mercoledì 8 dicembre 2010

Libano e Israele colpiti da siccità e incendi

fonte: Terra
Annalena Di Giovanni
 
MEDIO ORIENTE. Quaranta morti nello Stato ebraico, centoventi in quello dei Cedri e una staffetta di elicotteri turchi e giordani per soccorrere entrambi i Paesi. L’inverno è in ritardo e l’acqua scarseggia.

«Se continua così, la prossima guerra civile la faremo per l’acqua». L’aveva dichiarato nei giorni scorsi il ministro dell’Acqua libanese Jibran Bassil e, se non fosse per la pioggia finalmente scesa ieri a calmare gli spiriti, forse a Beirut qualche vicino di casa avrebbe finito davvero con l’aggredirsi per l’ultima tanica d’acqua ancora in vendita. In effetti fra Israele e Libano dicembre è cominciato con 28 gradi di sole e il rumore delle autocisterne che pompavano nelle case dei quartieri alti era l’unica colonna sonora per chi boccheggiava in terrazza. Quaranta morti in Israele, centoventi incendi in Libano, e una staffetta di elicotteri turchi e giordani corsi a soccorrere entrambi i Paesi: l’inverno, in Levante, quest’anno è in ritardo di due mesi.


In Libano, dove con settembre arrivano le piogge torrenziali dell’autunno andando avanti per anche 70 giorni di fila, quest’anno è successo persino che imam e vescovi si mettessero d’accordo per organizzare preghiere collettive che chiedessero l’intercessione divina presso il clima, mentre su facebook un movimento per la danza della pioggia – forte di centinaia di entusiasti – si dava appuntamento in centro città per ballare. L’inverno rovente libanese costerà caro all’economia, visto che gli stabilimenti sciistici a est di Beirut - meta privilegiata per i ricchi turisti di Abu Dhabi e Arabia Saudita - non hanno ancora visto un fiocco di neve, mentre in città le famiglie devono rinunciare a ogni lusso pur di permettersi le autocisterne di affaristi improvvisati che consegnano un’acqua marina, inquinata e contaminata, ma insomma pur sempre acqua.

Non tutti possono permettersi di spendere venti euro al giorno per riempire privatamente la propria cisterna; azioni elementari come lavarsi le mani o i piatti, o tirare l’acqua in bagno diventano impossibili nelle case sovraffollate di Ouzai o dei campi profughi palestinesi, e il rischio di colera è sempre in agguato. E se le famiglie libanesi e israeliane adesso vivono giorni post-atomici, il peggio a quanto pare deve ancora arrivare: gli esperti danno per esaurite le riserve idriche della regione intorno al 2015. Per il Libano, Paese che vanta il 120 per cento delle riserve necessarie, una simile prospettiva ha il sapore della beffa.

Si tratta di pagare il conto per decenni di abuso idrico, con acqua pompata dalle falde superficiali piuttosto che approfittare dei fiumi e dello scioglimento delle nevi con apposite dighe. Persino gli islamisti di Hezbollah si sono accorti del problema, lanciando campagne per la pianificazione degli impianti, e il risparmio d’acqua, ma invano: le decine di milioni stanziati in questi anni da volenterosi donatori occidentali si sono persi in piccoli progetti, e soprattutto nelle tasche degli impiegati ministeriali e municipali.

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