Un contadino palestinese assassinato dall'esercito israeliano, appena dopo essere stato intervistato da una cooperante italiana
scritto per PeaceReporter
da Vittorio Arrigoni
da Gaza City
Un anziano contadino palestinese al lavoro nei campi. Una giovane cooperante italiana che si reca a intervistarlo.
Mentre anche ieri notte caccia F16 ci hanno tirato addosso i loro confetti di morte (tre bombardamenti a sud di Gaza City e uno a Kahn Younis) ho trascritto la registrazione audio dell'ultima intervista a Shaban, anziano contadino ucciso lunedi' da un cecchino subito subito dopo aver incontrato una cooperante italiana.
Il testamento di una vita dedicata all'amore per la sua terra, un amore che alla fine se l'è inghiottito dentro.
Non hai paura degli israeliani che sparano? ''No, non m'importa degli spari. Se succede qualcosa di brutto noi esseri umani moriamo una volta sola, e solo Dio sa quando arriverà la mia ora per morire. Io dormo qui alcune volte e non m' importa di morire, sento sempre i carri armati e bulldozer invadere la mia terra e non mi importa più quello che fanno''.
Cinque minuti dopo aver pronunciato queste frasi dinnanzi ad un registratore acceso, i due cordialmente si congedano.
Poi uno sparo, e la morte rioccupa la scena.
Shaban Karmout, contadino di 65 anni é l'ultima vittima civile dell'escalation di violenza innescata dall'esercito israeliano da due mesi a questa parte, dopo gli omicidi del pastore beduino Salama Abu Hashish il 23 dicembre a Beit Lahiya e del giovane Mohammed Qedeh 5 giorni dopo a est di Khan Younis.
Shaban aveva costruito la sua casa dinnanzi al confine all'inizio degli anni Settanta, e presto nel terreno adiacente aveva fatto fiorire alberi da frutta come limoni, aranci e clementine.
I frutti della terra erano generosi e nonostante l'occupazione Shaban conduceva una vita serena, almeno fino ad una notte del 2003, quando in pieno Ramadan, bulldozer e carri armati israeliani hanno invaso i suoi campi distruggendo tutte le sue colture e sradicando i suoi preziosi alberi: il frutto di trenta anni di duro lavoro raso al suolo in meno di tre ore.
Al termine dell'offensiva israeliana Piombo Fuso, l'anziano contadino non se la sentiva più di dormire tutte le notti nella casa al confine per via delle frequenti incursioni israeliane.
Aveva preso allora in affitto un minuscolo bugigattolo nel campo profughi di Jabalia nel quale viveva stipato con la sua numerosa famiglia, una decina di persone.
D'abitudine Shaban iniziava il lavoro sui campi da poco dopo il sorgere l'alba fino a poco prima del tramonto. Ogni giorno per quarant'anni, fino a lunedi' scorso.
Erano circa le 2 del pomeriggio quando, salutati i visitatori forestieri, il contadino si è recato sulla sua terra per riprendere l'asino legato ad un arbusto, e un cecchino israeliano piazzato su una torretta di osservazione a trecento metri gli ha sparato contro tre colpi: il primo lo ha centrato al collo, gli altri due al torace.
Esalando l'ultimo respiro Shabab ha fatto appena in tempo ha nominare il nome di suo figlio, Khaled. Quando Khaled è accorso nei campi suo padre era già stato disteso esamine di fianco al quadrupede.
"Non c'erano combattimenti nella zona, non c'erano guerriglieri palestinesi ne noi rappresentiamo una minaccia, viviamo in quella casa da decenni, i soldati ci conoscono benissimo. Ci hanno osservato per anni lavorare e vivere tramite le loro telecamere, i droni, perfino i dirigibili spia. E' questo il vero terrorismo, ditelo ai media occidentali".
Cosi' Khaled si è rivolto agli attivisti dell'International Solidarity Movement durante la veglia funebre in onore di suo padre, e non è possibile dargli torto. E' risaputo infatti che i contadini al confine sono tutti schedati e la terra nella quale lavorano è monitorata minuziosamente centimetro quadrato per centimetro quadrato. Inoltre i cecchini israeliani a differenza dei lanciatori di razzi Qassam non sparano a casaccio nel deserto; come tutti i cecchini inquadrano l'obbiettivo, prendono la mira. Il sistema più veloce per pulire etnicamente la Palestina.
Come avveniva durante Piombo Fuso, Israele continua a impedire alle ambulanze di raggiungere i luoghi degli attacchi, minacciando di sparare a medici e infermieri.
Cosi', non essendoci altri mezzi disponibili Khaled ha potuto trasportare via il cadavere del padre caricandolo sul braccio di una ruspa. Come si fa con gli alberi sradicati.
Daniela, cooperante dell'ong GVC, a conclusione della riabilitazione di un pozzo nell'area di Beit Hanoun, fra l'altro finanziato coi fondi del governo italiano, si era recata al confine con i suoi collaboratori per intervistare gli agricoltori beneficiari del progetto idrico.
