fonte: Carta
Pubblichiamo stralci del capitolo «Prospettive» del nuovo libro «Futuro Sostenibile. Le risposte eco-sociali alle crisi in Europa» [Edizioni Ambiente], di Wolfgang Sachs e Marco Morosini.
Come può accadere quello che deve accadere? Innanzitutto bisogna considerare una cosa: il cambiamento è già in atto. Il cambiamento non aspetta le decisioni dei governi nè le direttive Ue, ma si fa strada nella società con piccole e grandi iniziative. Certo, la maggior parte della società non è ancora coinvolta, ma raramente la storia è stata scritta dalla maggioranza. Il contributo dei gruppi e delle organizzazioni della società civile è fondamentale per il cambiamento, come dimostra anche questo libro.
E’ vero, le minoranze non hanno potere, ma hanno influenza. Reagiscono immediatamente ai cambiamenti radicali che si profilano; incarnano nuove sensibilità, danno voce a richieste urgenti e realizzano nuove soluzioni. Negli ultimi decenni è così cresciuto in tutto il mondo un «movimento senza nome» [Paul Hawken] che spazia dall’agricoltura biologica al commercio equo-solidale, dalle abitazioni a energia zero all’industria del solare, dalle iniziative di quartiere alle reti di ricerca globali. Il movimento senza nome non ha testa nè centro, è multiforme e globale. Ovunque i suoi leitmotiv sono la tutela ambientale, la giustizia sociale e, fuori dall’Europa, i diritti delle popolazioni indigene; nonostante le numerose differenze, ha un pensiero di base comune: i diritti dell’uomo e il tessuto vivente della natura sono più importanti dei beni e del denaro. Non è un caso che questa Nuova Internazionale non abbia come simbolo la falce o il martello, ma eventualmente internet.
Al contrario dei movimenti dei contadini o dei lavoratori, il suo punto di forza non è tanto la mobilitazione delle masse, ma le soluzioni migliori che essa propone. Si ricorre soprattutto alla forza di persuasione e ai molteplici collegamenti nelle reti sociali; alle manifestazioni per le strade si ricorre invece solo per opporsi a soluzioni sbagliate. Perlomeno nei paesi benestanti, la lotta per la sostenibilità non crea separazioni in classi. Ciò significa che i confronti non avvengono sui confini tra classi o istituzioni, ma dentro di esse: non tra aziende, chiese, partiti, amministrazioni, bensì al loro interno. Il cambiamento viene portato avanti da minoranze che si alleano, che condividono lo stesso pensiero e che collaborano all’interno dei rispettivi partiti, istituzioni e nazioni. La Nuova Internazionale opera più attraverso la diffusione d’utopie concrete che non attraverso la concentrazione di forze. Il suo modo d’agire segue il modello epidemiologico del contagio e non quello meccanicista della concentrazione di forze. Non potrebbe essere altrimenti, visto che si tratta soprattutto di un mutamento di civiltà e non di un semplice cambio di potere. Ma l’efficace intreccio di collegamenti tra minoranze non è l’unica causa di questo cambiamento. Entrano in gioco anche crisi esterne quali la scarsità del petrolio, le catastrofi naturali o l’esplosione nei prezzi dei generi alimentari.
Anche in questo caso la necessità aguzza l’ingegno: le situazioni disperate possono portare a risposte che finora sono state praticate solo ai margini della società, ma che ora diventano fondamentali per la sopravvivenza di tutti. Senza le piccole turbine a vento auto-costruite degli anni Settanta, oggi non avremmo nessuna industria eolica; senza i primi agricoltori ecologici oggi non ci sarebbe nessuna agricoltura in grado di opporsi alla crisi dell’alimentazione e alla distruzione della natura. Alcune opzioni inizialmente sperimentate e praticate solo da minoranze sono ora entrate nel mainstream della società, gradualmente o a ondate. Spesso le minoranze sono i veri pionieri del cambiamento, ma quando poi deve profittarne l’intera società, spetta alla politica farsi garante di questo cambiamento.
Grazie al movimento ambientalista, la Germania è pronta al passaggio a un’efficiente economia solare entro la metà del secolo, cosa che non si può certo dire di tutti i paesi industrializzati. Un’economia di questo tipo dovrà riuscire a fare il miracolo, ovvero garantire ai cittadini una vita prospera con circa 2.000 watt di potenza pro capite. Dato che la potenza ora usata dai cittadini europei supera i 6.000 watt pro capite, occorrerà ridurla di circa due terzi. In caso contrario il fabbisogno energetico sarà inconciliabile con il rispetto degli ecosistemi. Oltre a questo obiettivo quantitativo, si profila anche un cambiamento qualitativo: sarà infatti l’energia solare e rinnovabile a soddisfare il bisogno di ambienti riscaldati, forza motrice e carburante. Tecnicamente è possibile creare una società da 2.000 watt su base solare, ma ciò può essere fatto solo con decisioni della politica. Naturalmente è giusto e importante che il comportamento di ciascuno si adegui a questa visione, adottando, come consumatori, uno stile di vita oculato o investendo, come produttori, anche nella responsabilità sociale ed ecologica. Ma questo da solo non basta. Occorrono anche guard-rail istituzionali e sbarramenti sistematici. Ecco perché, oggi come non mai, gli attori politici sono chiamati a far prevalere l’interesse comune per la vita e la sopravvivenza sugli interessi particolari legati al comfort e al profitto. Alla politica occorrono una nuova coscienza di sè e una maggiore autonomia delle istituzioni statali dall’industria.
