sabato 31 luglio 2010

Pensieri---Osho

La mente non esiste come entità – questa è la prima cosa. Esistono solo i pensieri.

La seconda cosa: i pensieri esistono separatamente da te, non sono tutt’uno con la tua natura, vanno e vengono – tu rimani. Sei come il cielo: non viene mai, non va mai via, è sempre presente. Le nuvole vanno e vengono, sono fenomeni momentanei, non eterni. Persino se cerchi di rimanere attaccato a un pensiero, non puoi trattenerlo molto a lungo; deve andarsene – ha una nascita e una morte. I pensieri non sono tuoi, non ti appartengono. Arrivano come visitatori, ospiti, ma non sono loro i padroni di casa.

Osserva bene, e diventerai il padrone di casa e i pensieri saranno gli ospiti. Come ospiti sono molto belli, ma se ti dimentichi completamente di essere tu il padrone di casa e lasci che lo diventino loro, allora sei veramente nei pasticci. Questo qui è l’inferno. Tu sei il padrone di casa; la casa appartiene a te, ma gli invitati sono diventati padroni.

La mente diventa un problema perché hai permesso che i pensieri arrivassero così in profondità dentro di te da dimenticarti completamente della distanza che c’è tra te e loro. Ti sei dimenticato che sono visitatori, che vanno e vengono. Ricorda sempre ciò che permane: quella è la tua natura, il tuo tao. Presta attenzione a ciò che non va e non viene mai, proprio come il cielo. Cambia la gestalt: non concentrare l’attenzione sui visitatori, rimani radicato nel padrone di casa.



Osho, Excerpted from: Tantra the Supreme Understanding, chapter 2

Battiato "Oceano di silenzio"


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Taranto. Petrolio del golfo, fotovoltaico di comodo e interviste demenziali


di Marco Stefano Vitiello

Come se non bastassero i drammatici problemi ambientali di cui già soffre Taranto, il golfo su cui si affaccia la città è finito nel mirino dei petrolieri. Il ministero dello Sviluppo Economico ha, infatti, dato l’ok a Shell e Eni per scandagliare i fondali del Golfo di Taranto alla ricerca dell’oro nero. A Taranto, l’ENI possiede già una raffineria e una centrale termoelettrica ma la compagnia potrebbe espandersi sul mare per le estrazioni di petrolio.

La vicenda delle trivellazioni nel mar di Taranto è iniziata 13 anni fa con una richiesta che è stata sempre respinta perché secondo il ministero dei beni culturali la procedura riguardava un’area di interesse ambientale di particolare bellezza. Fino al luglio dello scorso anno. Nell’estate del 2009, purtroppo, la compagnia ha ottenuto il permesso di sondare i fondali alla ricerca di idrocarburi con il sistema della sismica di riflessione (metodo Air Gun).

Secondo l’associazione pescatori di Taranto il metodo “reca danni al settore della pesca e alle praterie di Posidonia oceanica dell’isola di San Pietro che è un SIC, “sito di interesse comunitario”. Pochi i vincoli richiesti: interrompere i lavori in caso di ritrovamento di siti archeologici o in caso di avvistamento di cetacei per almeno mezz’ora e fino a quando gli animali non si sono allontanati.

Il 30 aprile scorso l’ex ministro allo sviluppo economico, Claudio Scajola, tramite l’Ufficio minerario idrocarburi e geotermia del Ministero, ha rilasciato anche a Shell il permesso di ricerca petrolifera nel Golfo di Taranto e il 3 maggio la compagnia, tramite Marco Brun, Ceo di Shell Italia E&P spa, ha comunicato l’ottenimento di due licenze per l’estrazione petrolifera in una zona di mare di quasi 1400 chilometri quadrati. Nel febbraio di quest’anno il TAR di Lecce aveva bloccato un progetto di ricerca di giacimenti dell’inglese Northern Petroleum che aveva ricevuto l’autorizzazione di due ministeri; quello dell’Ambiente e quello per i Beni e le attività culturali, mentre un progetto simile, nella zona delle isole Tremiti della società irlandese Petroceltic Elsa, avrebbe avuto l’autorizzazione della commissione VIA.

Cosa succederebbe se ci fosse una perdita di petrolio nel Mediterraneo?

Se l’incidente nel golfo del Messico fosse avvenuto nelle nostre acque avrebbe sparso una marea nera in grado di ricoprire un’area da Trieste fino al Gargano, soffocando l’intero Adriatico. Se è vero che incidenti del genere sono rari nei fondali bassi, è vero anche che il rischio esiste e i danni sarebbero devastanti per un mare chiuso, su cui si affacciano 20 stati e vivono 135 milioni di persone.

Le preoccupazioni sono concrete considerando che tra poche settimane la British Petroleum avvierà le trivellazioni nel golfo della Sirte, in Libia, per estrarre petrolio ad una profondità di 1700 metri.

Le acque del Mediterraneo conoscono già il petrolio; il 25% del traffico mondiale di petroliere transita da qui e come ha spiegato alla rivista Focus Ugo Biliardo, docente di meccanica di idrocarburi alla Sapienza di Roma, “il problema è rappresentato dalla pratica di lavare le stive in mare aperto anziché nei porti. Ogni anno con questa attività illegale sono rilasciate in mare 150 mila tonnellate di petrolio”.

E, sempre a Taranto, un impianto solare fotovoltaico è stato installato sul tetto della palazzina direzione dello stabilimento Ilva di Taranto.

