Di una cosa siamo più che certi: nessuno deve convincerci sulla natura senziente degli animali. E’ una straordinaria evidenza al pari del sole e della luna, delle stagioni che cambiano, del vento di tramontana e dei temporali estivi. La cogliamo per esperienza, senso comune, sensibilità e conoscenza.
E se i ricercatori di Bristol ci informano che anche il nostro cane può vedere il bicchiere (o la scodella) mezzo vuoto o mezzo pieno – come gli esseri umani – noi possiamo dire di saperlo già. “Ci sono persone – dicono gli accademici – che pensano che il loro animale mostri comportamenti ansiosi in risposta all’allontanamento dell’uomo (quando esce da casa, per esempio) e non cercano il motivo più a fondo”. Lo studio suggerisce che alcuni cani potrebbero in realtà soffrire di stati emotivi negativi di base. Ciò che si può fare è cercare un trattamento per migliorare il loro benessere con l’aiuto di esperti.
Queste ricerche, sebbene dai risultati scontati per tanti, contribuiscono a fornire elementi di cui, nel corso degli anni, anche le legislazioni si sono nutrite.
Notizia di questi giorni è la prossima approvazione del Testo Unico per la tutela giuridica degli animali, una normativa onnicomprensiva e avanzata. Ecco, considerare gli animali soggetti del diritto è un traguardo di civiltà di cui essere orgogliosi. Tutti.
Ciò di cui non andare fieri, invece, è altro. Perché le voci fuori dal coro ci sono e, purtroppo, si fanno sentire. E provengono dai cosiddetti piani alti, quelli della politica amministrativa, delle delibere becere e anacronistiche e, in fondo, della volgarità istituzionale.
Si chiamano ordinanze affama-randagi e sono il “fiore all’occhiello” della lungimiranza burocratica al contrario.
In nome dell’igiene e della salute pubblica, è vietato dare da mangiare a cani e gatti che vivono per strada. Praticamente una lenta e infame persecuzione. Al contrario, sono proprio i Comuni che hanno/avrebbero il dovere (c’è chi si è dotato di apposito regolamento) di prendersi cura delle bestiole vaganti evitando di farle morire di stenti.
Fuorilegge, quindi… e basterebbe la parola.
Ma ci sono anche i fatti. Perché ci pensano i tribunali ad annullare le ordinanze-vergogna. Basta fare un giro su Google e la rassegna stampa (con link) è servita.
A bloccarli ci pensa la legge, dunque, ma la comunità molto può fare per ben gestire le situazioni.
Si parla, ad esempio di ciò che accade a Roma, al cimitero monumentale del Verano dove, la più grande colonia felina d’Italia, 428 gatti randagi, (www.igattidelverano.it). convive in pace con cittadini e visitatori, grazie al buonsenso del direttore dei servizi cimiteriali dell’Ama di Roma, Vittorio Benedetto Borghini e dell’associazione onlus “Animal Welfare” di Luana Stefani.
E allora, perché accanirsi? Il randagismo è una condizione di disagio che deriva, con buone probabilità, da smarrimento e abbandono e che, al limite delle conseguenza, significa stenti e morte. Ora, legalizzare l’”illegalizzabile”, cioè il maltrattamento, è pratica arbitraria oltre che disumana.
E di disumanità il pianeta è colmo.
Per chi non lo sapesse, nella tristissima vicenda di Sarah Scazzi, la giovane uccisa dallo zio in Puglia, c’è posto anche per la piccola storia di un cane, un randagio come tanti, che seguiva Sarah ovunque lei andasse. Ciò è avvenuto anche nel pomeriggio in cui è stata ammazzata, cioè quando, in un modo o nell’altro, è finita nel garage del proprio parente. Il cane, che probabilmente l’aveva vista entrare, è rimasto di fronte al cancello di quella cantina giorno e notte, in attesa che la sua inseparabile amica uscisse. Ma invano.
Gli animali, come insegna anche questo avvenimento, e a differenza di tanti uomini, vivono la relazione affettiva con fedeltà e coerenza.
Ora, quest’amico sincero di Sarah verrà adottato da un volontario della sezione Enpa di Otranto.
Francesca Quarta
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