E’ necessario in particolare rompere i ponti con le lobby economiche specializzate nell’opporre strenua resistenza a tutto cio' che possa diminuire le loro rendite, senza alcun riguardo per le generazioni future o per i concittadini che vivono in altre parti del pianeta. Se si vuole imboccare la strada verso un’efficiente economia solare, occorre orientarsi nelle direzioni seguenti. Nella politica energetica, occorre per prima cosa adottare coerenti strategie di risparmio, in particolare risanando gli edifici, modernizzando gli impianti industriali e adottando innovativi apparecchi e macchine più ecoefficienti. Inoltre occorrono sia fonti energetiche con basse emissioni di carbonio, sia una vasta decentralizzazione della produzione di energia. Ciò significa soprattutto sfruttare in modo intensivo le energie rinnovabili e creare una struttura produttiva capillare e una fitta rete che includa l’uso su vasta scala della cogenerazione di elettricita' e calore in piccoli gruppi elettrogeni, in piccole centrali elettriche e in reti di riscaldamento locali. Dato che in una struttura di produzione solare e a rete fittamente intrecciata le reti di gas ed elettricita' devono essere accessibili a una grande quantità di piccoli produttori, queste saranno naturalmente gestite come monopolio dello stato.
Per quanto riguarda i trasporti – un settore che molto preoccupa chi voglia risparmiare materiali ed energia – è necessario introdurre standard di consumi drasticamente ridotti, se necessario andando contro la resistenza della lobby dell’auto, che comprende, oltre all’industria, anche buona parte degli automobilisti. Potranno essere soddisfatte soltanto pretese di potenza e velocità dei veicoli molto più modeste delle attuali. I trasporti pubblici torneranno ad avere la precedenza e saranno potenziati in modo strategico. Nel traffico aereo, oltre a introdurre una tassa consistente sul cherosene, sarà indispensabile fissare anche un tetto al numero di partenze e atterraggi.
In agricoltura, le tecniche agrarie intensive ad alto consumo di energia dovrebbero essere sostituite da tecniche piu' efficienti e più ecocompatibili. L’agricoltura biologica, che rinuncia a fertilizzanti minerali e pesticidi a favore della salute di terreni, delle acque e della biodiversità, dovrebbe essere incentivata in modo da sostituire completamente la coltivazione intensiva in pochi decenni. La scarsità del petrolio e il caos climatico esigono ciò che da tempo si invoca per la tutela della salute dell’uomo e della natura: il passaggio a un’agricoltura e un allevamento sostenibili. [...]
Tuttavia, quando si tratta di dare una forma più equa ai rapporti economici mondiali, l’Europa frena bruscamente e pratica una filosofia liberista, basata sulla concorrenza mondiale e sul trionfo del più forte. Ma la sostenibilità non può essere ottenuta senza rispettare i diritti esistenziali dei poveri e dei deboli della terra. [... ] Il rispetto dei diritti umani e dell’ambiente devono diventare i principi normativi dei rapporti di scambio internazionali, altrimenti la globalizzazione trascinerà il mondo in una spirale verso il basso. Si tratta di un compito che va oltre ogni immaginazione. Ma non si può stare a guardare i rapporti globali che vanno alla deriva senza intervenire immediatamente. [...]
Un primo punto di partenza è l’abolizione delle sovvenzioni del Nord alle proprie esportazioni, che danneggiano le produzioni nei paesi più poveri. I sussidi per le esportazioni di prodotti agricoli – che in seguito agli accordi dell’Omc sono già stati fortemente ridotti, anche se rimangono molto elevati – spesso fanno abbassare i prezzi nei paesi piu' poveri e causano la rovina dei contadini e delle aziende locali. [...] Infine, è ora che le aziende transnazionali rispettino gli standard sociali ed ecologici. Occorre infatti trovare un’armonia tra i doveri delle aziende verso i loro azionisti e il dovere sociale di gestire le aziende in modo etico. [...]