Si tratta, annuncia un trionfalistico comunicato dell’azienda, di un impianto in grado di produrre energia elettrica con una potenza di 160 kwp che si estende su di una superficie complessiva di 1.164 mq che 8secondo l’Ilva “consente significativi miglioramenti sotto il profilo ambientale realizzando, in particolare, una importante riduzione delle emissioni di anidride carbonica immessa in atmosfera”.

“Da oggi sarà inoltre possibile quantificare costantemente l’attività produttiva dell’impianto solare attraverso un apposito pannello luminoso che, con i suoi circa 200 mila led, permetterà” prosegue la nota dell’Ilva “una lettura immediata e aggiornata dell’energia prodotta dall’impianto e della conseguente riduzione delle emissioni di CO2 in atmosfera, riferite sia al singolo giorno che del mese in corso”.

Come se non bastasse, Fabio Riva, vicepresidente del gruppo proprietario dell’Ilva di Taranto, ha spudoratamente parlato del futuro del siderurgico in una demenziale intervista al settimanale tarantino Wemag, e ha affermato, senza rispetto alcuno per i cittadini, che “Si sta peggio a Milano, dove io vivo, che è molto più inquinata di Taranto”. Il futuro presidente del’Ilva, per la prima volta, ha anche parlato del rapporto con la città, dell’inquinamento e del fronte aperto con gli ambientalisti. “Come faccio a pensare – ha sostenuto Riva – che c’è qualcuno che mi odia se io do da lavorare!. Non mi è mai venuto in mente che qualcuno nella città possa odiarmi. Non l’ho mai immaginato”.

Sul fronte avverso, quello ambientalista, si registra una prima vittoria significativa.

Il Comitato dei garanti per il referendum consultivo comunale sull’Ilva, costituito dal preside della II facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bari, professor Uricchio, dal procuratore della Repubblica Acquaviva e dal professor Triggiani dell’Università di Bari, ha “liquidato” il referendum consultivo comunale Ilva, considerando regolari le firme raccolte (12.000) dal Comitato promotore e trasmettendo gli atti in data 27 luglio 2010 al sindaco di Taranto per l’indizione del referendum.

Lo ha reso noto l’avvocato Nicola Russo, coordinatore del Comitato promotore referendario per la tutela della salute e del lavoro “Taranto Futura”.

“Il Comitato promotore – ha detto Russo – invita il sindaco di Taranto a stabilire di comune accordo con il comitato promotore referendario la data per chiamare alle urne i cittadini di Taranto, nel rispetto della democrazia e della leale collaborazione.” “Il comitato “Taranto Futura” – ha proseguito – esprime soddisfazione per il raggiungimento degli obiettivi referendari, facendo presente che quando c’è il popolo che si muove non ci sono poteri forti che tengano, anche se – ha concluso – questi sono supportati al livello locale da collaboratori”.

Il Comitato per il referendum appare, dunque, soddisfatto e parla di risorgimento tarantino. “E’ in atto – afferma l’avvocato Russo – una rivoluzione democratica e il popolo tarantino è con noi. Non chiediamo – ha precisato – la chiusura dell’Ilva tout court, ma un piano di riconversione che anzitutto assicuri un’alternativa ai posti di lavoro, dopodichè l’Ilva potrà essere chiusa”.

Ecco allora, i quesiti che saranno sottoposti ai tarantini:

  • Volete voi cittadini, al fine di tutelare la vostra salute e quella dei lavoratori, la chiusura dell’Ilva?
  • Volete voi cittadini, al fine di tutelare la vostra salute e quella dei lavoratori, la chiusura dell’area a caldo dell’Ilva, maggiore fonte di inquinamento?
  • Volete voi cittadini che il Comune di Taranto chieda all’Ilva S.p.A. il risarcimento dei danni, in seguito alla condanna definitiva da parte della Corte di Cassazione dei responsabili del citato impianto siderurgico per inquinamento ambientale, tenendo presente che gli interessi diffusi, come quelli dell’ambiente e della salute, non possono essere oggetto di accordo da parte dell’ente locale, così come sancito dalla Corte di Cassazione e dalla magistratura amministrativa?

“Il risarcimento del danno ambientale – afferma Russo – è imprescrittibile perché l’inquinamento è permante. C’è una ricca giurisprudenza in merito e ora – conclude Russo – i tarantini si devono rendere responsabili e decidere futuro dei loro figli e dei loro nipoti”.

Nella torrida estate pugliese, l’appuntamento referendario, seppur solo consultivo, sembra poter costituire un primo passaggio per valutare in concreto la determinazione di tutti i cittadini, non solo dei comitati ambientalisti, a voltar pagina definitivamente.

fonte: www.gliitaliani.it

Monta la protesta anti Ogm

fonte : www.terranews.it

Michele Scotti
AGRICOLTURA. Cronaca di una giornata, quella di ieri, a Pordenone, all’insegna del no agli Ogm.