Shaban era stato l'ultimo dei contadini intervistati, cinque minuti prima che venisse ucciso.
Il figlio della vittima, Khaled, ha parlato di terrorismo; per Saber, un amico presente durante l'intervista quest'ultimo assassinio è una sorta di avvertimento mafioso per quanti solidarizzano con i lavoratori palestinesi che resistono, gli ultimi veri uomini in questi tempi anonimi.
Daniela non riesce a tenere in mano le foto scattate poco prima di salutare l'anziano contadino: ''Non posso guardarle ancora, sembra un sogno, un incubo. Da qui all'obitorio nel giro un'ora".
Ho trascritto la registrazione audio dell'ultima intervista a Shaban, il testamento di una vita dedicata all'amore per la sua terra, un amore che alla fine se l'è inghiottito dentro.
Restiamo Umani
IL TESTO DELL'INTERVISTA
da Vittorio Arrigoni
da Gaza City
Un anziano contadino palestinese al lavoro nei campi. Una giovane cooperante italiana che si reca a intervistarlo.
Mentre anche ieri notte caccia F16 ci hanno tirato addosso i loro confetti di morte (tre bombardamenti a sud di Gaza City e uno a Kahn Younis) ho trascritto la registrazione audio dell'ultima intervista a Shaban, anziano contadino ucciso lunedi' da un cecchino subito subito dopo aver incontrato una cooperante italiana.
Il testamento di una vita dedicata all'amore per la sua terra, un amore che alla fine se l'è inghiottito dentro.
Non hai paura degli israeliani che sparano? ''No, non m'importa degli spari. Se succede qualcosa di brutto noi esseri umani moriamo una volta sola, e solo Dio sa quando arriverà la mia ora per morire. Io dormo qui alcune volte e non m' importa di morire, sento sempre i carri armati e bulldozer invadere la mia terra e non mi importa più quello che fanno''.
Cinque minuti dopo aver pronunciato queste frasi dinnanzi ad un registratore acceso, i due cordialmente si congedano.
Poi uno sparo, e la morte rioccupa la scena.
Shaban Karmout, contadino di 65 anni é l'ultima vittima civile dell'escalation di violenza innescata dall'esercito israeliano da due mesi a questa parte, dopo gli omicidi del pastore beduino Salama Abu Hashish il 23 dicembre a Beit Lahiya e del giovane Mohammed Qedeh 5 giorni dopo a est di Khan Younis.
Shaban aveva costruito la sua casa dinnanzi al confine all'inizio degli anni Settanta, e presto nel terreno adiacente aveva fatto fiorire alberi da frutta come limoni, aranci e clementine.
I frutti della terra erano generosi e nonostante l'occupazione Shaban conduceva una vita serena, almeno fino ad una notte del 2003, quando in pieno Ramadan, bulldozer e carri armati israeliani hanno invaso i suoi campi distruggendo tutte le sue colture e sradicando i suoi preziosi alberi: il frutto di trenta anni di duro lavoro raso al suolo in meno di tre ore.
Al termine dell'offensiva israeliana Piombo Fuso, l'anziano contadino non se la sentiva più di dormire tutte le notti nella casa al confine per via delle frequenti incursioni israeliane.
Aveva preso allora in affitto un minuscolo bugigattolo nel campo profughi di Jabalia nel quale viveva stipato con la sua numerosa famiglia, una decina di persone.
D'abitudine Shaban iniziava il lavoro sui campi da poco dopo il sorgere l'alba fino a poco prima del tramonto. Ogni giorno per quarant'anni, fino a lunedi' scorso.
Erano circa le 2 del pomeriggio quando, salutati i visitatori forestieri, il contadino si è recato sulla sua terra per riprendere l'asino legato ad un arbusto, e un cecchino israeliano piazzato su una torretta di osservazione a trecento metri gli ha sparato contro tre colpi: il primo lo ha centrato al collo, gli altri due al torace.
Esalando l'ultimo respiro Shabab ha fatto appena in tempo ha nominare il nome di suo figlio, Khaled. Quando Khaled è accorso nei campi suo padre era già stato disteso esamine di fianco al quadrupede.
"Non c'erano combattimenti nella zona, non c'erano guerriglieri palestinesi ne noi rappresentiamo una minaccia, viviamo in quella casa da decenni, i soldati ci conoscono benissimo. Ci hanno osservato per anni lavorare e vivere tramite le loro telecamere, i droni, perfino i dirigibili spia. E' questo il vero terrorismo, ditelo ai media occidentali".
Cosi' Khaled si è rivolto agli attivisti dell'International Solidarity Movement durante la veglia funebre in onore di suo padre, e non è possibile dargli torto. E' risaputo infatti che i contadini al confine sono tutti schedati e la terra nella quale lavorano è monitorata minuziosamente centimetro quadrato per centimetro quadrato. Inoltre i cecchini israeliani a differenza dei lanciatori di razzi Qassam non sparano a casaccio nel deserto; come tutti i cecchini inquadrano l'obbiettivo, prendono la mira. Il sistema più veloce per pulire etnicamente la Palestina.
