domenica 14 novembre 2010

Miraggio Europa


Migliaia di migranti tagliano il deserto in cerca dell'approdo oltre il Mediterraneo. Li attendono trafficanti senza scrupoli e il cinico rifiuto dell'Italia: ecco cosa affrontano gli schiavi moderni
 
Testo e foto di Lorenzo Di Pietro
Il miraggio dell'Europa: viaggio tra Niger e Libia. Ecco come arrivano da noi (o come sono respinti) le vittime della povertà, della guerra e dei cambiamenti climatici

 "L'Europa è una grande scatola di formaggio che voi europei tenete chiusa - dice Moussa Kossomi - e più la terrete chiusa, più gli africani vorranno aprirla". Moussa è il presidente di Arc En Ciel (arcobaleno, ndr), un'associazione umanitaria locale che segue progetti di sviluppo nei villaggi intorno alla città di Agadez in Niger. Siamo nella mitica città di fango rosso dei touareg, la porta del Sahara, piccolo trionfo di architettura sudanese. Per la sua posizione centrale sulla “via del sale”, la principale pista carovaniera che unisce i Paesi dell'Africa Occidentale a quelli del nord, Agadez è da sempre una tappa importantissima per i viaggiatori. La sua moschea, un capolavoro annoverato tra i patrimoni dell'umanità, la rende meta di pellegrinaggi dei fedeli musulmani da molte parti dell'Africa.


Ma i tempi cambiano, e dopo venti anni di guerriglia che l'hanno isolata dalle rotte turistiche e commerciali, la città versa oggi in condizioni economiche disastrose. "Non c'è più alcuna ragione per andare ad Agadez, se non sei di Agadez" ci dice un touareg, sul pullman che attraversa 1.050 chilometri di deserto e che conduce alla città di fango partendo da Niamey, la capitale del Niger. Ma non è esattamente così. Ai mercanti e ai pellegrini si sono oggi sostituite altre due categorie di visitatori: gli ingegneri minerari cinesi e francesi impegnati nelle escavazioni dell'uranio, e i grandi viaggiatori del nostro tempo, le migliaia di migranti che ogni mese tagliano il deserto con il sogno dell'Europa. È ad Agadez che partono le principali vie di comunicazione verso la Libia e l'Algeria, sulla rotta che porta al Mediterraneo e poi all'Europa. La città è il cuore della macchina organizzativa che fa assumere al viaggio la dimensione dello sfruttamento di esseri umani. 

Qui i migranti incrociano il loro destino con quello del contrabbando, della droga e della prostituzione. Registi dei traffici sono i cockseur (termine gergale per indicare i trafficanti, ndr), in accordo con l'esercito che controlla il territorio. I militari presidiano le vie di accesso alla città e intercettano tutti i mezzi in ingresso, facendo scendere quanti riconoscono come migranti. Ai malcapitati viene estorto denaro per poi essere consegnati ai cockseur, che da lì in poi provvederanno a tutto. Sono loro a portarli in città e a sistemarli in ghetti gestiti dalle loro mogli o amanti. Sono luoghi dove un'intricata rete di viuzze si sviluppa tra capanne di paglia, fango e lamiere, all'interno delle quali i migranti vivono a decine, divisi per etnie. Non c'è acqua né luce, si dorme sdraiati a terra. Manca tutto, ma non la tv, che attaccata a una grande parabola campeggia nello spazio comune, dove chi ha già pagato il proprio biglietto, trascorre l'attesa della partenza guardando programmi occidentali, alimentando il mito dell'Europa. Per tutti gli altri le giornate passano alla ricerca di piccoli lavori, per accumulare il denaro necessario a pagare il viaggio.

Per le donne però il destino è più infame: il cockseur “ritira” le ragazze dalle mani dei militari a fronte del pagamento di una somma che saranno costrette a ridare, vendendo il loro corpo nelle case in cui verranno condotte. Così inizia per molte un viaggio senza uscita. Ad Agadez ci raccontano che la prostituzione è stata vietata dieci anni fa dalle autorità religiose, ma che ciò è servito solo a far lievitare i prezzi. Oggi il mercato è nascosto, viene gestito per telefono e il giro dei clienti è ristretto. Quando ci sono nuovi “arrivi” ci si avvisa con il passaparola, sottolineando la presenza di minorenni, per le quali si è disposti a pagare un extra.

Il cockseur compila l'elenco di coloro che possono partire, comunicando i nomi al passeur, che gestisce il viaggio. E' colui che lo organizza tecnicamente, tenendo il contatto con i camionisti e con i trafficanti che attendono all'altro capo del tragitto. Il costo dipende dalla destinazione, ma anche dall'etnia. Può costare l'equivalente di 50 euro per un nigerino, che possono raddoppiare se il migrante è considerato di etnia “inferiore”. Paese che vai, razzismo che trovi.