Prima il blitz di Greenpeace in un campo di Vivaro (Pordenone), con 20 ambientalisti fermati dalla polizia. Poi il presidio della task force anti Ogm davanti alla Prefettura. Quindi le dure prese di posizione dei presidenti di Veneto e Friuli Venezia Giulia e, per finire, l’intervento del ministro Giancarlo Galan: è la cronaca di una giornata, quella di ieri, a Pordenone, all’insegna del no agli Ogm. Tutto nasce nella primavera scorsa quando Giorgio Fidenato, leader degli Agricoltori federati, mette a dimora nei suoi campi mais geneticamente modificato, con tanto di ripresa televisiva e diffusione della semina sul circuito mediatico mondiale. Quel mais è ora venuto a maturazione con concreti rischi di contaminazione di altre colture. Da qui la protesta degli ambientalisti, che hanno cercato di tagliare le piante Ogm, vista l’inerzia della magistratura, denunciata anche da Aiab e Legambiente. La normativa in vigore, infatti, parla chiaro: in Italia è vietato seminare piante Ogm e chi lo fa rischia l’arresto fino a tre anni. Anche per queste ragioni, come sostiene il leader dei Verdi Angelo Bonelli, «distruggere un campo Ogm non è reato». Un invito a procedere in questo senso era stato rivolto alla Procura della Repubblica di Pordenone e al ministero di Grazia e Giustizia da parte di Coldiretti, Wwf, Greenpeace, Slow-food e altre 40 associazioni. Anche Luca Zaia, presidente del Veneto, nel dichiararsi «assolutamente contrario agli Ogm» ha auspicato «un deciso intervento delle forze dell’ordine» arrivando a lodare Greenpeace «che ha fatto bene a intervenire prima che sia troppo tardi». E un plauso all’associazione ecologista è arrivato anche dal senatore del Pd, Francesco Ferrante. Il blitz degli ambientalisti è stato bloccato dalla Polizia, ma a riportare la calma è intervenuto lo stesso ministro dell’Agricoltura. «Sono stato, sono e sarò sempre per il rispetto della legalità - ha detto Galan - se le indagini in corso rivelassero che realmente quello seminato è mais geneticamente modificato, spetterà all’autorità giudiziaria valutare i provvedimenti da assumere».

«Vi toglieremo i soldi»

fonte: www.terranews.it

Vincenzo Mulè

RICOSTRUZIONE. Bertolaso risponde al sindaco dell’Aquila Cialente, che aveva accusato la Protezione civile per la gestione dell’emergenza-terremoto. Intanto, entrano nel vivo le indagini sugli appalti sospetti.

L’Aquila chiede aiuto al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Dopo l’annuncio di Berlusconi di affidare la fase due della ricostruzione a Bertolaso e alla Protezione civile, l’assemblea cittadina del presidio permanente di piazza Duomo chiede al capo dello Stato di farsi garante del «rispetto delle regole nella ricostruzione, ma anche per rilanciare la possibilità di avere una normativa specifica per il terremoto dell’Aquila e una tassa di scopo perché altrimenti non avremo mai i fondi necessari per uscire da questa fase».

La presa di posizione segue quella del sindaco Cialente che giovedì si è scagliato contro il presidente del Consiglio Berlusconi: «Non siamo Kabul e non abbiamo bisogno di forze di occupazione. L’Aquila la ricostruiranno gli aquilani».

Dichiarazioni che hanno subito scatenato la reazione della protezione civile che, in un comunicato, accantona «quella riservatezza derivante dal rispetto nei confronti di tutte le Istituzioni dello Stato» e dichiara di rispondere «alle parole con i fatti». Da ieri, infatti, è disponibile sul sito della Protezione civile tutta la documentazione ufficiale prodotta dal Dipartimento. Entrando nel merito delle dichiarazioni del sindaco Cialente, definite «sorprendenti», la Protezione civile risponde punto su punto affermando poi, in tono minaccioso che «si vedrà costretta a proporre il definanziamento» degli interventi di competenza del Comune dell’Aquila e «l’attuazione di altre iniziative che non implichino un ruolo del Comune». Parlando già da Ente gestore, il dipartimento governativo di fatto minaccia di far fuori il Comune, togliendogli quei pochi soldi che ha. «Gli unici interventi non ancora attuati - si legge infatti nella nota - sono quelli di competenza del Comune dell’Aquila che, nonostante i ripetuti solleciti ricevuti, ancora non ha avviato le iniziative di competenza».

Intanto, un nuovo capitolo viene scritto nel campo delle indagini sulle ricostruzione post-terremoto. La Procura distrettuale antimafia dell’Aquila ha, infatti, iscritto sul registro degli indagati per reati contro la pubblica amministrazione l’imprenditore aquilano Ettore Barattelli. L’inchiesta è quella sugli appalti per il G8 dell’Aquila e per la ricostruzione dopo il sisma. È lo stesso filone d’inchiesta che ha già coinvolto uno dei coordinatori nazionali del Pdl, Denis Verdini, indagato con l’ipotesi di reato di corruzione. Barattelli è sotto indagine in quanto Presidente del consorzio Federico II, creato dopo il terremoto, costituito dall’impresa della famiglia Barattelli, dalle altre due aziende aquilane Vittorini Emidio e Marinelli-Equizi, e dalla Btp del presidente dimissionario Riccardo Fusi.

Quest’ultimo è coinvolto nell’inchiesta di Firenze - poi passata per competenza a quella di Perugia - sui grandi eventi e gli appalti del G8 alla Maddalena, che ha portato tra gli altri in carcere il presidente del consiglio superiore dei Lavori Pubblici, Angelo Balducci, l’imprenditore Diego Anemone, e al coinvolgimento, come indagato, del capo della protezione civile nazionale, Guido Bertolaso. Secondo l’accusa si sarebbe cercato di ottenere appalti nella ricostruzione attraverso la presentazione di politici influenti. Barattelli è anche consigliere di amministrazione della Carispaq, componente dell’assemblea della Fondazione della Carispaq e vice presidente dell’Ance L’Aquila.

