fonte: Giornalettismo
di Teresa Scherillo
Il tasso di natalità a Port-au-Prince è triplicato in 10 mesi. Le violenze sessuali sono ormai all’ordine del giorno nei campi per sfollati.
Le partorienti che non urlano nell’ ospedale Isaïe Jeanty a Port-au-Prince, cantano. Cantano la prima cosa che gli viene in gola. Cantano la konpa, che ha un ritmo tra la soka e il reggae che viene suonata tanto in radio, usata anche dai candidati che cercano voti. Cantano stese a terra, nei corridoi. Cantano prima di portare un altro bambino al mondo, in uno dei soli sei posti letto esistenti in sala parto. Dopo, con il bambino, arriva anche il silenzio. E se non ci sono complicazioni, dopo sei ore sono tornate per strada, alla ricerca di un modo per tornare a casa.
IL BOOM DELLE NASCITE - Scrive El Pais che dopo il terremoto di gennaio, la musica è aumentata negli ospedali di maternità della capitale haitiana. Negli ultimi 10 mesi, il tasso di gravidanze annuali nell’area metropolitana di Port-au-Prince, la più colpita dal terremoto, è aumentato dal 4% al 12%, secondo i dati del Fondo di Popolazioni delle Nazioni Unite (UNFPA, il suo acronimo in inglese). L’ospedale Isaïe Jeanty sta per scoppiare e loro pure. Ci sono otto donne in travaglio ancora sedute in sala d’attesa, cercando il ritmo di respirazione. Altre sei sono nel corridoio, sdraiate sul pavimento che asciugano con un panno, il liquido che fluisce dai loro corpi. Normalmente, una partoriente con cinque centimetri di dilatazione sarebbe ricoverata in ospedale. In questo ospedale senza letti a sufficienza, si ricovera quando raggiungono gli otto centimetri di dilatazione, quando il bambino sta per nascere.
EPPURE SONO FORTUNATE - Almeno loro non hanno contratto il colera. Nel centro di trattamento dell’epidemia di Medici Senza Frontiere che funziona nel patio dell’ospedale, ogni giorno 10 donne sono collegate a una sacca di soluzione fisiologica, nude, con spasmi, vomito. Quasi tutte hanno perso i loro bambini. Felipe Rojas López, cileno, 27 anni, è uno dei medici che le curano, “le donne incinte vengono qui in pessime condizioni e con questo livello di disidratazione, il flusso di sangue al feto è scarso. Così la maggior parte di bambini muoiono in utero e bisogna rimuoverli. Quelli che nascono vivi hanno bisogno di essere rianimati, così come le madri di quelli nati morti“.
LE STUPRANO NEI CAMPI PROFUGHI - Ma l’arrivo di un altro bambino a casa non sempre è una buona notizia. “Circa i due terzi di queste gravidanze sono indesiderate. E nell’ 1% dei casi, la violenza sessuale si è verificata al momento del concepimento“, afferma Igor Bosc, rappresentante di Haiti nel Fondo per le Popolazioni delle Nazioni Unite. Fino al 2005,
lo stupro domestico non era considerato un crimine in questo paese. Per alcuni degli haitiani che vivono nei campi profughi non lo è ancora adesso. Stupri di donne e ragazze, mentre vanno nelle latrine di notte o a prendere l’acqua sono sempre più comuni. Il 12 gennaio il terremoto distrusse la più grande prigione del paese, sono stati liberati migliaia di prigionieri. Durante le notti di gennaio, i campi erano più insicuri che mai. Ma la maggior parte delle donne non ammetterà mai di essere stata violentata.
SI VERGOGNANO PER LO STIGMA - Molte non hanno neppure il coraggio di ammettere di vivere in un rifugio quando, dopo nove mesi, sono registrate nel reparto maternità. Danno indirizzi di case che non esistono più, crollate durante il terremoto. Medianite Benjamin Paul, l’infermiera di turno nel pomeriggio di lunedi all’ Isaïe Jeanty, fa il test: prova a trovare una donna che vive in un campo profughi tra le 14 neo-mamme in attesa di tornare a casa. Torna con la risposta: “Preferiscono non dire che vivono nei campi perché si vergognano. Loro sanno che quelle che ci vivono sono stigmatizzate e non vogliono sentirsi emarginate“.
DOLORE NEL CORPO E NELL’ANIMA - Solo Maigala Fiseme, 34 anni, le spalle appena coperte da una pellicola di pelle, dice che sì, vive nel campo di Boutillier, nei pressi del sobborgo di Carrefour, dove la sua casa scomparve quel 12 di gennaio. Maigala non ha mai lavorato e il suo partner si dedica alla rimozione dei detriti alla ricerca di travi, barre di metallo in generale, che poi può vendere a peso. Questo che sta per avere è il suo terzo figlio, la prima è morta anni fa, molto piccola, il secondo vive con il padre, fuori di Haiti. Ora non ricorda la sensazione di quando seppe che era incinta. “Ho sentito molto dolore, nel corpo e nell’anima“- “E tu hai già deciso come si chiamerà?” le chiede Maye Primera, corrispondente da Haiti per El Pais - “Se nasce maschio, Gerson. E Maigardine, se è una bambina“. Ed è l’unico momento in cui Maigala sorride.
Nessun commento:
Posta un commento
La moderazione dei commenti è stata attivata. Tutti i commenti devono essere approvati dall'autore del blog.
Non verranno presi in considerazione gli interventi non attinenti agli argomenti trattati nel post o di auto-promozione.
Grazie.