fonte: www.luigidemagistris.it
Tra gli anni '80 e '90 oltre 70mila persone hanno contratto l'epatite B e C, 2mila l'Aids e, ad oggi, 4500 sono morte. La chiamano malasanità. Una parola più adatta sarebbe “genocidio”. E' la storia dello scandalo del sangue infetto scoppiato a Padova nel lontano 1994. Un traffico di plasma internazionale che, venduto al ribasso nel nostro Paese, andava a contagiare migliaia di pazienti a causa dei mancati controlli a carico del Ministero della Salute. Secondo il risultato delle indagini, i dirigenti di alcune cause farmaceutiche erano a conoscenza della pericolosità di questo sangue, utilizzato principalmente per la produzione di farmaci salvavita per emofiliaci e talassemici, ma non fecero assolutamente nulla. E così migliaia di italiani contrassero i virus dell'epatite e dell'Aids. Migliaia di storie diverse ma uguali, fatte di malattia e sofferenza. Vite rovinate e gettate al vento, in nome della solita logica del business ad ogni costo, del guadagno e del profitto. Da lì battaglie interminabili nei tribunali, processi spostati e capi d'imputazione cambiati. In gioco non più la vita, irrimediabilmente compromessa da questo diabolico traffico, ma la giustizia, il diritto di vedere i colpevoli pagare per un reato difficile perfino da concepire e di ricevere, magra consolazione, un indennizzo per ovviare alle difficoltà materiali della vita affetta dalla tragedia. Un processo interminabile, che non tutti, purtroppo, avranno il tempo di vivere fino alla fine.Degli imputati, ormai avanti con gli anni, forse nessuno andrà in prigione a pagare per quello che ha fatto.
L'ultimo capitolo risale al 2008, con il nuovo rinvio a giudizio per epidemia colposa, oggi in attesa della pronuncia del tribunale di Napoli. Difficile trovare le parole giuste per descrivere la vergogna di una simile tragedia. Difficile trovare le parole giuste per condannare l'ignavia dei colpevoli di quello che è stato. Ma è ancor più difficile capire perché, dopo circa vent'anni, ancora non si sia arrivati alla conclusione di questa piaga che affligge migliaia di persone e altrettante famiglie. Persone non solo colpite dal flagello della malattia, ma addirittura costrette a lottare per vedersi attribuire un risarcimento che, anche se nemmeno lontanamente in grado di alleviare le sofferenze patite, aiuterebbe ad affrontare la vita nelle sue piccole difficoltà materiali. Persone che come Luca, un ragazzo di Taranto, riceve un misero vitalizio di 590 euro al mese, con il quale deve viaggiare l'Italia in cerca di cure e sollievo. Adesso, dopo anni di battaglie e sentenze, ottenute anche grazie all'aiuto di alcune associazioni nate sul territorio, segno tangibile della genuina linfa vitale che ancora scorre nella società italiana, altri due spauracchi pendono sulla vita di queste persone: la considerazione della prescrizione e dell'ascrivibilità del danno patito, cavilli legislativi nel quale rischia di spegnersi il fuoco della speranza dei tanti cittadini che credono ancora nella Giustizia e nelle istituzioni ad essa preposta. Due eventualità impensabili nel caso presente di una vera e propria epidemia, quale si può definire la morte di 4500 innocenti. D'altronde la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha tirato in giudizio più volte l'Italia per come ha trattato i danneggiati da sangue infetto e farmaci infetti, la prima volta nel 2000 e poi nel 2009, sia per aver discriminato alcuni malati nel risarcimenti che per la durata dei processi. Una lunghezza che ha dell'assurdo viste le condizioni di salute particolari e precarie dei contagiati, molti dei quali non vedranno mai l'epilogo del processo che li riguarda. Possibile che bisogni guardare oltreconfine per vedere stigmatizzate simili assurdità? Evidentemente in Italia si. L'auspicio è che la Giustizia faccia fino in fondo il suo corso, ponendo la parola fine a questa terribile vicenda, nella speranza che non si debba più parlare di simili catastrofi. Come eurodeputato sarà mio dovere verificare in che misura gli standard europei di sicurezza nelle trasfusioni di sangue siano stati disattesi in Italia. Nel frattempo c'è chi parla di processo breve, prescrizione ed impunita'.