Il vero ruolo del Consorzio venne svelato dallo stesso Barattelli ai magistrati aquilani, ai quali denunciò l’esistenza di un accordo politico propedeutico alla distribuzione degli appalti. Accordo siglato alla presenza del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta e dello stesso Verdini. Nell’accordo c’era l’appalto alla Btp di Fusi per la ricostruzione della scuola Carducci a L’Aquila. Al Consorzio, tra le altre cose, furono affidati quattro incarichi per il puntellamento dei palazzi. Ossia l’appalto più rilevante dei lavori di ricostruzione dopo il progetto C.a.s.e.

Google e Cia, insieme per spiarci

http://it.peacereporter.net

Dopo anni di cooperazione, l'azienda californiana e l'agenzia d'intelligence americana investono in un futuristico progetto per controllare cosa succede in rete

Con il pretesto della lotta al terrorismo, le agenzie di spionaggio statunitensi stanno sviluppando sistemi sempre più elaborati di sorveglianza e schedatura di massa attraverso il monitoraggio e l'analisi di ciò che accade in rete, su internet.
Il campo d'azione dei servizi segreti sono sempre meno i luoghi del mondo fisico (locali pubblici, abitazioni private, sedi di associazioni, ecc) e sempre più quelli del cyberspazio (siti web, social netowrk, server di posta, blog, chat, ecc).
Non può quindi stupire - ma inquietare, sì - la sempre più stretta collaborazione tra le strutture governative d'intelligence Usa e Google: il gigante della rete che tiene traccia di tutte le nostre attività in rete.

Finora i rapporti tra la società californiana di Eric Schmidt (consigliere di Obama e membro del Bilderberg Group) e le agenzie di spionaggio americane si erano limitati, per così dire, al passaggio di tecnologie (l'acquisizione da parte di Google, nel 2004, dell'azienda Keyhole, finanziata dalla Cia per sviluppare il software di mappatura geografica satellitari da cui deriva Google Earth) e alla collaborazione in materia di sicurezza informatica (la partnership con la National Security Agency nata a inizio 2010 dopo i cyber-attacchi subiti da Google Mail).
Ma adesso, come ha rivelato la vista specializzata Wired, questa relazione sta facendo un notevole salto di qualità.

Solo pochi giorni fa si è appreso che In-Q-Tel, la sezione sviluppo tecnologico della Cia, e Google Venture, la divisione investimenti dell'azienda di Mountain View, hanno investito circa 10 milioni di dollari ciascuno nello sviluppo di un'azienda, la Recorded Future, che ha sviluppato un sofisticatissimo software di sorveglianza del web in tempo reale. Una sorta di 'grande fratello' che, scandagliando contemporaneamente migliaia di siti, blog, chat e social group, fornisce una continua mappatura delle dinamiche relazionali tra individui, organizzazioni ed eventi (con tanto di coordinate spaziali, grazie all'integrazione con Google Earth) con la possibilità di prevederne anche l'evoluzione. Un 'intelligence preventiva' (di cui il blog dell'azienda da un esempio riguardante i terroristi libanesi di Hezbollah) poco lontana dalla fantascientifica investigazione 'pre-crime' raccontata nel film 'Minority Report'.

''Siamo in grado di vedere, ricostruire e seguire i collegamenti invisibili tra individui, documenti e fatti, ipotizzando anche i trend futuri di questi legami e assemblando dossier in tempo reale sulle persone'', ha dichiarato l'amministratore delegato della Recorded Future, l'ex militare svedese Christopher Ahlberg.
Questo evolutissimo sistema di 'open source intelligence' - come viene definita in gergo spionistico l'acquisizione di informazioni riservate per mezzo del monitoraggio di dati e fonti di pubblico dominio - si basa su un software che lavora con complessi algoritmi di ricerca capaci di analizzare i testi in rete sia dal punto di vista del contenuto informativo ('analisi spazio-temporale') che da quello della forma e del tono usati da chi scrive ('analisi sentimentale').

La collaborazione con Google sul progetto Recorded Future è solo l'ultimo diamante che la Cia ha aggiunto alla corona dei suoi progetti di spionaggio in rete.
Negli ultimi anni In-Q-Tel ha investito in decine di piccole e grandi aziende all'avanguardia nel settore del monitoraggio e nell'analisi dei contenuti online. Tra queste la Visible Technologies, una piattaforma di 'social intelligence' specializzata nel passare al setaccio in contemporanea milioni di post, conversazioni e commenti pubblicati sui siti web interattivi (Wikipedia, Youtube, Facebook, Myspace, Twitter, Wordpress, Tripadvisor ecc). O la Attensity, che fornisce evoluti programmi di ricerca semantica parallela all'interno di fiumi di testi non strutturati pubblicati su internet.

Questo 'grande fratello' della rete rientra probabilmente nel più ampio programma di sorveglianza digitale della popolazione, avviato nell'ambito dell'Homeland Security Act dall'amministrazione Bush dopo l'11 settembre 2001 (con il nome di Totale Consapevolezza dell'Informazione) e proseguito sotto la presidenza Obama.

