sabato 2 aprile 2011

Accolti in una discarica. Dietro Kinisia, la beffa

Natya Migliori da Trapani

IMMIGRATI/1. La tendopoli nel trapanese nasconde una tragica verità: l’ex pista militare che accoglierà le mille persone da Lampedusa è contaminata dall’eternit, coperto da uno strato di terra.

Una tenda non fa accoglienza. Specie quando viene piantata in un campo contaminato dall’eternit. In attesa che le navi approdino a Trapani con un carico di mille migranti in partenza da Lampedusa, l’allarme della cittadinanza sull’“inidoneità” della tendopoli impiantata nell’ex pista militare di Kinisia, è stato confermato dal Direttore generale di Arpa Sicilia, l’ingegnere Sergio Marino. Dopo un sopralluogo effettuato su richiesta del presidente della Regione Sicilia Lombardo, l’ingegnere ha dichiarato che la discarica su cui sorge adesso il sito è ad alto rischio di contaminazione. «I detriti e le schegge di amianto - afferma - sono ancora facilmente rinvenibili su tutto il terreno. L’Eternit con ogni evidenza è stato “smaltito” per frantumazione e il tutto è stato malamente coperto da uno strato di terra». Mentre Lampedusa dovrebbe cominciare a svuotarsi, a Marausa, Salinagrande, Rilievo, Locogrande e Guarrato, ad accogliere lo “sbarco” saranno rabbia, timori e cortei.


«Abbiamo gridato a gran voce - ci spiega Salvatore Tallarita, portavoce del Comitato osservatorio per la Contrada Trapani Sud - che non si stava seguendo la procedura prevista dalla legge per lo smaltimento dell’amianto. E oggi abbiamo avuto conferma che i nostri sospetti erano fondati». La pista di Kinisia si trova in una sorta di deserto. Sullo sfondo, le colline trapanesi e qualche pala eolica. In mezzo, il nulla. Non un albero, non un riparo. Solo massi e qualche timido accenno di coltivazione. Novanta le tende e pochissimi i wc chimici. «In ogni tenda - è ancora Tallarita - saranno letteralmente ammassate dalle otto alle dodici persone, per un totale di circa mille profughi in condizioni disumane. Non ci sono servizi igienici adeguati, non si capisce come raccogliere le acque reflue, manca l’acqua».

«Questa gente - incalza Francesca Rindinella, anche lei del Comitato - verrà rinchiusa dentro una camera a gas, per di più ad alto rischio di cancro. Quando arriverà il caldo scapperanno tutti. Il nostro non è razzismo. Siamo solo convinti che accoglienza non possa significare esclusione. Al più presto tradurremo in arabo i nostri volantini, per trasmettere anche ai profughi il nostro messaggio».
«Vorremmo non essere fraintesi dal resto d’Italia - commenta il segretario provinciale della Cisl Giovanni Marino - e dagli stessi immigrati. Noi siamo abituati da sempre a convivere con profughi, clandestini e richiedenti asilo, ma non vogliamo vedere il nostro territorio trasformato in una “Lampedusa in terra”. Lo sviluppo trapanese si è basato negli ultimi anni sul turismo. Fino ad ora siamo stati ai margini dell’economia italiana e adesso che ci troviamo al centro degli avvenimenti mondiali rischiamo, paradossalmente, di essere penalizzati ancora di più».

Condivide le preoccupazioni dei cittadini anche la gran parte dei rappresentanti politici. «Chi ha operato la scelta di Kinisia - dichiara il sindaco di Trapani Girolamo Fazio - o non conosce il sito o ha ritenuto di risolvere così il problema immediato di dove “stipare” tutta questa gente. Non si può pensare di scaricare solo sulla Sicilia il peso dell’emergenza. Il nostro territorio, che faticosamente ha tentato di riprendersi, rischia di tornare nel baratro di un futuro senza prospettive di sviluppo. Ci aspettiamo che il Governo si renda conto della situazione e si attivi per evitare che diventi esplosiva». Per Rita Borsellino «il governo sta trasformando Lampedusa e la Sicilia in una valvola di sfogo della disperazione, lasciando in condizioni subumane i migliaia di migranti, tra cui centinaia di bambini, sbarcati sulle nostre coste. Il danno, ormai, è stato fatto. E nessuno show, come già successo a L’Aquila, né fantomatici casinò e campi di golf lo cancelleranno».

Come a Lampedusa, rimane solo un vuoto. E l’amara sensazione che a fare le spese della pessima gestione dell’emergenza sia la gente comune e “loro”, gli immigrati.

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