DI CHRIS HEDGES
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L’amore, l’impegno umano più profondo, la forza che sfida l’esame empirico e che comunque è l’elemento qualificante e più glorioso nella vita umana, l’amore tra due persone, tra figli e genitori, tra amici, tra partner, ci ricorda ciò per cui siamo stati creati nel nostro breve soggiorno su questo pianeta. Coloro che non possono amare – e ho visto questi deformi esseri umani nelle guerre e nei conflitti che ho percorso – sono spiritualmente ed emotivamente morti. Affermano loro stessi nella distruzione, prima degli altri e poi, alla fine, di loro stessi. Quelli che sono incapaci di amare non vivono mai.
“L’inferno”, scriveva Dostoevskij, “è l’incapacità di amare.”
Eppure così tanto è stato scritto e detto sull’amore che diminuisce la sua grandezza e banalizza il suo significato. Il dottor James Luther Adams, mio professore di etica all’Harvard Divinity School, avvertì tutti noi riguardo al predicare l’amore, ricordandoci che ogni esame di amore doveva includere, come Erich Fromm ha sottolineato in “Selfishness and Self-Love”, lo smascheramento del pseudo-amore.
Eppure così tanto è stato scritto e detto sull’amore che diminuisce la sua grandezza e banalizza il suo significato. Il dottor James Luther Adams, mio professore di etica all’Harvard Divinity School, avvertì tutti noi riguardo al predicare l’amore, ricordandoci che ogni esame di amore doveva includere, come Erich Fromm ha sottolineato in “Selfishness and Self-Love”, lo smascheramento del pseudo-amore.
Dio è un verbo, piuttosto che un sostantivo. Dio è un processo, più che un ente. C’è una qualche giustificazione biblica per questo. Dio, dopo tutto, rispose alla richiesta di rivelazione fatta da Mosè con le parole “IO SONO CIÒ CHE SONO”. Questa frase sarebbe forse più precisa se fosse tradotta “SARÒ CIÒ CHE SARÒ.” Dio sembra dire a Mosè che la realtà del divino è esperienza. Dio viene a noi nei profondi lampi di intuizione che tagliano l’oscurità, nella speranza che permette agli esseri umani di affrontare l’inevitabile disperazione e sofferenza, nella solidarietà guaritrice della gentilezza, compassione e sacrificio di sé, specialmente quando questa compassione ci permette di avvicinarci agli altri e non solo a coloro che sono simili a noi, ma a coloro che vengono chiamati dalle nostre comunità stranieri o paria. “SARÒ CIÒ CHE SARÒ.” Questa realtà, la realtà dell’eterno, deve essere basata in ciò che non possiamo toccare, vedere o definire, in mistero, in una sorta di fede nel valore finale della compassione, persino quando la realtà del mondo intorno a noi sembra considerare la compassione come futile.
“Il coraggio di essere è radicato in Dio che appare quando Dio è scomparso nell’angoscia del dubbio.” Ha scritto Paul Tillich.
Aristotele disse che solo due entità viventi sono capaci di solitudine e completa separazione: Dio e la bestia. La maggiore forma di sofferenza umana è la solitudine. L’individuo umano isolato non potrà mai essere pienamente umano. E per quelli che sono tagliati fuori dagli altri, per quelli alienati dal mondo che li circonda, le false alleanze di razza, il nazionalismo, la causa gloriosa, la competizione di classe e genere, con grande seduzione, contro l’alleanza dell’amore; questi patti fasulli – e li vediamo balenare davanti a noi ogni giorno – sono basati sull’esclusione e l’odio piuttosto che sull’universalità. Questi patti fasulli non ci chiamano all’umiltà e alla compassione, al riconoscimento delle nostre imperfezioni, ma a una forma di autoesaltazione mascherata da amore. Quelli che sono maggiormente in grado di sfidare queste finte alleanze sono colo che sono radicati nell’amore, che trovano il significato e il valore nelle relazioni profonde che si aprono la strada attraverso la solitudine e l’isolamento della condizione umana.
