MILANO - Inquina troppo, e lo si è tollerato troppo a lungo. La sua fine è stata annunciata, e smentita, più volte. Ma adesso forse ci siamo. Il conto allo rovescia per la fine del sacchetto di plastica è davvero cominciato. Tempo tre mesi e non sarà più possibile uscire dal supermercato con la borsa che è diventata un simbolo dei nostri anni spreconi. Le shopper, quelle bustone che assurdamente collezioniamo, spariranno per legge e al loro posto saranno ammesse solo le più rispettose buste ecologiche che sono biodegradabili. La rivoluzione doveva entrare in vigore l’anno passato, ma un emendamento nascosto nella Finanziaria ha fatto rinviare tutto di un anno. Dunque adesso ci siamo: dal primo gennaio 2011 il divieto, santificato da una direttiva europea, dovrà scattare in maniera assoluta.
La strada, in realtà, è già cominciata: sono almeno 150 i comuni che hanno dichiarato off limits il loro territorio alla borsa di plastica e quasi tutte le catene della grande distribuzione si sono adattate. Molti produttori hanno riconvertito le produzioni.
E se a Milano l’Esselunga sta per lanciare la sua iniziativa sulla spesa ecologica, la Coop annuncia che in quasi l’80 per cento della sua rete commerciale c’è già stato il cambiamento. E chi ha monitorato le opinioni dei consumatori conclude che c’è da stare tranquilli: apprezzano. La città pilota è Torino dove a fine settembre partirà la fase due, chi cioè sarà sorpreso a consegnare la spesa in un sacchetto di plastica dovrà pagare una multa fino a 250 euro. Roberto Tricarico, l’assessore che ha guidato l’operazione, ne trae un bilancio molto positivo: “Nei negozi – dice – quelle borse sono scomparse. Resistono solo nei mercati rionali”. Ad aver convertito in massa i torinesi è stata una campagna intitolata “O la borsa o la vita”; ma la strada dell’informazione e della partecipazione è quella che è stata seguita ovunque.La Val di Fiemme ha cancellato i sacchetti di plastica addirittura nel 2009. Andrea Ventura, direttore dell’azienda dei servizi, racconta dell’accordo quadro fatto con i commercianti: “A distanza di un anno il nostro sistema è a regime e non c’è più nessuno che lamenti il costo maggiore e la resistenza minore dei sacchetti in amido di mais”. Un’inchiesta fatta attraverso interviste, ha anche spiegato perché i mugugni sono scomparsi: è come se si fosse fatta strada una nuova cultura, che privilegia il bene comune. Maura Latini, vicepresidente di Coop Italia, non ha dubbi: “Il vero cambiamento dev’essere culturale e i nostri consumatori stanno reagendo benissimo: l’80 per cento ha accettato di buon grado quello che, inizialmente, può apparire uno svantaggio”.
Certo, il sacchetto bio è meno resistente e costa di più. Però non è nemmeno l’unica strada: a Caiazzo, in provincia di Caserta, impegnata in un progetto battezzato Città slow, stanno spingendo sul ritorno alle vecchie sporte. Quelle di prima dell’ubriacatura da plastica. Quelle che Andrea Poggio, impegnato con Legambiente in un raccolta di firme per evitare che la data di morte delle shopping bag subisca un altro rinvio, chiama con nostalgia le “Roll Royce della spesa”. I sacchetti di plastica possono andarsene in pace, pochi avranno rimpianti.
Nessun commento:
Posta un commento
La moderazione dei commenti è stata attivata. Tutti i commenti devono essere approvati dall'autore del blog.
Non verranno presi in considerazione gli interventi non attinenti agli argomenti trattati nel post o di auto-promozione.
Grazie.