Tra gli anni '80 e '90 oltre 70mila persone hanno contratto l'epatite B e C, 2mila l'Aids e, ad oggi, 4500 sono morte. La chiamano malasanità. Una parola più adatta sarebbe “genocidio”. E' la storia dello scandalo del sangue infetto scoppiato a Padova nel lontano 1994. Un traffico di plasma internazionale che, venduto al ribasso nel nostro Paese, andava a contagiare migliaia di pazienti a causa dei mancati controlli a carico del Ministero della Salute. Secondo il risultato delle indagini, i dirigenti di alcune cause farmaceutiche erano a conoscenza della pericolosità di questo sangue, utilizzato principalmente per la produzione di farmaci salvavita per emofiliaci e talassemici, ma non fecero assolutamente nulla. E così migliaia di italiani contrassero i virus dell'epatite e dell'Aids. Migliaia di storie diverse ma uguali, fatte di malattia e sofferenza. Vite rovinate e gettate al vento, in nome della solita logica del business ad ogni costo, del guadagno e del profitto. Da lì battaglie interminabili nei tribunali, processi spostati e capi d'imputazione cambiati. In gioco non più la vita, irrimediabilmente compromessa da questo diabolico traffico, ma la giustizia, il diritto di vedere i colpevoli pagare per un reato difficile perfino da concepire e di ricevere, magra consolazione, un indennizzo per ovviare alle difficoltà materiali della vita affetta dalla tragedia. Un processo interminabile, che non tutti, purtroppo, avranno il tempo di vivere fino alla fine.Degli imputati, ormai avanti con gli anni, forse nessuno andrà in prigione a pagare per quello che ha fatto.
L'ultimo capitolo risale al 2008, con il nuovo rinvio a giudizio per epidemia colposa, oggi in attesa della pronuncia del tribunale di Napoli. Difficile trovare le parole giuste per descrivere la vergogna di una simile tragedia. Difficile trovare le parole giuste per condannare l'ignavia dei colpevoli di quello che è stato. Ma è ancor più difficile capire perché, dopo circa vent'anni, ancora non si sia arrivati alla conclusione di questa piaga che affligge migliaia di persone e altrettante famiglie. Persone non solo colpite dal flagello della malattia, ma addirittura costrette a lottare per vedersi attribuire un risarcimento che, anche se nemmeno lontanamente in grado di alleviare le sofferenze patite, aiuterebbe ad affrontare la vita nelle sue piccole difficoltà materiali. Persone che come Luca, un ragazzo di Taranto, riceve un misero vitalizio di 590 euro al mese, con il quale deve viaggiare l'Italia in cerca di cure e sollievo. Adesso, dopo anni di battaglie e sentenze, ottenute anche grazie all'aiuto di alcune associazioni nate sul territorio, segno tangibile della genuina linfa vitale che ancora scorre nella società italiana, altri due spauracchi pendono sulla vita di queste persone: la considerazione della prescrizione e dell'ascrivibilità del danno patito, cavilli legislativi nel quale rischia di spegnersi il fuoco della speranza dei tanti cittadini che credono ancora nella Giustizia e nelle istituzioni ad essa preposta. Due eventualità impensabili nel caso presente di una vera e propria epidemia, quale si può definire la morte di 4500 innocenti. D'altronde la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha tirato in giudizio più volte l'Italia per come ha trattato i danneggiati da sangue infetto e farmaci infetti, la prima volta nel 2000 e poi nel 2009, sia per aver discriminato alcuni malati nel risarcimenti che per la durata dei processi. Una lunghezza che ha dell'assurdo viste le condizioni di salute particolari e precarie dei contagiati, molti dei quali non vedranno mai l'epilogo del processo che li riguarda. Possibile che bisogni guardare oltreconfine per vedere stigmatizzate simili assurdità? Evidentemente in Italia si. L'auspicio è che la Giustizia faccia fino in fondo il suo corso, ponendo la parola fine a questa terribile vicenda, nella speranza che non si debba più parlare di simili catastrofi. Come eurodeputato sarà mio dovere verificare in che misura gli standard europei di sicurezza nelle trasfusioni di sangue siano stati disattesi in Italia. Nel frattempo c'è chi parla di processo breve, prescrizione ed impunita'.
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parliamone è importante per tutti noi coinvolti...venite a trovarci in piazza abbiamo bisogno di coinvolgere tutti in questa mattanza voluta dallo stato.
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