Al momento in cui scrivo, sembra che si sia ormai placato lo sdegno che internazionalmente si era manifestato sui giornali e nelle piazze per l'attacco israeliano alla nave dei pacifisti diretta a Gaza.
L'ombra lasciata cadere sui pacifisti facinorosi che avrebbero aggredito i militari israeliani, la falsa consapevolezza che la nave volesse semplicemente fare un'azione dimostrativa per attirare l'attenzione sulle condizioni degli abitanti di Gaza, la polvere mediatica che inevitabilmente si accumula sui fatti per dar spazio ad altre vicende avvenute nel frattempo, sono tutte ragioni plausibili per giustificare il silenzio che lentamente sta lasciando scivolare la notizia dalle prime pagine a quelle interne, dalle quattro colonne al trafiletto.
Avviene così che si dimentica, insieme ai fatti, anche la loro gravità. Oltre ai diretti interessati e alle loro famiglie, chi non riesce a dimenticare sono gli abitanti di Gaza, costretti alla realtà da condizioni di vita che nulla hanno di umano e che rappresentano la più palese e costante violazione dei diritti umani tollerata sulla faccia della terra. Eppure, è esattamente su questo che converrebbe soffermarsi, altrimenti si rischia di non comprendere il significato dei fatti accaduti. Sopraffatti dalla gravità del gesto o distratti dall'analisi geopolitica, corriamo seriamente il rischio di dimenticare che quella nave stava cercando di attraccare in un porto della Striscia di Gaza dove alle persone è negata la libertà di recarsi in un ospedale per farsi curare, di acquistare beni di uso comune, di ricostruire la propria casa distrutta dai bombardamenti dell'aviazione israeliana.
In poco più di una ventina di persone, lo scorso ottobre, nel corso dell'iniziativa “Time of responsabilities”, riuscimmo ad ottenere il permesso di entrare nella Gaza Streep e ci rendemmo conto dal vivo di come Gaza sia realmente una prigione a cielo aperto. Visitammo alcune scuole, vedemmo le pareti squarciate dalle bombe e incontrammo bambini, tanti bambini. Restammo impressionati dalla distruzione totale che è stata operata scientificamente di interi quartieri. Nelle nostre orecchie solo il rumore delle ruspe che scavavano e dei camion che trasportavano detriti. Ricordammo l'eccidio di Samuni, un'area in cui quaranta persone erano state condotte dai soldati israeliani in una casa e bombardati subito dopo. Non si salvò nessuno. Secondo gli israeliani era di qui che partivano alcuni dei missili puntati contro Sderot. Mi permane comunque il dubbio che potessero avere qualche responsabilità anche i bambini di pochi anni e di pochi mesi che furono uccisi con gli altri.
Dal 27 dicembre dello scorso anno fino al 17 gennaio successivo i raid israeliani provocarono la morte di oltre 1400 persone e il ferimento di altre 5400, in gran parte civili, per almeno un terzo donne e bambini. Stiamo parlando del lembo di terra più densamente popolato del pianeta con un milione e mezzo di abitanti. Se non si fa riferimento chiaro a questa situazione, non si comprende l'iniziativa di una nave che cerca di rompere l'embargo. Gli abitanti di Gaza convivono quotidianamente con una precarietà infernale che non lascia scampo. Una situazione senza apparenti vie d'uscita se non quella della solidarietà e della politica internazionale. La prima, oggi è vittima di una fitta serie di ostacoli interposti da Israele e motivati sempre dalla necessità di sicurezza per lo stesso Israele. La seconda, sembra paralizzata dalla cattiva coscienza dell'antisemitismo, da interessi economici verso il piccolo Stato di Israele, dalla paura di destabilizzare la regione indebolendo "l'unico governo democratico" dell'area mediorientale.
Lo scandalo vergognoso del governo italiano che alle Nazioni Unite arriva addirittura a votare contro l'istituzione di una commissione indipendente in grado di accertare la verità dei fatti e le responsabilità conseguenti, è la prova tangibile di quanto la diplomazia internazionale (quella italiana in modo particolare) sia vittima di altri interessi che non siano quelli degli abitanti di Gaza. C'è un'incapacità vergognosa di riuscire a valutare i fatti e la storia a partire dalle vittime.
Don Tonino Bello ci ricordava l'importanza di "guardare il mondo avendo in corpo l'occhio del povero" e ci rendiamo conto di quanto sia vitale oggi per il mondo stesso che tutti adottino quest'unica prospettiva. Solo da questo punto di osservazione hanno senso le richieste di istituire la commissione d'inchiesta, di sottrarre assistenza, forniture e cooperazione militare a Israele, di pretendere la fine dell'embargo ai danni della popolazione di Gaza, di riprendere negoziati seri con l'aiuto di Paesi terzi. È l'unica alternativa a chi continua a credere e praticare una soluzione militare che non sembra destinata a ottenere alcun altro risultato se non distruzione e morte.
"Se ti dimentico, Gerusalemme, si paralizzi la mia destra; mi si attacchi la lingua al palato, se lascio cadere il tuo ricordo, se non metto Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia". Il Salmo 137 oggi non può che suonare come un'invocazione per gli abitanti di Gaza.
fonte : www.adistaonline.it
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