mercoledì 20 aprile 2011

UNA VITTORIA AMARA

tratto da: YAKU
COCACHACRA
UNA VITTORIA AMARA


Miniere a cielo aperto e devastazioni in Perù
Hugo Blanco
[20/04/2011 10.53.37]


La lotta contro la devastazione ambientale e l’aggressione alle comunità amerindie si fa sempre più dura, dal Perù al Guatemala e al Messico. In particolare contro la devastazione causata dalle miniere a cielo aperto con il loro spropositato impiego di acque che vengono irrimediabilmente sottratte all’agricoltura e riversate contaminate nei fiumi. Il Perù è uno dei paesi dove la resistenza è più tenace e dove viene pagato il più alto prezzo di vittime. Ma la lotta, da Bagua a Cocachacra, quando la popolazione è unita e determinata, riesce a fermare alcuni dei progetti più devastanti. Una descrizione fatta dal leader Hugo Blanco è particolarmente significativa 
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L'ingordigia smodata degli invasori spagnoli e dei loro sovrani fu fonte e origine di schiavitù e sofferenze inaudite per le popolazioni originarie dell'America Latina. Oggi, quando ci indigniamo nel ricordare la storia di quell'immenso sopruso, contemporaneamente sembriamo non vedere che quel sopruso è ancora in atto con modalità apparentemente diverse ma che hanno all'origine gli stessi presupposti: appropriarsi delle risorse naturali che portano ricchezza e quindi privilegi e potere nella completa indifferenza per quello che, conseguenzialmente, questo comporterà per la gente che vive nei luoghi depredati. Nel mondo attuale gli “invasori spagnoli” sono le grandi società multinazionali, e le vittime di ieri sono le stesse di oggi.

Perù, aprile 2010 – Mentre mass media, opinionisti, gente comune, sfere di potere alte, medie e basse si agitano e si interrogano sulle elezioni che si terranno nel paese il 10 aprile, a Cocachacra, uno dei 6 distretti che formano la provincia di Islay, nel sud ovest peruviano, la popolazione locale ha radicalizzato la protesta nei confronti del progetto di sfruttamento minerario a cielo aperto chiamato “Proyecto Tía María”, della multinazionale statunitense Southern Copper Corporation (SCC), per l'estrazione di rame e per la durata di 18 anni; per la realizzazione di questo progetto è prevista l'utilizzazione di acque sotterranee attinte da pozzi che verranno ubicati nella valle del fiume Tambo, valle in cui si trova Cocachacra, dove la maggioranza della popolazione vive di agricoltura.
É dagli ultimi tre mesi del 2009 che la popolazione della valle sta manifestando il suo rifiuto al progetto, in primo luogo perché comprometterebbe gravemente la disponibilità d'acqua necessaria per l'agricoltura, e poi per i pesantissimi danni da inquinamento che l'istallazione di miniere a cielo aperto comportano, danni che si stanno pagando duramente in termini di salute e devastazione ambientale in molte regioni del Perù.
La popolazione di Cocachacra, ben cosciente di tutto questo, si è organizzata nel “Frente de Defensa del Medio Ambiente y de los Recursos Naturales de Cocachacra” (Fronte per la Difesa dell'Ambiente e delle Risorse Naturali di Cocachacra), che si è poi associato al CONACAMI (Confederación Nacional de Comunidades del Perú Afectadas por la Mineria). Il 27 settembre 2009, su richiesta delle autorità locali, si è svolta una “consulta vecinal” (consultazione locale) nella quale il 97% della popolazione si è dichiarata contraria al Proyecto Tía María. Le proteste sono andate avanti per tutto il 2010, in forma pacifica ma determinata; ci sono state assemblee, cortei, blocchi stradali e scontri con le forze dell'ordine quando queste hanno cercato con i loro consueti metodi d'impedire tutta questa visibilità, e in seguito ai quali si sono avuti feriti e arresti.
Malgrado la violenze con cui sono state ripetutamente represse le proteste, malgrado il progetto minerario sia stato dichiarato distruttivo da più parti, come hanno dimostrato anche le più di 3.000 osservazioni del “Estudio de Impacto ambiental” (Studio sull'Impatto Ambientale) presentate dal municipio distrettuale di Cocachacra e dalla relazione della Oficina de las Naciones Unidas de Servicios para Proyectos (UNOPS), che segnala 138 manchevolezze nel progetto, malgrado l'appello al governo fatto da CONCAMI PERÚ perché venga rispettata la decisione della popolazione, ponendo come priorità la salute, il territorio e l'ambiente naturale della comunità piuttosto che gli interessi delle grandi imprese, il governo pretende ancora che i dirigenti del “Frente de defensa” aprano un dialogo con la Southern Perú Copper Corporation in merito alle modalità previste per il progetto, e questa dichiarazione di Pepe Julio Gutierréz, presidente del Frente, al quotidiano “El Comercio”, è la risposta e la posizione della popolazione della valle:
“Noi non vogliamo che ci spieghino da dove prenderanno l'acqua. E neanche la tecnologia che useranno per evitare contaminazioni. Vogliamo solo che se ne vadano dalla valle e ci lascino vivere tranquilli”.