Enrico Piovesana

Pena di morte, più di cinquemila esecuzioni nel 2009


Nel 2009, i boia più impegnati sono stati quelli cinesi. Pechino, secondo un rapporto dell' associazione Nessuno Tocchi Caino, l'anno scorso ha ordinato cinquemila esecuzioni sulle almeno 5679 totali registrate in tutto il pianeta. La Cina quindi, si colloca sul triste podio dei Paesi che hanno compiuto più esecuzioni al mondo, seguita da Iran e Iraq. I tre Paesi, sottolinea il rapporto, sono caratterizzati da regimi «autoritari».
Nel 2009, su 43 Stati mantenitori della pena di morte, quindici hanno ordinato esecuzioni. Rispetto al 2008, in nove Paesi non sono state effettuate esecuzioni, tra cui Afghanistan, e Pakistan. Tre Paesi, invece hanno ripreso ad infliggere la pena di morte: Thailandia, Taiwan e Bielorussia, dove nel marzo 2010 sono state giustiziate due persone per omicidio. Anche l'Autorità Nazionale Palestinese ha ripreso le esecuzioni, dopo cinque anni di sospensione.
Il trend globale, evidenzia il rapporto, è positivo. Nel 2008 le esecuzioni sono state almeno 5735, circa 53 in più rispetto all'anno scorso. Anche in Cina, benchè la pena di morte sia considerata un segreto di Stato e i dati non siano così chiari, i giustiziati sono in diminuzione: sei anni fa erano diecimila, il doppio rispetto al 2009. Tra i Paesi considerati democratici, il primato spetta agli Stati Uniti, dove lo scorso anno sono state registrate 52 condanne a morte eseguite.
È però in aumento il numero di persone che nel 2009 sono state giustiziate in Paesi che hanno nei loro ordinamenti giuridici richiami espliciti alla Sharia: 607 in totale contro i 585 del 2008. Impiccagione, fucilazione, decapitazione sono stati i metodi più utilizzati per l'applicazione della legge islamica. E in Iran, almeno in un caso, è stata praticata la lapidazione. Tra i 48 Paesi a maggioranza musulmana nel mondo, quelli mantenitori della pena di morte sono 25, dei quali dieci l'hanno applicata nel 2009.
Il primato spetta all'Iran, con 402 esecuzioni, seguito dall'Iraq con 77 casi. In entrambi i Paesi il metodo più utilizzato è l'impiccagione. La decapitazione è invece un'esclusiva dell'Arabia Saudita, il Paese che segue l'interpretazione più rigida della Sharia. Qui infatti si può andare alla forca per omicidio, stupro, rapina a mano armata, traffico di droga, stregoneria, adulterio, sodomia, omosessualità, rapina su autostrada, sabotaggio e apostasia. In Arabia Saudita, nel 2009, sono state almeno 69 le esecuzioni, mentre due persone sono tuttora detenute nel braccio della morte con l'accusa di stregoneria e blasfemia.

fonte : www.nuovasocieta.it

Ignorate gli allarmisti anti soia La bufala anti-soia smascherata nei dettagli: diffidate da chi la diffonde

Ignorate gli allarmisti anti soia 


La bufala anti-soia smascherata nei dettagli: diffidate da chi la diffonde!

Riportiamo questo interessante articolo della dottoressa Justine Butler pubblicato il primo luglio 2010 sul quotidiano inglese The Guardian, che va ad analizzare nel dettaglio la famigerata "bufala anti-soia" che ormai da anni ci perseguita. Diffidate dunque da tutti coloro che la diffondono, sia che si tratti di siti che si occupano genericamente di "salute" senza in realtà saperne molto, sia di siti o associazioni vegetariane.
La dottoressa Butler è la responsabile del settore salute presso la Vegetarian & Vegan Foundation (Regno Unito).

Buona lettura!
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Ignorate gli allarmisti anti soia

