domenica 27 febbraio 2011

Mangimi permissivi

di Marinella Correggia


La Commissione Europea sembra voler reintrodurre scarti di carne e farine ossee nell'alimentazione animale. Un uso vietato dalla fine degli anni 1990 per l'esplodere della crisi della Bse (encefalopatia spongiforme bovina, detta anche «morbo della mucca pazza»). A perorare il balzo verso il passato è stato il ministro dell'agricoltura della Polonia, che dal prossimo giugno sarà presidente di turno dell'Ue.  Scarti carnei e farine di ossa contengono quelle proteine che adesso gli allevatori europei prendono dalla soia extracomunitaria. L'Ue importa annualmente (dati 2008-2009) 33 milioni di tonnellate di soia e 4 milioni di tonnellate di mais, in gran parte dalle Americhe, per i mangimi. 
 L'Unione europea ha intanto approvato una bozza di regolamento sulla presenza di Ogm non autorizzati nei mangimi, in modo da consentire l'importazione di soia e mais anche in presenza di tracce di materiale geneticamente modificato non autorizzato, se non superiori allo 0,1%. «Occorre salvaguardare gli approvvigionamenti da paesi terzi, vitali per le stalle europee», hanno spiegato i rappresentanti dell'associazione dei mangimisti europei (Fefac) - che peraltro continua a lottare per ottenere soglie più elevate, come lo 0,5% ammesso dalla non comunitaria Svizzera.
 Le due mosse dell'Ue salvano capra e cavoli all'industria globalizzata della mangimistica, facilitando sia l'import di soia che la sostituzione con farine animali europatriottiche. La regione europea rimane chiusa rispetto al grosso delle varietà geneticamente modificate, che l'anno scorso sono state pari all'80% del raccolto di soia brasiliana, ma legalizza una contaminazione della catena dei mangimi animali che secondo gli spedizionieri e i mangimisti è inevitabile, vista la prevalenza totale delle coltivazioni tecnologiche nel settore. Del resto, secondo la Bbc (che cita fonti dell'industria biotecnologica), le superfici coltivate a Ogm crescono del 10% ogni anno e hanno raggiunto oltre 1 miliardo di ettari dalla loro introduzione nel 1996.
 È ancora solo il 10% della superficie agricola totale, replicano i contrari, secondo i quali in realtà tali colture sono un fallimento per gli agricoltori (gli Ogm sono meno resistenti a condizioni climatiche estreme, e non più produttivi) e sono sgradite ai consumatori.  
 Intanto gli allevamenti di polli conoscono un boom mondiale. Perfino gli statunitensi, primi consumatori mondiali di carni rosse (bovini, suini, ovini), secondo lo Usda (Dipartimento di agricoltura) stanno virando verso il più economico pollo, che si può macellare dopo poche settimane di ingrasso e dunque è un trasformatore più «efficiente» di mangimi. I consumi interni di carne bovina e suina si riprenderanno a partire dal 2013 (nel 2012 invece gli Usa ne mangeranno di meno e soprattutto ne esporteranno di più), ma rimarranno ben sotto i livelli degli anni 1980.
 Ma attenzione: l'Istituto nazionale per la salute pubblica e l'ambiente dei Paesi Bassi ha accertato (e pubblicato sulla rivista scientifica «Clinical Microbiology and Infection») il legame fra consumo di polli e insorgere di infezioni sanguigne e urinarie che non possono essere curate con gli antibiotici più importanti. E questo perché gli allevamenti avicoli fanno un uso così massiccio di antibiotici che sono ormai diffusi fenomeni di resistenza. Già nel 2010 il ministro agricolo olandese chiese una riduzione del 20% nell'uso degli antibiotici negli allevamenti, lasciando però al settore il diritto di autoregolarsi anziché imporre limiti normativi. 

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