I camion partono al confine della città, sotto gli occhi dei militari che controllano la “regolarità” dei preparativi. Il tragitto dura diversi giorni. I mezzi pesanti sono carichi di ogni sorta di merce, dai materassi all'alcool di contrabbando, e i migranti siedono sul carico. "In Libia la vendita di alcool è vietata e questo è un grande business per i contrabbandieri", ci dice un ristoratore della città, "una bottiglia di whiskey può costare anche 150.000 CFA - circa 228 euro - sul mercato nero. Il vero business è quello del contrabbando". E della droga, che dalla Colombia viene scaricata nei porti della Guinea, per poi essere trasportata attraverso il Mali fino in Niger, dove sugli stessi camion che trasportano i migranti raggiunge le sponde del Mediterraneo, per fare il salto in Europa.

I mezzi partono solo con l'autorizzazione del governatorato. Tutto ha una parvenza di legalità, ma i militari che dovrebbero verificare documenti e merci chiudono gli occhi, a fronte di un adeguato compenso. Sono i passeur a tenere i registri, dove vengono annotate le date delle partenze, i nomi dei viaggiatori, provenienze e destinazioni, somme versate e persino i numeri di telefono di contatti in Europa. In molti casi si tratta di amici o parenti dei viaggiatori, che attraverso i money transfer pagano il viaggio, oppure un riscatto: un film che si ripete più volte prima di raggiungere il mare. Da Agadez le rotte sono due. La prima in direzione dell'oasi di Bilma, 700 chilometri a nord-est sulla via della Libia, l'altra va ad Arlit in direzione nord, per l'Algeria. È la via dell'uranio, non a caso l'area interessata dalla guerriglia. Per questo le tratte oggi sono gestite dagli ex guerriglieri, gli unici a conoscere i corridoi tra i campi minati. Più volte è accaduto che un mezzo sia saltato, con conseguenze tragiche per l'equipaggio. Giunti al confine, i migranti vengono consegnati ad altri trafficanti, che li condurranno in nuovi ghetti, dove la storia si ripeterà, con la variante dei militari libici, che prendono parte alla tratta. Saranno loro, questa volta a sequestrare i migranti, che cederanno a un altro militare a fronte di un riscatto, pagato dai parenti delle vittime, contattati per telefono. Un passaggio che di mano in mano porterà queste persone fino alle coste del Mediterraneo.

Agadez è però anche una meta sulla via del ritorno, quella che percorrono i superstiti delle carceri libiche, arrestati a seguito degli accordi anti-immigrazione con il governo italiano, che hanno trasformato il deserto a cavallo tra Niger e Libia in un grande buco nero, dove ogni mese migliaia di persone scompaiono. Finiscono nelle carceri di Gheddafi, dove stando ai racconti di chi sopravvive, vengono torturati e violentati in condizioni igieniche, alimentari e di sovraffollamento disumane. Al termine della prigionia vengono rimandati indietro, per le stesse mani dei trafficanti che li hanno condotti lì. Ed è nei ghetti di Agadez che incontriamo molti di questi respinti. Come Fatima, 19 anni (nella foto, di Bouba Cisse), più volte violentata dai militari libici e, scoperta incinta, scarcerata e consegnata ai trafficanti perché ne facessero quel che volevano. L'hanno riportata indietro fino alla città di Agadez, ed è stata una ragazza “fortunata” dunque, altre nella sua condizione vengono abbandonate o vendute come schiave. Lei, per la vergogna, non tornerà più a casa, ma non potrà neanche più affrontare il viaggio. Resterà intrappolata ad Agadez, senza un futuro.

Ancora più terribile il destino di Ibrahim, torturato dalle guardie libiche con bastonate sotto la pianta dei piedi e sul palmo delle mani, ricchi di terminazioni nervose, è impazzito dal dolore ed è svenuto, risvegliandosi parzialmente paralizzato. Oggi non è più in sé, vive mendicando ai margini dell'autostazione.

Un cockseur racconta in cosa consiste il “rimpatrio”: "I migranti vengono abbandonati al confine tra Libia e Niger. Da lì devono camminare per 70 chilometri nel deserto fino all'oasi di Madama. Ma molti non ce la fanno. Quando ci avvertono - dice - a volte andiamo a prenderli con il camion, ma non tutti lo fanno, è un rischio, oltre che una spesa". E ripete come un mantra "i libici sono razzisti". L'uomo che parla gestiva la tratta con altri due fratelli: "Per noi è solo un lavoro, queste persone vogliono arrivare in Libia e noi ce li portiamo. Non capisco perché voi europei lo vedete come un crimine". Racconta che un giorno mentre passava il confine con i fratelli, alla guida dei loro pick-up carichi di uomini, sono stati sorpresi dalle guardie libiche. Lui è riuscito ad allontanarsi, mentre i due fratelli sono stati fermati, i mezzi bruciati e loro due uccisi a sangue freddo. Sono gli “effetti collaterali” delle politiche anti-immigrazione, che per tenere chiusa la scatola del formaggio, condannano i migranti alla fine del topo.

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