel punteggio per l’assegnazione dell’appalto veniva dato maggiore peso ai tempi di consegna, previsti entro la fine del 2005, e ai costi. In questo modo la società guidata all’epoca da Piergiorgio Romiti è riuscita ad aggiudicarsi i lavori a scapito dell’Enel, il cui progetto, a detta degli esperti, era molto più avanzato dal punto di vista tecnologico.
L’inceneritore è stato poi completato ben oltre la scadenza dei 300 giorni fissati dal contratto e i costi sono progressivamente lievitati fino ai 340 milioni di euro finali. Sulle disfunzioni dell’inceneritore, riscontrate in questi giorni promette battaglia in Parlamento Franco Barbato, parlamentare Idv: «Dietro c’è la politica degli affari. Questa emergenza mai finita porta le firme delle due “b” più inquietanti: Bassolino e Berlusconi. Per 15 anni non si è badato a risolvere i problemi ma a fare affari. Bertolaso dovrà spiegare in Parlamento perché quell’inceneritore non funziona».
«Difetti strutturali di costruzione», avevano rivelato fonti interne all’azienda. E, sebbene il capo della Protezione civile dica che di mezzo c’è soltanto «un tubicino», è molto probabile che anche nel terzo forno si siano riscontrati gli stessi gravi problemi. Il primo, come rivelato dal Corriere del Mezzogiorno, è fermo da metà agosto e non sarà riacceso prima della fine di novembre. Il secondo si è spento a settembre e bisognerà attendere dicembre per farlo tornare in funzione. L’inceneritore ha smesso parzialmente dunque di funzionare appena due mesi dopo il collaudo del 16 luglio del 2010, che aveva dato il via libera all’apertura dell’impianto.
«Una storia assurda. Resa inquietante dal fatto che nessuno ha visto la relazione di quel collaudo. Da settimane la sto chiedendo al presidente della Provincia di Napoli, che sulla vicenda ha pesanti responsabilità», accusa Tommaso Sodano, ex parlamentare di Rifondazione, ora consigliere provinciale della Federazione della sinistra. Del collaudo, in effetti, non c’è nessuna traccia. L’unico documento ufficiale che lo attesti è «il bilancio della Impregilo, che ha registrato, in data 16 luglio, il nulla osta dei periti in modo da poter incassare i 340 milioni di euro del contratto sottoscritto con la Regione Campania», spiega Sodano, che sul tema dell’emergenza rifiuti ha pubblicato con Rizzoli “La Peste”. Nel giro di appena due mesi, le pareti di due forni dell’inceneritore di Acerra sono già state corrose dai fumi acidi prodotti dai rifiuti bruciati.
La Fisia Babcock, che per conto di Impregilo ha costruito il termovalorizzatore, non avrebbe provveduto alle adeguate protezioni rispetto alle superfici interne dell’inceneritore. I forni, racconta chi li ha visti dall’interno, sono pieni di buchi. Per questo la Parthenope Ambiente ne ha sospeso l’attività. La terza linea, quella che è stata spenta martedì sera, si troverebbe nella stessa condizione. Non può continuare a bruciare rifiuti, perché i fumi acidi, altamente tossici, rischierebbero di fuoriuscire. Altro che tubicino, quindi. I tre forni andrebbero rifatti da capo. Per ora, la ditta bresciana subentrata all’Impregilo, sta pensando a rattoppi, che comunque verrebbero a costare oltre 12 milioni di euro. Ma la fretta è tanta: da incenerire ci sono ancora 7 milioni di ecoballe, a cui si aggiungono le 3200 tonnellate di immondizia prodotte ogni giorno in provincia di Napoli.
Lunga storia quella dell’impianto di Acerra. Sin dall’inizio molti esternarono dubbi fin dal bando di gara per la sua costruzione. Secondo i magistrati di Napoli, sembrava ritagliato su misura per Impregilo. La vicenda ha avuto strascichi in Tribunale ed è costata a Bassolino un rinvio a giudizio. Nel punteggio per l’assegnazione dell’appalto veniva dato maggiore peso ai tempi di consegna, previsti entro la fine del 2005, e ai costi. In questo modo la società guidata all’epoca da Piergiorgio Romiti è riuscita ad aggiudicarsi i lavori a scapito dell’Enel, il cui progetto, a detta degli esperti, era molto più avanzato dal punto di vista tecnologico.
L’inceneritore è stato poi completato ben oltre la scadenza dei 300 giorni fissati dal contratto e i costi sono progressivamente lievitati fino ai 340 milioni di euro finali. Sulle disfunzioni dell’inceneritore, riscontrate in questi giorni promette battaglia in Parlamento Franco Barbato, parlamentare Idv: «Dietro c’è la politica degli affari. Questa emergenza mai finita porta le firme delle due “b” più inquietanti: Bassolino e Berlusconi. Per 15 anni non si è badato a risolvere i problemi ma a fare affari. Bertolaso dovrà spiegare in Parlamento perché quell’inceneritore non funziona».
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