Ci sono pochi santuari in guerra. Le coppie di innamorati ne forniscono uno. Ed è a tali coppie che io ho ceduto costantemente le armi. Esse hanno agito più volte per salvare coloro bollati come nemici, musulmani intrappolati in enclavi serbe in Bosnia o dissidenti cacciati da squadre della morte in El Salvador. Questi soccorritori non agiscono come individui. Nechama Tec ha documentato questa realtà peculiare quando studiò i polacchi che hanno soccorso gli ebrei durante la Seconda Guerra mondiale. Tec non trovò nessuna storia o tratti caratteristici che avevano portato le persone a rischiare la loro vita per altri, spesso per individui che non conoscevano, ma trovò che agivano quasi sempre perché le loro relazioni riuscivano a spiegargli il mondo che li circondava. L’amore li teneva ancorati a terra. Queste coppie non erano in grado di fermare la distruzione e la violenza attorno a loro. Erano impotenti. Potevano essere, e spesso diventavano, vittime. Ma fu con loro, seduto in un tugurio di cemento in un campo profughi di Gaza o attorno a una stufa a legna in una notte di inverno sulle colline fuori Sarajevo, che ho trovato equilibrio e pace, che ho ricordato cosa significa essere umani. Sembrava che solo in quelle case riuscissi veramente a dormire durante la guerra.
L’amore, quando è profondo e sostenuto da due individui, comprende il dono di sé – spesso tremendo sacrificio –, così come il desiderio. Perché l’alleanza dell’amore riconosce sia la fragilità che la santità di tutti gli esseri umani. Riconosce sé stesso nell’altro. E solo esso può salvarci, specialmente da noi stessi.
Sigmund Freud divise le forze della natura umana tra Eros - l’impulso dentro di noi che ci spinge ad avvicinarci agli altri, per preservare e conservare - e Thanatos, o l’istinto di morte, l’impulso che lavora per l’annientamento di tutte le cose viventi, inclusi noi stessi. Per Freud queste forze erano in eterno conflitto. Tutta la storia umana, sosteneva, è un tiro alla fune tra questi due istinti.
“Il significato dell’evoluzione della civiltà non è più oscuro per noi”, Freud scrisse nel saggio “Civilization and Its Discontents”: “Bisogna esporre la lotta tra Eros e Thanatos, tra l’istinto alla vita e l’istinto alla distruzione, come funziona nella specie umana. Questa lotta è ciò di cui essenzialmente consiste la vita.”
Siamo tentati, anzi incoraggiati da una cultura consumista, a ridurre la vita a una semplice ricerca della felicità. La felicità, comunque, sfiorisce se non vi è alcun significato. L’altra tentazione è quella di sconfessare la ricerca della felicità per essere fedeli a ciò che offre significato. Ma vivere solo per il significato – indifferente a tutta la felicità – ci rende fanatici, ipocriti e freddi. Ci taglia fuori dalla nostra umanità e da quella degli altri. Dobbiamo confidare nella grazia, perché le nostre vite siano sostenute da momenti di significato e felicità, entrambi degni di comunione umana. Ed è questa grazia, questo amore che ci permette di sopportare i nostri momenti più bui.
Viktor Frankl nel suo “Man’s Search for Meaning” si è trovato alle prese con Eros e Thanatos nel campo di sterminio di Auschwitz. Ha ricordato di essere su un particolare lavoro, congelando nell’esplosione dell’inverno polacco, quando iniziò a pensare a sua moglie, che era stata gassata dai nazisti sebbene lui non lo sapesse in quel momento.
“Un pensiero mi ha trasfigurato,” scrisse, “per la prima volta nella mia vita ho visto la verità come descritta da tanti poeti, proclamata come la saggezza finale da tanti pensatori. La verità – che l’amore è l’obiettivo ultimo e più alto a cui l’uomo può aspirare. Poi ho afferrato il significato del più grande segreto che la poesia, il pensiero e le credenze umani devono impartire. La salvezza dell’uomo è attraverso l’amore e nell’amore.”
