Soldi che non si possono restituire. I propri figli che invece di andare a scuola fanno mattoni per 12 ore al giorno. Questa è la vita di 5000 piccoli rifugiati.
Un‘altra storia di debiti e schiavitù. Una variante della storia delle bambine thailandesi vendute dai genitori per pochi soldi e costrette a prostituirsi in città, dei piccoli brasiliani portati via dai loro villaggi e infilati sotto terra a lavorare in miniera, dei bambini pakistani chiusi in cantine a fare i tappeti da vendere agli occidentali, di questi debiti perversi che non finiscono mai. Questa volta sono bambini afghani e lavorano in orribili fornaci dove producono mattoni.
SCHIAVI A CONTRATTO – Questa è una storia di Afghanistan e di fornaci dove si fanno i mattoni. I bambini fanno cose diverse, ma la schiavitù è la stessa. Nick Muhammad ha 18 anni e lavora alla fornace. Non alza nemmeno lo sguardo. Ha tentato di unirsi all’esercito afghano per ben due volte, poi suo padre ha chiesto altri soldi al suo padrone, Gul Bacha, che ha detto. “No, devi riportare indietro tuo figlio, oppure restituiscimi i soldi che mi devi e la casa che ti ho fornito.” Così Nick ha dovuto tornare al suo lavoro. I Muhammad sono schiavi a contratto, comprati e pagati da Gul Bacha, che ha acquisito il loro debito e li fa lavorare in un fornace di mattoni in Pakistan, dove vivono come rifugiati. Bel rifugio, davvero.
Come centinaia di migliaia di afghani, questa famiglia è intrappolata in un cerchio senza fine di povertà. Loro hanno un debito con il datore di lavoro, il datore di lavoro fornisce loro casa (di solito un tugurio) e altri beni di prima necessità, il debito aumenta, i lavoratori sono pagati pochissimo e non riescono a far fronte, diventando sempre più poveri e schiavi. Funziona così, e non si scappa. L’unica speranza è che il boss venda i suoi lavoranti a un altro che li paga di più, cosa possibile, ma non probabile. In Afghanistan l’economia è al collasso, ci sono pochissime banche, il grado di corruzione altissimo, la solidarietà un lusso da ricchi.
SENSO DI COLPA -In questo paese è illegale che i bambini di età inferiore ai15 anni facciamo lavori pesanti per troppe ore al giorno, e il governo dice che sta cercando di provvedere affinché ai bambini venga fornita un’istruzione e affinché le famiglie non siano costrette a mandare i figli in età scolare a lavorare alle fornaci. Le forze Nato dislocate in Afghanistan in teoria combattono contro lo sfruttamento del lavoro infantile, ma poi – almeno a quanto dicono i proprietari della fornaci – per i loro progetti utilizzano mattoni prodotti in fornaci che sfruttano il lavoro dei bambini. Il padre di Nick Muhammad, Zar Muhammad, 55 anni, dice che si sente in colpa perché teme che I suoi figli erediteranno il debito. I suoi figli più piccoli, Gul e Nayaz lavorano nel fango di fianco a lui: hanno rispettivamente 7 e 8 anni. Guardano per terra, stravolti. Oggi hanno lavorato dodici ore. Domain saranno ancora lì.
DEBITO SENZA FINE – Nel distretto di Surkhrod ci sono 90 fornaci, che impiegano una media di 150/200 bambini ciascuna. “Questi bambini che lavorano nelle fornaci si trovano in stato di semi-schiavitù.” Afferma Sarah Crowe, referente Unicef per quella zona dell’Asia. “Non soffrono solo per il clima estremo che c’è in questa zona, ma respirano il fumo delle fornaci tutti i giorni, per tutto il giorno. Il tasso di mortalità per polmonite e infezioni respiratorie acute è il più elevato del paese.” Zar Muhammad ha contratto questo debito quando si è sposato, 30 anni fa. I matrimoni e i funerali afghani prevedono cerimonie complicate e costose, per le quali molti contraggono debiti che poi non riescono più a onorare. Sono nati i bambini, si sono ammalati ed è stato necessario comprare le medicine. Ogni cosa richiede soldi e così il debito è cresciuto di anno in anno. Zar e i suoi quattro figli guadagnano tutti insieme dieci dollari al giorno per i 2500 mattoni che producono alla fornace. Il padrone guadagna 160 dollari vendendo quell quantitativo di merce.
COSTRUIRE IL NOSTRO PAESE – Questa è la vita dei rifugiati afghani in Pakistan. Schiavi che non possono alzare la voce, altrimenti i proprietari delle loro vite li cacciano di casa. Sad Kibir Bacha, governatore distrettuale di Surkhrod, dice che si è appena trasferito e che non conosce bene i problemi dei lavoratori del luogo. Stima che ci siamo almeno 5000 bambini che lavorano nelle fornaci del distretto. “So che non è una cosa buona per I bambini,” ha dichiarato in un’intervista. “Ma noi dobbiamo costruire le nostre case, costruire il nostro paese.” In un primo momento abbiamo giudicato malissimo queste parole calcolatrici e prive di compassione. Ma che paese è uno che si costruisce con il lavoro dei bambini? Perché non se lo chiede il governatore del Surkhrod? Perché non ce lo chiediamo nemmeno noi?
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