Come avveniva durante Piombo Fuso, Israele continua a impedire alle ambulanze di raggiungere i luoghi degli attacchi, minacciando di sparare a medici e infermieri.
Cosi', non essendoci altri mezzi disponibili Khaled ha potuto trasportare via il cadavere del padre caricandolo sul braccio di una ruspa. Come si fa con gli alberi sradicati.
Daniela, cooperante dell'ong GVC, a conclusione della riabilitazione di un pozzo nell'area di Beit Hanoun, fra l'altro finanziato coi fondi del governo italiano, si era recata al confine con i suoi collaboratori per intervistare gli agricoltori beneficiari del progetto idrico.
Shaban era stato l'ultimo dei contadini intervistati, cinque minuti prima che venisse ucciso.
Il figlio della vittima, Khaled, ha parlato di terrorismo; per Saber, un amico presente durante l'intervista quest'ultimo assassinio è una sorta di avvertimento mafioso per quanti solidarizzano con i lavoratori palestinesi che resistono, gli ultimi veri uomini in questi tempi anonimi.
Daniela non riesce a tenere in mano le foto scattate poco prima di salutare l'anziano contadino: ''Non posso guardarle ancora, sembra un sogno, un incubo. Da qui all'obitorio nel giro un'ora".
Ho trascritto la registrazione audio dell'ultima intervista a Shaban, il testamento di una vita dedicata all'amore per la sua terra, un amore che alla fine se l'è inghiottito dentro.
Restiamo Umani
IL TESTO DELL'INTERVISTA
I dirigenti di Israele realizzano oramai un permanente oltraggio alle vittime dell'Olocausto.
RispondiElimina65 anni. Se pensiamo che dal 1948 ad oggi non c'è stato un giorno di pace in Palestina, quell'uomo era vissuto sempre in guerra. Voleva solo coltivare le sue arance. Penso che sia morto per quel proiettile ma anche per il nostro considerare questa guerra di Palestina come una normale abitudine.
RispondiEliminaNamstè
@ Adriano:
RispondiEliminanascondono la propria memoria, è agghiacciante come si comportino ripetendo i gesti dei loro aguzzini, quasi avessero dimenticato quanto facciano male e quanto umilino ed azzerino la dignità di un popolo...o forse lo fanno proprio perchè se ne ricordano benissimo e questo sarebbe persino peggio...
Abbraccione
Namastè
Hai ragione Francesco! L'abitudine alla follia è la cosa peggiore di questi anni.
RispondiEliminaCi abituiamo a tutto, all'imperatore , allo sfruttamento, alla guerra, a perdere i nostri diritti a tutto, ci basta veramente poco per abituarci.
Ci stanno educando all'abitudine...sempre più assenti, indifferenti ed ignavi...sempre più chiusi ed egoisti. Nulla più ci scandalizza, nulla ci stupisce.
Va bene tutto purchè capiti al di fuori della nostra ristretta cerchia.
Un abbraccio forte
Namastè
Penso a Saramago ed al fatto che fu ingiustamente accusato di antisemitismo per avere semplicemente criticato il comportamento degli israeliani, paiono degli intoccabili e fanno leva sui sensi di colpa per agire una guerra perenne. Poichè sono ateo mi permetto il lusso di non fare distinzioni vuoi di religione vuoi di razza. Esistono solo esseri umani e se sono violenti li rifiuto qualsiasi sia la loro storia, la loro religione o colore della loro pelle. Non ho nessuna pietà nè comprensione per chi uccide.
RispondiElimina@ ruhevoll
RispondiEliminaSono d'accordo, la memoria è spesso, troppo spesso, a senso unico, ricordiamo quel che vogliamo e non impariamo mai, anzi si ha la sensazione che si imparino solo le cose peggiori.
La guerra e la pulizia etnica non sono mai una soluzione...puntano solo sul fatto che la storia la scrivono i sopravvissuti...ma questa era la convinzione del Nazismo e del Fascismo...il che a loro dovrebbe aver insegnato qualche cosa, ma pare di no...
Abbraccione ;-)
Namastè
io ricordo da sempre questa guerra ed è agghiacciante che sia diventata una specie di "musica di sottofondo" nei tg. Come abbiamo fatto ad abituarci a certe notizie? Semplice: perché nessuno le racconta come hai fatto tu con un nome, una famiglia, una storia. I morti sono "solo" numeri nelle parole di certi signori. Bellissimo bellissimo post.
RispondiElimina@ TuristadiMestiere:
RispondiEliminaMonica grazie! Sei troppo buona
Il merito è di Vittorio Arrigoni che ha la capacità, davvero, di descrivere quello che avviene a Gaza con una sintesi descrittiva senza pari e dal punto di vista di che vive in quella stretta e martorizzata fascia di territorio.
Se un merito posso avere è quello di cercare "sempre"...questi punti di vista, non so se questo voglia dire raccontare, forse sì, forse racconto anche il mio di punto di vista attraverso questo Blog...sicuramente, molto di me vi e contenuto...
Un abbraccio grande ;-))
Namastè