Cosa Mangia il pollo che Mangi?
da: informasalus.it
di Giada Saint Amour di ChanazDato che molti elementi sono tratti da un’inchiesta svolta in Gran Bretagna, sarà utile notare che in Italia, esistono ancora parecchi allevatori e coltivatori meno industrializzati, soprattutto nelle regioni del Sud. E quindi per chi abita in un piccolo centro in Puglia o in Calabria, è probabile che questi problemi non si pongano ancora. Ma i supermercati e le loro reti di fornitori avanzano a grandi passi, e se consideriamo che muoiono varie piccole aziende agricole ogni ora in Italia, possiamo immaginare che se non si fa nulla in proposito, ci troveremo molto presto in una situazione che non offre più alternative.
È il caso di aggiungere anche che la pratica della rietichettatura invece, sembra più diffusa in Italia che all’estero, per la superficialità dei controlli e la corruzione di chi li dovrebbe fare. Un impiegato di un macello nel bolognese ci racconta come abbia passato buona parte della sua carriera a rietichettare carne che veniva dai paesi dell’Est o addirittura dalla Thailandia, con il bollino “carne italiana”.
È il caso di aggiungere anche che la pratica della rietichettatura invece, sembra più diffusa in Italia che all’estero, per la superficialità dei controlli e la corruzione di chi li dovrebbe fare. Un impiegato di un macello nel bolognese ci racconta come abbia passato buona parte della sua carriera a rietichettare carne che veniva dai paesi dell’Est o addirittura dalla Thailandia, con il bollino “carne italiana”.
Vediamo ora cosa significa allevare la carne con metodi industriali: il nastro trasportatore è il meccanismo che sta alla base delle catene di montaggio, diventate il simbolo glorioso della “rivoluzione industriale” alla fine dell’800 e la cui invenzione viene attribuita a Henry Ford, proprietario delle fabbriche di automobili.
Invece ciò che molti non sanno è che la catena – di “smontaggio”, in questo caso – fu inventata negli immensi macelli di Chicago poco prima, e lo stesso Henry Ford se ne ispirò in seguito.
Ma a nessuno andrebbe di ricordare quei luoghi, per quanto turpe e fetida era l’atmosfera di morte che vi regnava, per le orribili condizioni di lavoro praticate e per l’altissimo tasso di malattie che vi si trasmettevano.
Le creature smembrate fluivano in un’ininterrotta processione. La macellazione meccanizzata aveva introdotto una distanza tra l’animale e il suo carnefice. Per la prima volta, l’atto dell’uccisione poteva sembrare neutro, come scriveva chi, allora, visitò i macelli: «Quel che è più stupefacente di queste transizioni di massa dalla vita alla morte è la completa neutralità dell’atto… Avvengono così rapidamente, e sono talmente integrate al processo di produzione da non generare quasi emozioni… Non ci si commuove, non si prova nulla: ci si limita a osservare». Soltanto 50 anni fa le cose erano molto diverse, ed era frequente vedere polli vivi venduti al mercato, o assistere nei paesi al rituale dell’uccisione del maiale. Oggi invece tutta la carne che mangiamo è macellata a questo modo, e la legge fa divieto ai contadini di macellare i propri animali in fattoria.
L’allevamento e la macellazione industriale hanno raggiunto il massimo sviluppo nell’avicoltura, ossia nella produzione di carni di pennuti. Prendiamo l’esempio del pollo, un alimento molto comune. Nella maggior parte dei supermercati si trovano spesso montagne di polli a prezzi incredibili, offerte speciali… Ma poter comprare un pollo intero pagandolo poco più di un caffè ha il suo prezzo. Se un pollo dovesse raccontare la propria vita in un allevamento industriale probabilmente lo farebbe così:
Il racconto di un pollo moderno
Intanto siamo molto diversi dai nostri antenati: la selezione genetica ha prodotto la razza “broiler”, polli che ingrassano molto rapidamente.
Nel 1957, crescevamo fino a 2 kg in 63 giorni, oggi in soli 33 giorni. Tanto che i maschi destinati alla riproduzione devono essere alimentati pochissimo e costretti a soffrire la fame, altrimenti avrebbero difficoltà ad accoppiarsi.