Non c'è alcuna prova che la soia sia dannosa per gli esseri umani. Al contrario, sia noi che il pianeta trarremmo enormi benefici se ne consumassimo di più
L'ultima volta che sono stata intervistata a Radio London della BBC, il presentatore mi ha chiesto se i cibi a base di soia fossero sicuri, e poi è scoppiato a ridere dicendo che non voleva che gli crescesse il seno. Mi è stato chiesto se la soia è sicura per i bambini piccoli, se può interferire con la tiroide, se contribuisce alla deforestazione, alcuni pensano addirittura che possa causare il cancro...
La soia divide gli animi, o si è a favore, o si è contro. Questo umile legume è davvero un fagiolo infernale, o è la brigata anti-soia che usa storie spaventose e pseudoscienza per sostenere i propri interessi? Se si cerca bene tra le fonti, appare chiaro che la maggior parte delle storie anti-soia si possono far risalire a un unico gruppo statunitense, chiamato Fondazione Weston A Price (WAPF).
La WAPF sostiene di avere come scopo la promosione di una nutrizione corretta, reinserendo nella dieta prodotti animali "densi di nutrienti" - in particolare il latte crudo non pastorizzato. Questa fondazione sostiene che i grassi saturi animali sono essenziali per una buona salute e che l'introduzione di grassi animali e alti livelli di colesterolo non hanno alcuna correlazione con le malattie cardiovascolari e il cancro. Dichiarano che i vegetariani hanno un'aspettativa di vita inferiore a quella dei carnivori e che storicamente gli esseri umani hanno sempre mangiato grandi quantità di grassi animali. Tutto questo, naturalmente, contraddice le affermazioni di tutte le maggiori istituzioni per la salute esitenti al mondo, tra cui l'Organizzazione Mondiale della Sanità, l'Associazione dei Dietisti Americani, e l'Associazione Medica Britannica.
Questo gruppo estremista americano è solito citare studi senza solide basi scientifiche per promuovere il proprio punto di vista e ha influenzato un gran numero di consumatori, facendo credere loro che la soia sia una specie di paria dell'alimentazione.
Questa storia sulla soia risale ai primi anni novanta: in Nuova Zelanda un avvocato milionario, Richard James, contattò un tossicologo, Mike Fitzpatrick e gli chiese di investigare sulle cause della morte dei suoi costosi pappagalli (il tutto suona molto Monty Pythom, lo so). Comunque, Fitzpatrick concluse che era colpa della soia che mangiavano e da quel momento iniziò una decisa campagna contro la soia come cibo per gli esseri umani - il che non ha senso, perché le persone mangiano soia da 3000 anni.
Sono stata intervistata da Radio Nuova Zelanda assieme a Mike Fitzpatrick, che laggiù sta conducendo la sua campagna anti-soia. E' stato così agressivo che la radio non ha potuto mandare in onda l'intervista. Fitzpatrick è un sostenitore della fondazione sopra citata, la WAPF (è un membro onorario del direttivo).
Un altro sostenitore di questa organizzazione è un certo Dr Stephen Byrnes, che ha pubblicato un articolo su The Ecologist sostenendo che il vegetarismo non è salutare e che distrugge l'ambiente. Si vantava della sua dieta ad alto contenuto di prodotti animali e della sua robustissima salute - e, sfortunatamente, è morto di ictus a 42 anni. Nel suo articolo c'erano oltre 40 inaccuratezze scientifiche, comprese citazioni sbagliate di studi scientifici. Tra l'altro, il direttore della rivista, Zac Goldsmith, è anche lui un membro onorario del direttivo della WAPF.
Un altro sostenitore dell'organizzazione, il medico dr. Kaayla Daniel, che fa parte del consiglio direttivo, ha scritto un intero libro contro la soia (La storia completa della soia). E' curioso che questo gruppo passi più tempo ad attaccare la soia che a promuovere i cibi che secondo loro dovremmo mangiare (latte crudo, panna, formaggio, uova, fegato, ecc.).
Una delle preoccupazioni che sollevano sulla soia è che i fitoestrogeni (ormoni delle piante) che si trovano nei cibi a base di soia possano disturbare lo sviluppo sessuale e influire sulla fertilità. Se ci fosse una reale evidenza di questo problema, il governo britannico avrebbe vietato le forumalazioni per l'infanzia a base di soia o almeno diffuso degli avvertimenti.
Perfino dopo aver commissionato una investigazione - il cui dossier finale era un documento di 440 pagine - sulla sicurezza della soia, non hanno emesso questo avvertimento, semplicemente perché non vi è alcuna evidenza che la soia abbia effetti dannosi. Nel 2003, il rapporto del Comitato sulla tossicità del Dipartimento della Salute affermava che non c'era alcuna evidenza che le persone che consumavano regolarmente alte quantità di soia, come i cinesi e i giapponesi, avessero uno sviluppo sessuale alterato o problemi di fertilità. Occorre ricordare che la Cina è la nazione più popolosa del mondo, con oltre 1,3 miliardi di cittadini, e che da 3.000 anni consumano soia.
In realtà, dunque, non esiste alcuna prova scientifica che il consumo di soia sia dannoso per gli esseri umani. La maggior parte di quanto la WAPF afferma è semplice aneddotica (vale a dire sono racconti di singole persone, senza alcuno studio scientifico che le sostenga), oppure sono affermazioni false oppure basate su esperimenti su animali, quindi non scientifici. Prima di tutto, i fitoestrogeni si comportano in modo molto diverso nelle diverse specie, e quindi gli studi su animali non sono applicabili agli umani. In secondo luogo, l'intestino fa da barriera contro i fitoestrogeni, quindi aumentare a dismisura in modo artificiale i livelli di fitoestrogeni negli animali tramite iniezione, fornisce risultati irrilevanti. Infine, molti di questi esperimenti hanno esposto gli animali a livelli di fitoestrogeni molto molto più alti di quelli assorbiti dalle persone mangiando soia.
Ormai un numero sempre maggiore di medici e scienziati riconoscono che i risultati degli esperimenti sugli animali non dovrebbero essere usati come basi per le decisioni sulla salute pubblica. Il dr. Kenneth Setchell, professore di pediatria al Cincinnati Children's Hospital, afferma che topi, ratti e scimmie metabolizzano gli isoflavoni della soia in modo diverso dagli esseri umani e che l'unico modello appropriato per esaminare lo sviluppo riproduttivo umano è il lattante umano. Dato che il 25% dei lattanti negli USA sono nutriti con formule a base di soia e che molti di loro ormai sono intorno ai 40 anni, l'assenza di qualsiasi segnalazione di effetti nocivi suggerisce che non vi sia alcun problema, né biologico né clinico.
Al contrario, i fagioli di soia contengono un ampio spettro di nutrienti preziosi e sono una fonte eccellente di proteine. Le evidenze scientifiche dimostrano che le proteine della soia abbassano il colesterolo e proteggono dalle malattie cardiovascolari. I cibi a base di soia proteggono dal diabete, dalle vampate di calore della menopausa e da alcuni tipi di cancro. Ci sono buone evidenze che mangiare soia nell'adolescenza e nell'età adulta diminuisca il rischio di cancro al seno. Scoperte più recenti hanno mostrato che questo effetto protettivo della soia vale anche per le donne cui è già stato diagnosticato il cancro al seno. I cibi a base di soia possono inoltre aumentare la salute dell'osso e le capacità cognitive in alcune persone. Il numero di studi scientifici solidi (peer-reviewed) che riportano effetti benefici della soia è in continuo aumento.
Come ultima spiaggia, i detrattori della soia hanno tentato di condannarne il consumo citando l'impatto ambientale della coltivazione di soia nella foresta pluviale amazzonica. Hanno del tutto ragione a essere preoccupati, ma il problema non sono le persone che mangiano la soia: l'80% della soia prodotta nel mondo viene usata come mangime per gli animali d'allevamento per la produzione di carne e latticini.
Sia la foresta pluviale che la nostra salute trarrebbero enormi vantaggi se le persone passassero dai cibi animali ai cibi vegetali, soia inclusa.
La prossima volta che sentite una storia stupida sulla soia, che la accusa di creare problemi alla salute umana o all'ambiente, chiedete dove sono le prove.