Il 23 marzo 2011 la popolazione di Cocachacra proclama uno sciopero a tempo indeterminato, decisa ad arrivare fino in fondo e la lotta diventa sempre più dura.
Il tredicesimo giorno di sciopero, durante uno scontro con la polizia sulla strada d'accesso a Mollendo, capitale della provincia d'Islay, che avevano bloccato, muore Andrés Taype Choquepuma, di 22 anni, agricoltore della valle del Tambo: un proiettile gli ha attraversato il torace. Anche altri manifestanti sono feriti, tre in modo grave. Alle proteste si associano molti cittadini di Mollendo e di Matarani, un porto nelle vicinanze, il transito è completamente interrotto. Le autorità di Arequipa, capitale della regione, tentano alcune misure per sbloccare la situazione, ma i portavoce del Frente de Defensa rispondono che lo sciopero sarà interrotto “solo quando il governo annuncerà definitivamente il ritiro del Proyecto Tía María”.
Il 5 aprile (mancano cinque giorni alle elezioni) il governo di Alan García pensa di aver trovato un modo per sbloccare momentaneamente la situazione e lasciare al governo che verrà la patata bollente: il Ministerio de Energía y Minas (MEM) blocca per sei mesi la valutazione dello Studio di Impatto Ambientale presentato dalla Southem Copper sul Proyecto Tía María, mentre solo pochi giorni prima il ministro di “Energía y Minas”, Pedro Sánchez, aveva dichiarato che il progetto sarebbe stato bloccato per 90 giorni, tempo dato alla Southern per rispondere e rimediare alle osservazioni negative fatte al progetto dalle Nazioni Unite.
Intanto nella zona sono sospese tutte le attività commerciali e le vie di transito sono completamente bloccate dai manifestanti.
Alle 5:00 della mattina del 7 aprile, inaspettatamente, si scatena un attacco via aerea da parte della Polizia Nazionale, che lancia da un elicottero bombe lacrimogene sulle centinaia di manifestanti che stanno pernottando sulla strada Mollendo-Matarani per mantenere il blocco: la prima vittima dell'attacco è Néstor Cerezo, 31 anni, che ne riceve una in testa. La polizia attacca anche da terra e uccide con uno sparo Aurelio Huarcapuma Clemente, 50 anni. I feriti sono più di 50, alcuni gravissimi. Il sindaco di Deán Valdivia, Richard Ale Cruz, che fa parte dei manifestanti, racconta che la polizia non ha dato nessun avvertimento prima dell'attacco e ricorda:
"Ci siamo svegliati quando l'elicottero ha cominciato a lanciare bombe lacrimogene e a sparare. Le madri correvano con i loro bambini senza sapere come fare per proteggerli, gli anziani erano a terra, sembrava di vivere un incubo”.
L'ospedale di Mollendo dichiara l'allerta rosso davanti all'arrivo di tanti feriti, mentre circa duemila abitanti della valle del Tambo accorrono in appoggio dei manifestanti attaccati e, furenti, innalzano barricate e incendiano pneumatici, due camion cisterna e tre autobus, oltre a distruggere la sede municipale della città. La polizia non riesce a fermarli, ora sono in quattromila. Richard Ale Cruz, sindaco di Deán Valdivia, e Abel Suárez Ramos, sindaco di Cocachacra, si recano a Arequipa e si istallano nell'atrio della cattedrale dove, per protesta, iniziano uno sciopero della fame.
Il ministro dell'Interno, Miguel Hidalgo, dichiara che la polizia sta lavorando a norma di legge e chiede alla popolazione di arrendersi: "Il paese ha bisogno di calma per votare e scegliere tranquillamente le sue autorità”.
Ma la protesta non si ferma, e dopo 17 giorni di sciopero, dopo tre morti e moltissimi feriti, il giorno 8 aprile il Ministero di Energía y Minas emette una risoluzione nella quale si dichiara inammissibile lo studio sull'impatto ambientale del Proyecto Tía María, motivo per cui il progetto è cancellato definitivamente. Appena la decisione è resa pubblica, i manifestanti cominciano ad abbandonare le strade in maniera pacifica, come riporta la stampa.

(Testo inviato da Hugo Blanco e tradotto da Gaia Capogna)
 da Mininotiziario Aldo Zanchetta

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