tratto da: www.giornalettismo.com
di Alessandro D'Amato (Gregorj)
C’è un’emergenza in atto nei prezzi per il grano. La crescita dei prezzi potrebbe scatenare rivolte nel mondo come due anni fa. Le soluzioni? Ce ne sono troppe.
C’è un picco del quale nessuno, o quasi, si accorge. E’ quello del prezzo del grano, del quale scrive il Financial Times: una crescita che è incrementata ulteriormente venerdì, a causa della decisione della Russia di prolungare di altri 12 mesi il divieto di esportazione del grano.
LA RUSSIA E IL MOZAMBICO - L’annuncio di Vladimir Putin, arrivato il giorno prima, fa il paio con quanto accaduto in Mozambico. Dove un aumento del 30% del prezzo del pane ha scatenato rivolte sociali che hanno causato sette morti, 288 feriti e 3,3 milioni di dollari di danni. La polizia ha aperto il fuoco sui dimostranti dopo che a migliaia sono scesi in piazza per protestare contro l’impennata dei prezzi, bruciando copertoni e saccheggiando magazzini. La Food and Agricolture Organization ha convocato un vertice alle Nazioni Unite per discutere dell’emergenza grano. Anche se i funzionari agricoli e commercianti insistono sul fatto che le forniture di grano e succedanei sono più abbondanti che nel 2007-08, i funzionari temono che le rivolte per il cibo possano diffondersi. I prezzi del frumento sono rimasti elevati venerdì. I futures (cioé i contratti che ’scommettono’ – in realtà coprono sul rischio delle oscillazioni di prezzo – sul grano) a Chicago sono aumentati dell’1,5% a 6,91 dollari per bushel, mentre i futures del frumento europei sono rimasti su livelli storicamente elevati sopra i 230 euro a tonnellata, appena più sotto del punto toccato due anni fa a 236 euro. I prezzi del frumento hanno registrato un’impennata di quasi il 70% da gennaio, e gli analisti prevedono ulteriori aumenti dopo la decisione della Russia e le preoccupazioni sui danni del tempo ai campi dell’Australia. I problemi delle colture in Russia, che hanno sofferto la peggiore siccità mai registrata questa estate, e altrove, hanno accumulato pressione sugli agricoltori degli Stati Uniti per aumentare la fornitura nel mondo. Il Dipartimento dell’Agricoltura degli Usa ha aumentato le sue stime per le esportazioni di frumento degli Stati Uniti di 8 miliardi di dollari, per la campagna in corso.
UNA CRISI IN ARRIVO? – Il periodo 2007-88, caratterizzato nel mondo per la scarsità di cibo più forte negli ultimi trent’anni, ha innescato rivolte dal Bangladesh al Messico, scrive il FT, e ha contribuito a far cadere governi come quello di Haiti e quello del Madagascar. Oggi quella situazione potrebbe ripetersi anche in paesi più grandi. Per questo la FAO ha chiesto ai paesi di impegnarsi ad esportare, e ha puntato il dito contro la Russia. Il quarto più grande paese esportatore al mondo, con il suo embargo, ha già costretto gli importatori in Medio Oriente e (soprattutto) Nord Africa, a cercare sbocchi tra Europa e Stati Uniti. Putin ha detto che ci penserà, ma “il divieto potrà essere tolto soltanto quando sapremo quanto grano avremo raccolto l’anno prossimo”, e ha ripetuto che il grano russo serve alla Russia, “per garantire un ambiente stabile per il business”. “Questo è molto grave”, ha risposto Abdolreza Abbassian, della FAO a Roma. “Due anni di fila senza esportazioni russe creano un turbamento forte nel mercato”. Jakkie Cilliers, direttore dell’Istituto del Sudafrica di studi sulla sicurezza, ha detto che c’è preoccupazione per il ripetersi delle proteste del 2008: “Questo certamente ha rafforzato il ritorno dei militari in politica in Africa”.
CRISI ALIMENTARE? - C’è una crisi alimentare in arrivo? Su Foreign Policy dicono di sì. Le inondazioni in atto in Pakistan, oltre alla siccità e agli incendi russi, drammatizzano una situazione già difficile, con il prezzo del grano che è aumentato del 50% soltanto da giugno. Ed è solo l’inizio: a breve la domanda per le altre colture alimentari essenziali come riso aumenterà come parte di un effetto a catena sui mercati alimentari mondiali, facendo aumentare i costi per i consumatori. In particolare, l’Egitto e altri paesi che dipendono fortemente grano russo potrebbero vedere un aumento dei prezzi drammatico e disordini per le strade. Nel breve termine, scrive sempre FP, gli Stati Uniti devono mantenere la promessa del presidente Barack Obama degli Stati Uniti di spendere 3,5 miliardi di dollari in assistenza alla sicurezza alimentare. Da quando ha fatto la promessa nel 2009, solo 812 milioni dollari sono stati spesi. Sicuramente gli Stati Uniti possono fare di meglio, e ad un ritmo più veloce. L’aiuto alimentare d’emergenza è necessario ora per evitare morti inutili e carestia in Niger, Mali, Ciad, Burkina Faso, Mauritania e Nigeria settentrionale.