Nei capannoni dove ci allevano, a ciascuno di noi viene concesso uno spazio inferiore a quello di un foglio di formato A4. Alcuni infatti hanno dei raptus, in cui iniziano a strapparsi le penne a vicenda, seguiti da episodi di cannibalismo verso gli esemplari morti. Quando il capannone è pieno zeppo di volatili diventa difficile per il personale individuare i polli morti prima che gli altri inizino a mangiarli. Le ossa, il cuore, i polmoni non riescono più a tenere il passo con lo sviluppo sproporzionato del corpo. Non ci reggiamo sulle zampe, zoppichiamo e stiamo spesso seduti sulle lettiere sporche, molti contraggono malattie della pelle. Molto diffusi sono anche i decessi dovuti a infarto o a ingrossamento del cuore, che non riesce più a pompare abbastanza ossigeno.
Per prevenire le malattie che potrebbero compromettere la nostra vendita, ci imbottiscono di antibiotici: alla fine degli anni ’90, l’impiego di antibiotici negli allevamenti inglesi ha raggiunto le 450 tonnellate l’anno. Infine ci trasportano al macello su dei camion: vediamo la luce per la prima volta e andiamo in panico. Appena diamo sfogo all’intestino, una colata di escrementi parte dalle gabbie in cima inondando man mano quelle sottostanti.
Là veniamo selezionati. Gli esemplari ammalati o già morti dovrebbero essere scartati, ma siccome gli ispettori devono controllare 180 polli al minuto se non di più, alcuni possono sfuggire al controllo.
Allo stesso ritmo (180 al minuto), veniamo immersi in una vasca di acqua calda per scottarci la pelle e far staccare le penne – l’acqua viene cambiata solo una volta al giorno: è una brodaglia marrone composta da feci e frammenti di penne a una temperatura di 52° C. Poi le spennatrici, che esercitano una forte pressione sulle carcasse, provocano l’espulsione di altro materiale fecale sulla linea di produzione. Infine se ci va bene veniamo sezionati e confezionati, e trasportati nel vostro supermercato.
>>> tratto da "Cosa Mangia il pollo che Mangi?" di Giada Saint Amour di Chanaz
Nel 1957, crescevamo fino a 2 kg in 63 giorni, oggi in soli 33 giorni. Tanto che i maschi destinati alla riproduzione devono essere alimentati pochissimo e costretti a soffrire la fame, altrimenti avrebbero difficoltà ad accoppiarsi.
Nei capannoni dove ci allevano, a ciascuno di noi viene concesso uno spazio inferiore a quello di un foglio di formato A4. Alcuni infatti hanno dei raptus, in cui iniziano a strapparsi le penne a vicenda, seguiti da episodi di cannibalismo verso gli esemplari morti. Quando il capannone è pieno zeppo di volatili diventa difficile per il personale individuare i polli morti prima che gli altri inizino a mangiarli. Le ossa, il cuore, i polmoni non riescono più a tenere il passo con lo sviluppo sproporzionato del corpo. Non ci reggiamo sulle zampe, zoppichiamo e stiamo spesso seduti sulle lettiere sporche, molti contraggono malattie della pelle. Molto diffusi sono anche i decessi dovuti a infarto o a ingrossamento del cuore, che non riesce più a pompare abbastanza ossigeno.
Per prevenire le malattie che potrebbero compromettere la nostra vendita, ci imbottiscono di antibiotici: alla fine degli anni ’90, l’impiego di antibiotici negli allevamenti inglesi ha raggiunto le 450 tonnellate l’anno. Infine ci trasportano al macello su dei camion: vediamo la luce per la prima volta e andiamo in panico. Appena diamo sfogo all’intestino, una colata di escrementi parte dalle gabbie in cima inondando man mano quelle sottostanti.
Là veniamo selezionati. Gli esemplari ammalati o già morti dovrebbero essere scartati, ma siccome gli ispettori devono controllare 180 polli al minuto se non di più, alcuni possono sfuggire al controllo.
Allo stesso ritmo (180 al minuto), veniamo immersi in una vasca di acqua calda per scottarci la pelle e far staccare le penne – l’acqua viene cambiata solo una volta al giorno: è una brodaglia marrone composta da feci e frammenti di penne a una temperatura di 52° C. Poi le spennatrici, che esercitano una forte pressione sulle carcasse, provocano l’espulsione di altro materiale fecale sulla linea di produzione. Infine se ci va bene veniamo sezionati e confezionati, e trasportati nel vostro supermercato.
>>> tratto da "Cosa Mangia il pollo che Mangi?" di Giada Saint Amour di Chanaz
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