mercoledì 16 marzo 2011

Dieci ingredienti per combattere la fame

Foto: ©FAO/Alessandra Benedetti
tratto da: Unimondo.org

1) Meno armi più istruzione. Per Nelson Mandela “l’istruzione e la formazione sono le armi più potenti per cambiare il mondo”. Se vengono indirizzate alle bambine verranno educate comunità anziché singole persone. Istruzione significa maternità responsabile e, quindi, minor numero di bocche da sfamare. Luisa Diogo, già primo ministro del Mozambico, ha fatto il miracolo stornando i denari per gli armamenti in denari per l’educazione. Se poi questa formazione è mirata ad apprendere tecniche di coltivazione appropriate e sementi migliori il valore è aggiunto.
Ma secondo Abhijit Banerjee ed Esther Duflo del M.I.T. l’istruzione serve a scardinare “le tre i" - ideologia, ignoranza, inerzia, - cause principali del fallimento dei progetti di assistenza internazionale e "trappola della povertà". Trattasi di un vera e propria “soglia critica di alimentazione”, al di sopra e al di sotto della quale le persone vengono sospinte verso l'occupazione e l'accesso a cibo più nutriente, oppure precipitano ulteriormente nella miseria e nella fame.

2) Meno speculazione più regole. Vi sono due tipi di speculazione. Commerciale e finanziaria. La prima è quella operata da chi dispone di un prodotto quando questo è scarso e lo ritira dal mercato, rendendolo ancora più caro, suscitando così rialzi dei prezzi più intensi, e rimettendolo sul mercato quando i prezzi sono altissimi per ottenere un guadagno maggiore. La seconda speculazione, più recente e molto insidiosa, è quella finanziaria e si basa sui “futures”, titoli che legano il proprio rendimento alla realizzazione di un prezzo futuro. Per gli speculatori oggi scommettere sui prezzi dei beni alimentari è molto semplice: basta andare a comprare dei “futures” (per esempio sul grano) alla borsa di Chicago, che è la piazza di riferimento per i cereali. Basta farlo nel momento in cui il prezzo del grano è basso, fidandosi delle analisi che prevedono una nuova corsa al rialzo. Solo delle regole transnazionali possono mettere un freno ad entrambe le speculazioni.
3) Meno bistecche più verdura. Gran parte dei raccolti vanno oggi a nutrire il bestiame, in particolare i bovini. Purtroppo,occorre usare cerali equivalenti a otto calorie per ottenere una caloria di carne. Ogni bistecca che arriva sulle nostre tavole equivale ad un pasto di cereali per due famiglie africane. Dei 4 miliardi di ettari potenzialmente arabili più della metà sono compromessi da erosione, desertificazione e inarrestabile sviluppo delle città. Della terra che rimane dobbiamo decidere se dedicarla al pascolo o alla coltivazione delle più svariate verdure.
4) Meno SUV più mezzi pubblici. L’energia è la faccia della stessa medaglia. La bistecca necessita di energia per macellare, conservare e trasportare a destinazione la carne. Lo stile di vita del ricco è energivoro. Molti governi, davanti alla stressante richiesta dei propri cittadini affatto intenti a cambiare lo stile di vita, promuovono la trasformazione di cereali in benzina. Serbatoi al posto di stomaci. Il pieno di un fuoristrada richiede l’uso di cerali sufficiente a sfamare una famiglia africana per un anno. All’uopo l’Unione Europea non deve seguire gli Stati Uniti su questa via come ha posto resistenza sulla via degli OGM.
5) Più silos e più strade. Un’altra fonte di perdite di raccolti sono le strutture di conservazione. Oggi fino ad un terzo dei cereali prodotti in Africa viene distrutto da topi o insetti (cavallette, bruchi, vermi e scarafaggi). Come ci ricorda Predrag Matvejević i parassiti minacciano da sempre il grano e la farina. I loro nomi sono diventati sinonimi di danni, guasti e disgrazie: loglio, zizzania, malerba, carbonchio detto anche ruggine, carbuncolo, golpe, nonché pula o muffa. La creazione di reti di trasporto e di silos facilmente raggiungibili dai contadini permetterebbe di aumentare la quantità di cibo disponibile anche senza aumenti della produzione attuale. La cooperazione internazionale e decentrata dovrebbe riflettere a riguardo.
6) Più orti e meno latifondi. Dai latifondi agli orti. Dall’agricoltura intensiva a quella su piccola scala che garantisce autonomia ai produttori locali. Dalle importazioni che creano dipendenza alla sostenibilità. Slow food, tra gli altri, scommette sul continente più difficile, l’Africa, e sul cambiamento attraverso «piccoli progetti concreti e replicabili»
7) Meno spreco più diffusione. Solo in Italia - riferisce la Coldiretti - restano invenduti nei retrobottega dei punti vendita 240mila tonnellate di alimenti per un valore di oltre 1 miliardo di euro, che potrebbero sfamare 600.000 cittadini con tre pasti al giorno per un anno. In Italia si produce troppo e si spreca ancora di più: addirittura il 3% del Pil nazionale. E' quanto emerge dal 'Libro nero sullo spreco alimentare in Italia', lo studio a cura di Luca Falasconi e di Andrea Segrè. Nel dossier si stima che il cibo che si perde senza che arrivi sulle nostre tavole darebbe da mangiare ogni giorno a 44 milioni di persone.
Riguardo le tonnellate di cibo che i supermercati non sono riusciti a vendere non può essere utilizzate per l'alimentazione animale (una norma Ue lo vieta), né può essere regalato ai poveri (salvo nei casi in cui intervengano organizzazioni specializzate come il last minute market). Quindi viene per la maggior parte buttato.
8) Meno estetica più etica. Molti prodotti sono impresentabile per il mercato e sono, quindi, non raccolti. In realtà hanno le stesse caratteristiche dei prodotti presentabili. Forse migliori come il biologico insegna. Per cui in tutta la filiera dal produttore al consumatore v’è uno scarto “del meno bello” impressionante. Qui bisogna agire sulla “cultura di massa” affinché non preferisca il “bello” dal “brutto” perché così facendo s’incentiva la chimica anziché la natura. L’Unione Europea ha recentemente abolito i regolamenti europei che imponevano criteri di qualità anche 'estetici' a 26 tipi di frutta e verdura. Possono tornare sulle nostre tavole cetrioli e carote di ogni sorta! Come natura li ha fatti. Non può ancora tornare la frutta storta. Ma è questione di tempo.
9) Più campagna e meno città. Secondo il rapporto The Challenge of Slums (redatto da UN-Habitat), a livello mondiale un miliardo di persone vive oggi nelle baraccopoli e il numero è destinato a raddoppiare nei decenni a venire, se non si adottano adeguate contromisure affinché vi siano opportunità nelle zone rurali. Nei paesi asiatici, africani e sudamericani il fenomeno riguarda una persona su due, con città come Nairobi dove la percentuale di persone costrette ad arrangiarsi negli slums tocca il 70%.
10) Più denari e meno chiacchiere. Le risorse per la cooperazione internazionale stanno in Italia drammaticamente diminuendo, come ci ha ricordato recentemente, Bob Geldof, e sembrano esser sostituite da chiacchiere, meeting, G8, convention e dichiarazioni. Non sono certo la panacea d’ogni male ma l’Italia s’è impegnata più volte per lo 0,7% PIL e da un percentuale da prefisso telefonico vestendo la maglia nera dell’OCSE per gli aiuti allo sviluppo. Qui c’è veramente bisogno di controvertire il trend. C’è chi ha fame. 

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