Spetta a questa generazione creare una civiltà solare e solidale. Ma il tempo stringe. Già nei prossimi due decenni si decidera' se e' ancora possibile evitare un caos climatico incontrollabile con conseguenze imprevedibili sulla biosfera e sulla società mondiale. Mai come oggi è richiesta alla collettività la capacità di auto-mobilitarsi e organizzarsi. La situazione attuale può essere paragonata solo ai tempi di guerra. Sopravvivere con onore e dignità: è questa la sfida decisiva per la società globale. [...]
«La proprietà impone obblighi. Il suo uso deve essere anche al servizio del bene comune». Questo articolo della costituzione tedesca ha una forza esplosiva inaspettata. Mentre in passato si è sempre fatto riferimento a questo articolo solo in relazione all’obbligo sociale della proprieta', di fronte alla crisi ambientale nasce anche un obbligo ecologico della proprietà. In parole povere significa che le aziende possono continuare a realizzare profitti in un contesto ragionevole, ma devono garantire che i prodotti e i metodi di produzione rispettino di più criteri sociali ed ecologici. [...]
Ecco perché una politica ambientale che non è allo stesso tempo anche una politica sociale non avrà alcun successo. Sarà necessaria la collaborazione di tutti e comporterà non pochi sacrifici. Inoltre, questo radicale cambiamento comporterà un aumento del costo della vita quotidiana. Se i prezzi dovranno rispecchiare la verità ecologica, allora l’acqua, l’elettricità, l’olio combustibile, i carburanti e i generi alimentari costeranno di più. Lo stesso accadrà se i prezzi dovranno rispecchiare la verità sociale. Anche in questo caso dovremo pagare di più le magliette o i computer o i giocattoli che provengono dai paesi emergenti. Se non si vuole aggravare ulteriormente la disparità sociale è necessario e urgente adottare una nuova politica del lavoro e della partecipazione, nonché riforme per ridistribuire il reddito e il patrimonio. In particolare occorrerà sfruttare come strumento di politica sociale le entrate derivanti dal rincaro delle risorse per tasse o certificati. I dividendi della natura devono essere in parte utilizzati per ottenere dividendi sociali. [...]
Si tratta di interrompere la tendenza del business as usual e di concentrarsi tutti insieme su una priorità assoluta e innegabile, ovvero la difesa del futuro. Ma l’analogia si interrompe quando ci si ricorda che questa difesa richiede la revisione del modello di produzione e consumo finora adottato. E’ un compito che né i governi né l’industria affronteranno davvero senza le pressioni e il coinvolgimento della società civile. Molto dipenderà dalla capacità della Nuova Internazionale di guadagnare terreno per un mondo sostenibile e di dare una svolta all’andamento della civiltà industriale. Affermare che ci sono buone prospettive di riuscita sarebbe temerario, perché in realtà non c’è alcun motivo per essere ottimisti. Tuttavia, la storia è imprevedibile e ha sempre riservato grandi sorprese: dalla caduta del comunismo alla vittoria di Mandela. Perciò l’atteggiamento di Antonio Gramsci è estremamente razionale. Nel suoi Quaderni dal carcere alla domanda su quale fosse il suo atteggiamento verso il futuro rispose: «Sono pessimista con l’intelligenza, ma ottimista con la volonta'».
Pur condividendolo alla fine, non mi piace il cambiamento proposto dall'autore dell'articolo ... la dittatura dell'ambiente (chi decide le tasse?!).
RispondiEliminaUn vero cambiamento positivo non può essere visto come sacrificio, un vero cambiamento non può esistere senza eliminare il denaro ed il concetto di progresso ... bisogna andare oltre se viviamo ancora solo per la materia non cambierà mai nulla, per elevare lo spirito non servono soldi ma amore, il vero amore quello che da senza aspettare nulla in cambio ... questo solo può essere il cambiamento ... basta rivoluzioni è ora di evoluzione!
@Anonimo
RispondiEliminaSono d'accordo con te, anche io penso che il cambiamento sia qualche cosa di più che non il semplice constatare la situazione.
È vero, quello che è necessario, non può prescindere da alcune acqusizioni anche spirituali, assolutamente indispensabili.
È ovvio che questo significa che la visione dell'autore dell'articolo è parziale, anche se condivisibile. Troppo "pratica e pragmatica" per i miei gusti.
Però resta un buon articolo, interessante e rigoroso :-)
Un saluto e un abbraccio ^^
Namastè
Ogni passo, anche piccolo, per un nuovo umanesimo, ma di massa, credo vada considerato importante.
RispondiEliminaA me le "utopie concrete" piacciono tanto, slurp!
RispondiEliminaPaolo, un sorriso e un abbraccio "concreti" per te ^__^
RispondiEliminaNamastè
Sì Adriano è innegabile, ogni passo è importante...
RispondiEliminaUn abbraccione^^
Namastè