Dice che in realtà sono stati assaltati. Dice che hanno dovuto “rispondere al fuoco”, nonostante le stesse fonti sioniste si contraddicano parlando di “presenza a bordo di armi da taglio”.
Panzane, per non dire peggio. Il leit-motiv lo conosciamo ormai da decenni: un attacco israeliano camuffato da “risposta”.
Succede quotidianamente con i Palestinesi, il popolo che – per una qualche becera vendetta con la Storia – è costretto a subire trattamenti peggiori di quelli che il popolo della Stella di David subirono nei campi di concentramento, e che ancora oggi gli valgono una sorta di impunità – politica e storica – verso le nefandezze dell’attuale Esecutivo.
Succede quotidianamente ed è successo ieri, quando i corpi speciali dell’esercito hanno assaltato la Freedom Flottilla, il convoglio di navi che – partito da Cipro, Irlanda e Turchia domenica – aveva il compito di rompere l’assedio di Gaza portando medicinali, generi di prima necessità, cemento (considerato un’arma terroristica dai sionisti…) al popolo palestinese.
Era una manifestazione pacifica, composta – oltre che da Ong – da cittadini di tutte le età e di qualunque luogo accomunati dalla voglia di ridare giustizia storica ai Palestinesi, il cui legittimo territorio viene impunemente stuprato da decenni dagli anfibi con l’effigie ebraica, che sarebbe dovuta attraccare nei prossimi giorni nel porto di Gaza City.
Avvenuto in acque internazionali, l’assalto dei commandos israeliani ha fatto per ora circa 20 morti e più di una cinquantina di feriti. Mentre scrivo ancora non si hanno notizie sulle generalità né delle vittime né dei feriti, ma sembrano non essere coinvolti i cinque cittadini italiani che hanno preso parte alla Flottilla.
La nave passeggeri “Mavi Marmara” battente bandiera turca sembra essere quella più colpita. Puro caso dettato dal fatto che fosse la nave che comanda il convoglio o ripicca per gli accordi trilaterali Turchia-Iran-Brasile sul trattamento del “terroristico” uranio iraniano? La risposta ancora non è certa, sta di fatto che in Turchia è partita la sassaiola (letterale) verso il consolato, tentando al contempo di fare irruzione. Secondo l’esercito israeliano, il contingente militare sarebbe stato oggetto di un attacco partito dalle navi tramite armi da fuoco, anche se morti e feriti sono solo da una parte: quella degli attivisti. Non potevano di certo mancare le dichiarazioni internazionali. In attesa di quelle provenienti da Washington, che dovranno essere un caso da manuale in termini di ambiguità ed equilibrismo tra il filo-sionismo e la propensione all’”esportazione” di pace e democrazia, l’Onu – per bocca del Ministro degli Esteri Ashton – ha chiesto un immediato “dossier” sull’accadimento.
Ma anche in questo caso non c’è alcuna pretesa di andare oltre le dichiarazioni di facciata per un organizzazione che, se da una parte si erge a difesa dei palestinesi, dall’altra non è certo contraria alla politica israeliana. Patetico, per non dire irritante poi, è stato il sottosegretario agli Esteri italiano Alfredo Mantica, che ha definito la flotta pacifista una “voluta e risaputa provocazione”. Quando inizieremo a chiedere le dimissioni – unico atto “democratico e pacifico” che si possa fare – verso questi “servi(tori)” del Potere finanziati con tasse tricolori? Il suo diretto superiore Frattini – che non manca mai l’occasione di invertire i termini dei fatti – ha chiesto alla Turchia di “mantenere i nervi saldi”.
Così come qualche settimana fa sostenne che l’Ong Emergency è formada da una “masnada” di terroristi, anche in questo caso il nostro ministro se la prende con le vittime piuttosto che con i carnefici. Ma il perché – come il 99,9% dei politici, non solo nostrani – è facilmente intuibile. Ah, è (in)degna di nota la dichiarazione di un non meglio precisato ministro israeliano, che ha espresso il proprio rammarico per l’accaduto.
Mentre scrivo mi cade l’occhio su una notizia del New York Times – riportata come “breve” dai nostri quotidiani – e che dunque credo abbastanza attendibile, secondo la quale tre sottomarini atomici stiano puntando verso Teheran. Non vorrei che l’attacco odierno passasse alla storia come un remake dell’“incidente del Tonchino” in versione filo-israeliana…
Domanda conclusiva: cosa deve ancora succedere, quali altre disumanità dobbiamo ancora concedere ad Israele prima di intervenire e porre fine non solo al massacro – sia fisico che psicologico – di un intero popolo ma anche all’impunità israeliana? Clicca qui per ascoltare le dichiarazioni di Luisa Morgantini.
Io sogno gigli bianchi
in una strada di canto
e una casa di luce
e voglio un cuore buono
che non sia pieno di fucili
ed un giorno di sole
non un attimo folle d'una vittoria razzista
[Mahmud Darwish, poeta palestinese]
Andrea Intonti
fonte: www.reportonline.it
Nessun commento:
Posta un commento
La moderazione dei commenti è stata attivata. Tutti i commenti devono essere approvati dall'autore del blog.
Non verranno presi in considerazione gli interventi non attinenti agli argomenti trattati nel post o di auto-promozione.
Grazie.