Fonte:
Justine Butler, su The Guardian, Ignore the anti-soya scaremongers, 1 luglio 2010
Si ringrazia l'autrice, la dottoressa Justine Butler, per averci accordato il permesso per tradurre in italiano e pubblicare questo articolo.

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Societa' Scientifica di Nutrizione Vegetariana

Il ritorno annunciato delle farine animali


Vietate dal 1990 per fermare l'epidemia della mucca pazza, le farine animali potrebbero venire nuovamente autorizzate. La Commissione Europea ci sta pensando. Il dibattito é appena cominciato.

Farine animali... Due parole che riassumono il trauma provocato negli anni '90 dalla malattia della mucca pazza. Mentre l'encefalopatia spongiforme bovina (BSE) decima l'agricoltura inglese, gli scienziati identificano queste « farine » -polvere di resti bovini- come il vettore probabile della malattia.

Si é dato da mangiare a delle mucche... delle mucche, rendendo questi erbivori carnivori di essi stessi!

Il seguito lo conosciamo: 185000 mucche colpite in dieci anni, migliaia di mandrie sacrificate, più di 200 esseri umani vittime della malattia di de Creutzfeldt-Jakob e dieci anni di divieto totale alle farine animali. Risultato di questa applicazione esemplare del principio di precauzione: L'Europa ha praticamente debellato l'epidemia animale. E pertanto, la Commissione Europea prevede di autorizzare nuovamente certe farine per l'alimentazione dei maiali, del pollame e dei pesci. Cosa che fa ruminare gli ecologisti…

Anche se, in Europa, tutti i Paesi sono unanimi: é fuori questione di tornare a dare proteine animali a dei ruminanti, o di nutrire un porco o del pollame con farine ricavate dalla stessa specie animale. In Francia il Ministero dell'Agricoltura ha deciso di interpellare l'Agenzia Nazionale di Sicurezza Sanitaria dell'Alimentazione (Anses) per valutare i rischi eventuali legati a un ritorno delle farine.

« Se ci sono dei dubbi non si prenderà alcun rischio », assicura il Ministero. « Non é stata riscontrata la BSE tra i maiali e il pollame, non c'é dunque motivo di stigmatizzare queste farine, stima il direttore dell'Anses, Marc Mortureux.
A condizione che ci siano dei piani di controllo, una buona tracciabilità ed una impermeabilità delle filiere. Ed é ben questo il problema. Per prevenire la contaminazione da prione le farine (di porco, di pollame) non devono essere mischiate. E invece possono esserlo accidentalmente durante il processo di fabbricazione.

Da cinque anni gli allevatori militano per il ritorno delle «farine di carne e ossa». « Imaiali e il pollame hanno bisogno di proteine animali » ritiene Eric Chapelle, vice direttore della Federazione Nazionale Bovini. « In ogni modo tutti i gamberetti importati dall'Asia o dal Cile venduti sui mercati parigini sono già nutriti con farine animali », aggiunge Nicolas Douzain, direttore della Federazione Nazionale delle Industrie e del Commercio all'ingrosso di carne.

Direttore di ricerca al CEA (Commissariat à l’énergie atomique, Commissariato all'energia atomica) specialista in prioni, il dottor Jean-Philippe Deslys non é contrario a togliere parzialmente l'interdizione alle farine: « Ma non si deve assolutamente abbassare il controllo perché, altrimenti, la malattia della mucca pazza potrebbe ripartire ». Secondo lui l'annuncio, mercoledì scorso, di un nuovo caso di de Creutzfeldt-Jakob in Italia in una giovane donna di 42 anni, in coma, « suona come un avvertimento ».

Segnalato e tradotto da Barbara Primo, per Promiseland.it

Testo originale:
http://www.leparisien.fr/societe/le-retour-annonce-des-farines

tratto da : www.promiseland.it

venerdì 30 luglio 2010

Dialogo---Osho

Dialogo vuol dire cercare di comprendere l’altro con una mente aperta. Il dialogo è un fenomeno raro e molto bello, perché entrambi i partecipanti ne vengono arricchiti. In realtà, quando parli, può essere o una discussione – una lotta verbale, in cui cerchi di provare che hai ragione e l’altro ha torto – oppure un dialogo. Dialogo è prendersi per mano e andare insieme verso la verità, aiutandosi l’uno con l’altro a trovare la strada. Vuol dire essere insieme, cooperare, è uno sforzo armonioso per scoprire la verità. Non è in alcun modo una lotta. È un’amicizia, un andare insieme verso la verità, aiutandosi a vicenda. Nessuno possiede già la verità, ma quando due persone iniziano a cercarla insieme, quello è dialogo – ed entrambe ne risultano arricchite. Quando si scopre la verità, non è mia e nemmeno tua. Quando si scopre la verità, è più grande di tutti e due noi che abbiamo partecipato a questa ricerca, ci comprende entrambi – ed entrambi ne veniamo arricchiti.

