sabato 8 gennaio 2011

Far piovere nel deserto, un miracolo o una disgrazia?

Scritto da Sirio Valent

La pioggia arriva nel deserto. Per 52 giorni, nel bel mezzo dell’estate del 2010, gli scienziati sono riusciti a far piovere nel sud-est degli Emirati Arabi Uniti, a circa duecento chilometri dalla capitale Abu Dhabi. Il miracolo tecnologico dei  ricchi emiri è legato al risparmio: le nuvole inseminate costano solo 7 milioni di euro l’anno, mentre gli impianti di desalinazione dell’acqua marina ne richiedono 52. Ma gli effetti sono apprezzabili? E, soprattutto, soltanto positivi?
“Inseminare le nuvole”, come dicono gli scienziati, non è un compito facile. L’operazione consiste nell’iniettare particelle ionizzanti nell’atmosfera: di solito viene adoperato lo ioduro d’argento, parato o diffuso nell’atmosfera da aerei e cannoni. Il progetto WeatherTec degli emiri, invece, utilizza dei “lampioni” fissati a terra, che caricano elettricamente l’aria e la polvere circostanti. Le particelle cariche negativamente risalgono nell’atmosfera, trasportate dall’aria calda del deserto: quando l’umidità dell’aria raggiunge la soglia critica del 30%, le particelle favoriscono la condensa dell’acqua e provocano la pioggia.
La tecnica non è nuova ed ha finora prodotto risultati altalenanti. I cinesi assicurano di averla utilizzata all’inverso per garantire cielo terso il giorno della consegna delle medaglie alle Olimpiadi di Pechino del 2008, ma non ci sono dati certi al riguardo. I tentativi di provocare pioggia sul nord arido della Cina proseguono da diversi decenni senza ottenere cambiamenti significativi nel clima di quelle aree. Pare accertato, invece, che i test su Pechino di qualche settimana fa abbiano prodotto la più precoce nevicata della stagione, portando la capitale cinese a 2 gradi sotto lo zero e interrompendo le comunicazioni aeree e marittime per due giorni nella regione. La nevicata di Pechino mostra il lato “oscuro” della pioggia artificiale: è imprevedibile. La portata delle precipitazioni, l’intensità dei venti, la dimensione dei chicchi di grandine. La pioggia diventa così temporale e tempesta, finendo spesso per causare più danni che benefici alle regioni colpite.
A cosa serve la pioggia nel deserto? A far quadrare i conti del paese più ricco e opulento del Medio Oriente. Gli Emirati Arabi Uniti costruiscono immensi resort turistici e grattacieli infiniti nelle città della costa, ma hanno bisogno di acqua potabile e irrigua a buon mercato. Gli impianti di desalinazione dell’acqua marina sono costosissimi: un miliardo di euro per la costruzione, e oltre cinquanta milioni l’anno per il suo mantenimento. Al confronto, i “lampioni della pioggia” sono a buon mercato: appena 8,5 milioni per costruirli e 7 per farli funzionare. D’altronde, la domanda d’acqua cresce continuamente: la popolazione ha raggiunto nel 2009 i 5 milioni di abitanti, ammassati nelle città della costa.
Ma è davvero meglio la pioggia artificiale dei desalinatori? Purtroppo, non è facile incanalare e sfruttare le tempeste. Far piovere nel deserto è molto coreografico, ma inutile, se non si riesce a convogliare le acque precipitate in canali o bacini idrografici stabili. Cosa che tuttora manca, e che mancherà per diversi decenni. Anche la quantità prodotta è molto variabile: si va dalla tempesta di sabbia inframezzata di grandine a piogge sparse che asciugano prima di toccare terra. La prospettiva è sicuramente sulla lunga distanza: gli scienziati sperano di trasformare lentamente porzioni di entroterra (non proprio sabbia e dune, ma piuttosto suolo secco e arido) in zone coltivabili. O magari semplicemente vivibili. L’agricoltura infatti non è al primo posto dell’economia del paese arabico, che deve l’85% del suo Pil all’esportazione di risorse naturali (per ora soprattutto gas e petrolio, ma tra una ventina d’anni l’export di metalli sarà predominante).
Dal punto di vista ambientale, il procedimento non è considerato inquinante. Sia le tecniche di “inseminazione dinamica” attraverso lo ioduro d’argento, sia quelle statiche con i lampioni ionizzanti, non rilasciano sostanze nocive nell’atmosfera o a terra. Il rischio però è l’alterazione dei venti e dei ritmi delle precipitazioni: incoraggiare la pioggia estiva può produrre tempeste più violente durante l’inverno, o alterare gli equilibri tra i venti di terra e i venti di mare. E l’ultima cosa che può permettersi Abu Dhabi, con le sue isole artificiali a forma di palma piene di alberghi e resort turistici, è lo tsunami. Niente affatto da escludere, se si gioca troppo con le nuvole.



segnalato da: Essere "Niente"

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