tratto da: Libre
Dopo la Libia, l’Eritrea. Appello al governo italiano: staccate subito la spina alla dittatura di Iseyas Afewerki, a capo del più feroce regime africano. «Se l’Italia continua a sostenerlo, si prepari a subire l’invasione dei profughi, in fuga dalla fame e dal terrore». L’appello è firmato dal “Comitato per la solidarietà con i popoli del nord Africa in rivolta”. Ultimo allarme, i 68 cadaveri di eritrei annegati il 17 aprile sulla rotta di Lampedusa. Con lo scoppio del conflitto in Libia, la situazione è peggiorata: i giovani eritrei cercano scampo in mare, «costretti anche a nascondersi per non essere confusi con le centinaia di mercenari che il regime di Asmara ha effettivamente inviato a sostegno di Gheddafi».
A fuggire dall’Eritrea sono soprattutto i giovani, in cerca di una prospettiva di vita dignitosa e migliore. «Nella maggioranza dei casi – scrivono gli attivisti nel loro appello, rivolto ai ministri Maroni e Frattini – queste fughe vengono intercettate dalle forze del regime e i giovani vengono rinchiusi, nei gulag a cielo aperto dove subiscono tutte le forme di tortura immaginabili». In altri casi, quando per fuggire si affidano ai trafficanti, possono cadere vittima di ricatti e sequestri com’è capitato agli 80 eritrei sequestrati dai predoni nel deserto del Sinai, «tenuti ancora a tutt’oggi in catene fino a quando non avranno pagato un riscatto di 8000 dollari ciascuno».
L’Eritrea è un lager a cielo aperto, da cui non c’è scampo: tra fame e terrore, leva obbligatoria e deportazioni di massa. Una dittatura brutale, che da qualche anno si regge sul decisivo sostegno dell’Italia, grazie ad accordi speciali di cooperazione, di cui beneficiano imprese lombarde, emiliane e campane. Spaventoso il bilancio dei diritti umani: Afewerki, ultimo despota “comunista” del continente nero, secondo le Nazioni Unite supera in ferocia persino la Corea del Nord. Da solo, nel 2008 ha incrementato del 10% gli sbarchi di disperati a Lampedusa, con quasi 3.000 richieste di asilo. «Dopo l’accordo con Gheddafi – scrivono Fabrizio Gatti e Claudio Pappaianni su “L’Espresso” – la politica estera italiana punta molto sull’ex colonia: meno di cinque milioni di abitanti e costo della manodopera quasi a zero, grazie ai lavori forzati». A far gola anche i chilometri di spiagge sul Mar Rosso, da cui un giorno far concorrenza a Sharm El Sheik con gli hotel del futuro polo turistico di Ghelalo.
Chi tenta la fuga finisce in mare, in quel cimitero liquido che è diventato il Mediterrano: le cui acque seppelliscono i corpi dei “fortunati” evasi dai campi. Il drammatico documentario “Come un uomo sulla terra” e il blog “Fortress Europe” di Gabriele Del Grande raccontano il martirio dei profughi eritrei: prima il deserto del Sudan, poi gli sgherri di Gheddafi in Libia e, fino a ieri, la politica dei “respingimenti” concordata con l’Italia. Ora, con il caotico conflitto in corso, i giovani eritrei intrappolati fra Tripoli, Misurata e Bengasi cercano più che altro di schivare pallottole e bombe, e di non farsi scambiare per mercenari. «Con trattati come quello italo-libico – dicono i firmatari dell’appello – ci siamo resi complici di un’autentica vergogna, impedendo l’arrivo via mare dei rifugiati».
«Se vogliamo trarre qualche insegnamento da tutta la vicenda della Libia – continuano i firmatari – siamo ancora in tempo a lanciare un appello al nostro governo perché rescinda i trattati con Iseyas Afewerki, interrompendo il primo anello della catena di sventure che si abbattono sui giovani eritrei. Siamo chiamati ad agire anche su tutti gli altri anelli, cioè a rivendicare il diritto d’asilo per i profughi, visto che l’Italia risulta essere il paese in Europa che concede asilo al minor numero di richiedenti, come pure batterci per l’abrogazione della Bossi-Fini e del pacchetto sicurezza che istituisce il reato di clandestinità, la pratica dei respingimenti e i Cie».
Considerato il legame storico che unisce l’Italia alla sua ex colonia eritrea, è fondamentale che chi ha a cuore i diritti umani comprenda l’importanza di agire tempestivamente a livello politico facendo pressioni sul nostro governo perché si muova per favorire mutamenti reali in Eritrea, volti a ripristinare i fondamentali diritti democratici quali libere elezioni, multipartitismo, suffragio universale. «Il momento di agire è indubbiamente adesso, per evitare altri morti nel Mediterraneo, prima che si scatenino ancora maggiori spargimenti di sangue contro il popolo eritreo, che a differenza delle popolazioni del Maghreb e del Medio Oriente è stretto in una morsa talmente brutale che rende impossibile le eventuali rivolte, verificatesi invece altrove in questi ultimi mesi».