LA SOLUZIONE? – Foreign Policy nell’elencare i problemi indica una responsabilità anche nelle culture assistite: “Un recente rapporto della Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo indica le sovvenzioni per l’agricoltura nei paesi più ricchi del mondo è salito a 252.500 milioni dollari, ovvero il 22% delle entrate complessive del ‘agricoltori nel 2009. E gli ostacoli al libero scambio tra i paesi in via di sviluppo devono essere eliminate”. La mente ritorna alla questione delle quote latte e della Lega, oppure alla vicenda Fidenato, per indicare i metodi comunemente utilizzati da noi per dirimere talune questioni. Più che altro, però, c’è da sottolineare che sui mercati globali il cibo (e le materie prime elementari) vengono trattate come una merce qualsiasi. Il mercato globale è incapace di prezzare la fame e gli effetti sulle popolazione, che possono arrivare fino alla distruzione di una civiltà, come estrema conseguenza. In attesa di sapere se la soluzione “più libero mercato” sia quella adatta, c’è da raccontare come la interpretino, questa soluzione, i cinesi.
LA CINA SI AVVICINA - Per capirlo bisogna raccontare la storia di Bhp e Potash. La prima, un colosso minerario angloaustraliano, ha lanciato un’offerta pubblica di acquisto ostile in contanti da 130 dollari ad azione nei confronti della seconda, che produce fertilizzanti per l’agricoltura e l’agroalimentare, valutandola complessivamente 40 miliardi di dollari. Troppo poco per il mercato, che valuta il controllo intorno ai 60. Ma abbastanza per far innervosire la Cina, che prima ha minacciato una controfferta da parte della Sinofert, controllata da Sinochem (il braccio chimico del governo cinese), è partecipata al 22% da Potash. Le autorità della provincia canadese del Saskatchewan, dove ha sede Potash, hanno però messo le mani avanti: un azionista cinese, anche non di controllo, “desterebbe parecchie preoccupazioni”, ha avvertito il ministro dell’Energia Bill Boyd. “Il suo interesse, in quanto cliente, sarebbe infatti quello di mantenere molto bassi prezzi del potassio”. I cinesi hanno incassato, e rilanciato: il giornale China Business News ha annunciato la possibile apertura di un’inchiesta antitrust nei confronti delle due società. Il giornale ha citato il nuovo regime di tutela della concorrenza, varato due anni fa da Pechino, che ha esteso la possibilità di avviare indagini su operazioni condotte da società straniere, nel caso in cui queste ultime abbiano un giro di affari superiore a 10 miliardi di yuan (1,5 miliardi di dollari) e ricavino più di 400 milioni di yuan l’anno dal mercato cinese. Posizione dominante nei mercati dei fertilizzanti? Difficile sostenerlo, visto che Bhp non ne produce. Ma intanto i cinesi mettono le mani avanti. Muovendosi con una logica che tende a proteggere più che altro sé stessi, agitando la bandiera del libero mercato. Una logica che tende a considerare il cibo come un bene primario, degno di tutela maggiore rispetto ad altri. Gli altri pensano all’apertura del mercato. La prossima grande guerra, per il cibo, ci dirà chi aveva ragione.
Ricordo di quando parlai della soluzione dello studioso della FAO che propose di cibarci di insetti e altre cose più facilmente trovabili in natura... Intanto questo è un problema serio con il quale bisognerebbe farci i conti prima di arrivare all'allarme rosso.
RispondiEliminaCiao Rospè,
RispondiEliminaal di la del fatto che io sia vegetariana, e mai mi sognerei di nutrirmi di insetti, credo tuttavia che neppure questa sia la soluzione.
Direi, invece, che si potrebbe intanto iniziare a diminuire il consumo di carne dei paesi "ricchi" alleggerendo così il peso che gli allevamenti intensivi fanno gravare sulla produzione di cereali e dell'agricoltura in generale, senza poi parlare del consumo di acqua che ne deriva...ma questa è un'altra storia e un altro grande problema.
Sorrisi :)))
Namastè