L’amore è l’azione, la differenza che cerchiamo di fare nel mondo.
“Amiamo il nostro nemico quando amiamo il suo significato ultimo”, ci diceva il professor Adams. “Potremmo dover combattere contro ciò che il nostro nemico rappresenta; potremmo non sentire un’affinità personale o passione per lui o lei. Eppure ci è comandato, per il bene di questa persona e per il nostro e per il bene del destino della creazione, di amare ciò che ci potrebbe unire.”
Amare ciò che ci potrebbe unire ci impone di credere che ci sia qualcosa che ci connette tutti, di sapere che a un certo livello tutti noi amiamo e vogliamo essere amati, di basare tutte le nostre azioni sulla sacra alleanza dell’amore, di sapere che l’amore è un atto di volontà, di rifiutare di escludere gli altri sulla base di differenze di razza, lingua, etnia o religione. È più facile essere indifferenti. Si è tentati di odiare. L’odio ci spinge alla brama di potere, di controllo, nell’incubo hobbesiano dell’occhio per occhio, dente per dente. Odiare è ciò che le persone fanno quando sono in difficoltà, come molti americani in questo momento, a causa dell’incertezza e della paura. Se odiamo gli altri, prima o poi gli altri ti odieranno o avranno paura di te. Ti rifiuteranno. Il vostro comportamento lo rende certo. E attraverso l’odio veniamo risucchiati nelle false alleanze della nazione, della tribù e iniziamo a parlare con il linguaggio della violenza, il linguaggio della morte.
L’amore non è altruismo. È dare la parte migliore di sé, la parte più alta di sé dinanzi al mondo. È trovare il vero sé. L’altruismo è martirio, morire per una causa. Il vero sé vive per una causa. Si è scelto di creare il bene nel mondo. Amare gli altri come si ama noi stessi è amare il sé universale che ci unisce tutti. Se il corpo muore l’amore che abbiamo vissuto rimarrà – ciò che i religiosi percepiscono come anima – come irriducibile essenza della vita. Sono le piccole cose insignificanti che facciamo che rivelano la pietà, la bellezza e il potere e mistero ultimi dell’esistenza umana.
Vasily Grossman ha scritto nel suo capolavoro “Life and Fate”:
La mia fede è stata temperata all’Inferno. La mia fede è emersa dalle fiamme dei crematori, dal concreto delle camere a gas. Ho visto che non è l’uomo a essere impotente nella lotta contro il male, ma è il potere del male a essere impotente nella lotta contro l’uomo. L’impotenza della gentilezza, della gentilezza insensata è il segreto della sua immortalità. Non potrà mai essere conquistato. Più stupido, insensato, indifeso possa sembrare, più è vasto. Il male è impotente di fronte ad esso. I profeti, i leader religiosi, i riformatori, i leader politici e sociali sono impotenti davanti ad esso. Questo amore sordo e cieco è il significato dell’uomo. La storia umana non è la lotta del bene che cerca di sconfiggere il male. È la battaglia combattuta da un grande male che cerca di schiacciare un piccolo seme di bontà umana. Ma se ciò che è umano nell’essere umano non è stato distrutto fino ad ora, allora il male non lo potrà mai conquistare.
Sopravvivere come esseri umani è possibile solo attraverso l’amore. E quando Thanatos cerca di prevalere, l’istinto deve essere quello di tendere la mano a coloro che amiamo, per vedere in essi tutta la divinità, la pietà e il pathos della persona umana. E per riconoscere l’amore nelle vite degli altri, anche in quelli con cui siamo in conflitto, amore che è come il nostro. Non significa che eviteremo sofferenza o morte. Non significa che sopravviveremo come individui distinti. Ma l’amore, nel suo mistero, ha il suo proprio potere. Esso da solo ci dà un significato che perdura. Esso da solo ci permette di abbracciare e amare la vita. L’amore ha il potere, nella nostra natura, sia di resistere a ciò che sappiamo dobbiamo resistere sia di affermare ciò che sappiamo dobbiamo affermare.
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Fonte: Acts of Love
19.02.2012
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