L’Italia non può far finta di niente: è in prima fila nella cooperazione con la dittatura eritrea attraverso compagnie come Fincantieri, Oma Sud (aerei), Regione Lombardia, Comunione e Liberazione, Cmc di Ferrara, Regione Toscana. Le commesse eritree sono sostenute dal governo di Asmara, anche attraverso denaro europeo: milioni di euro concessi grazie alla mediazione italiana. Un gruppo tessile di Bergamo, racconta “L’Espresso”, ha beneficiato di un contributo di 60 milioni della Simest, la finanziaria pubblica di Asmara che è la cinghia di trasmissione degli affari italiani in Eritrea. Inesistente l’opposizione: attraverso una spietata rete di informatori, Afewerki controlla gli esuli persino in Italia e avrebbe fatto schedare giornalisti, politici e imprenditori.
L’Italia tace, sapendo che una fetta del made in Italy è sostenuta proprio dagli aguzzini di Asmara e dal sangue del popolo eritreo, ma ora la situazione – con il collasso politico del Nord Africa – potrebbe anche precipitare: «Senza ombra di dubbio – insistono i promotori dell’appello – se non si affronta il problema all’origine, l’Italia sarà costretta a fare i conti in maniera pesante: in termini economici, di immagine nel mondo, di coscienza, di conflittualità. Diversamente, l’emorragia di questi dannati della terra continuerà a perseguitare le nostre coscienze.
(Per informazioni è possibile contattare direttamente Hamid Barole Abdu, 339.5919387, Pina Piccolo, 338.6268250 e Patricia Quezada, 339.1923429.
L’appello al governo italiano per il popolo eritreo è anche in inglese:
Di Eritrea non si sente mai parlare, come se non esistesse. Conserverò con cura questo post.
RispondiEliminaNamaztè
Caro Francesco è vero, ci sono parti del mondo che non fanno notizia.
RispondiEliminaL'Eritrea è una di queste, le responsabilità dell'Italia però sono gravi...tante, persino più che in Libia, guarda caso poi, la nostra indifferenza produce migranze che sono motivate dalle guerre che nostre aziende di punta nutrono e fomentano, però quando arrivano a Lampedusa li chiamiamo clandestini...
Un abbraccio forte, buona serata.
Namastè
Di Eritrea non parla proprio nessuno.
RispondiEliminaGrazie Rosa.
E diventato un bene prezioso l'informazione.
Che ormai si trova solo sui blog.
Nelle maggiori testate giornalistiche sono alle prese con amenità varie ed affari di castello.
Grazie Rosa!
Hai ragione Gianni, ormai le notizie, quelle vere, ci tocca cercarle scavando e selezionando perchè la verità è sepolta sotto la melma che ci propinano quotidianamente :-(
RispondiEliminaUn abbraccio e una notte buona ;.)
Namastè
I diritti umani nel mondo non hanno più una tutela. Le minoranze e gli individui vulnerabili sono stritolati da una macchina che produce business e specula sulla povertà, sulla guerra, sulle rivoluzioni. Il vero e più feroce dittatore è questo sistema in cui tutto è in vendita, purché generi profitto e potere. Anche la vita umana, anche il futuro del mondo. L'Africa è quotidianamente torturata un po' dal mondo "democratico", un po' da se stessa. Anche i poveri e i disperati, come carne da macello, fanno parte di questo mercato globale. Su di loro fioriscono organizzazioni, progetti, raccolte fondi. E quando non rientrano in questi meccanismi perversi, si ritrovano sul mercato degli schiavi, su quello della prostituzione, su quello - atroce - degli organi umani. L'uomo è lupo per l'uomo, ma i moderni alchimisti sanno come trasformare carne, sangue e lacrime in oro. Chi si oppone a questo inferno sulla tera, viene aggredito, screditato, crocifisso, perché il macchinario delle guerre e delle crisi non deve mai fermarsi e ogni ingranaggio deve costringere l'altro a funzionare. C'è oro per tutti, dai presidenti graditi alla "comunità internazionale" ai solerti funzionari, dai paladini della democrazia a lle ong "per i diritti umani", fino a chi fa il "lavoro sporco": faccendieri, trafficanti, mafiosi. C'è oro per tutti, meno che per i profughi, i perseguitati, i senzaterra.
RispondiEliminaAnonimo, che altro aggiungere? Nel tuo commento hai descritto alla perfezione come stanno esattamente le cose!
RispondiEliminaE ti dirò che sottoscrivo ogni parola, ogni punto ed ogni virgola...grazie!
Pensare poi, che l'Africa è la mamma dell'umanità.....
Un abbraccio :-)
Namastè