LUDOVICO EINAUDI - Nefeli (Only song from original cd "Eden Roc")


http://www.youtube.com/user/thegordon79

Morales e l’acqua

La Bolivia di Morales sancisce l’accesso libero all’acqua per tutti come diritto inalienabile dell’uomo.

Possiamo mandare i nostri sciagurati politici, di dx come di sx, in Bolivia a imparare qualcosa. Quei leghisti che chiamano con disprezzo chi non è italiano ‘baluba’ o ‘bingo bongo’ farebbero bene a andare nei paesi che chiamano del Terzo Mondo a imparare qualcosa dai governi che rispettano i diritti dei cittadini. A quel che sembra, loro, al contrario, insieme al bieco governo Berlusconi, non esitano invece a svendere l’acqua pubblica, offrire territori a incineritori e centrali nucleari, mettere sul mercato persino sorgenti e montagne.

La Bolivia è grande quasi 4 volte l’Italia con soli 8 milioni di abitanti. Ha avuto vari governi militari, è sempre stata dominata dai narcotrafficanti, è entrata in democrazia solo dopo gli anni 80, partendo da una gravissima crisi economica. Successivamente un governo neoliberista privatizzò molte aziende del paese e capitalizzò anche le due raffinerie boliviane portando l’economia al macello. Sotto Quiroga l’economia era al tracollo e fu privatizzata l’acqua, come oggi si vuol fare in Italia, con tali disagi della popolazione da portarla alla rivolta (Cochabamba). Nelle contestazioni si ebbero 60 morti. Anche sotto Mesa la situazione è rimasta rovente fino alle elezioni del sindacalista socialista indio EVO MORALES nel 2005.

Nel 2008 la Bolivia è stata dichiarata liberata dall’analfabetismo. (In Italia abbiamo tutt’ora 6 milioni di analfabeti).

Nel 2006 Morales ha nazionalizzato gli idrocarburi, così che la Bolivia si riprende l’80% dei profitti del petrolio. Ha aumentato del 50% i salari minimi. Ha annunciato una riforma agraria per redistribuire le terre ai contadini più poveri. Dal 2009 ha una nuova Costituzione per realizzare nuove riforme e aumentare la giustizia sociale. La Costituzione vieta qualsiasi privatizzazione delle materie prime della Nazione, concede il diritto ai popoli indios di avere e amministrare proprie leggi e limita a 5 mila ettari la proprietà della terra.

Ha detto: « Il peggior nemico dell’umanità è il capitalismo statunitense. È esso che provoca sollevazioni come la nostra, una ribellione contro un sistema, contro un modello neoliberale, che è la rappresentazione di un capitalismo selvaggio. Se il mondo intero non riconosce questa realtà, che gli stati nazionali non si occupano nemmeno in misura minima di provvedere a salute, istruzione e nutrimento, allora ogni giorno i più fondamentali diritti umani sono violati. »

http://masadaweb.org

Via: http://bellaciao.org

Viviana Vivarelli

In Basilicata una nuova Rosarno


Emergenza umanitaria per un migliaio di africani che tra agosto e settembre raccolgono i pomodori e si rifugiano in un’ex fabbrica abbandonata simile alla famigerata “Cartiera” della Piana di Gioia Tauro ROMA – Un’emergenza umanitaria come quella di Rosarno. E’ nel cuore della Basilicata, a Palazzo San Gervasio, in provincia di Potenza, che da oltre dieci anni, un ex capannone industriale è diventato il rifugio di oltre mille braccianti agricoli africani. A lanciare l’allarme sono stati alcuni giornali e attivisti locali. Palazzo San Gervasio è la tappa intermedia tra le raccolte stagionali del foggiano e quella delle arance a ottobre nella Piana di Gioia Tauro. Tra agosto e settembre la produzione di pomodori e ortaggi richiede braccia da impiegare nei campi lucani. Arrivano così lavoratori magrebini e dell’Africa subsahariana, ma anche braccianti europei, romeni e bulgari. Questi ultimi riescono a prendere case in affitto, seppur in condizioni di sovraffollamento, e a percepire una paga che si aggira sui 35 euro a giornata. Per gli africani il guadagno è più misero, intorno ai 20 euro al giorno e le condizioni abitative molto precarie. Nell’ex fabbrica in disuso c’è carenza di servizi igienici e di condizioni sanitarie adeguate per accogliere un numero così vasto di braccianti. Il fenomeno è monitorato da volontari di associazioni locali.
Anche a Palazzo San Gervasio come a Rosarno, si ripetono i meccanismi dello sfruttamento di manodopera immigrata. I piccoli proprietari terrieri non contattano direttamente i lavoratori, si rivolgono a dei ‘mediatori’ che forniscono la squadra di lavoro. Una situazione che dà origine al caporalato. In questo caso i caporali sono spesso stranieri e intascano circa 10 euro della paga giornaliera del bracciante. (rc)

www.dirittiglobali.it

via: www.gliitaliani.it

COMUNICATO

In merito al post del venerdì 23 luglio 2010
"Altro che la Lola: Codacons denuncia Granarolo per pubblicità truffa"
ricevo e pubblico la seguente precisazione:


Egregi signori,

in merito alle notizie riportate da alcuni organi di informazione, relative alle “mozzarelle blu” ai rapporti tra la nostra azienda e la ditta tedesca Jaeger, vi assicuriamo che:
- Granarolo non ha mai acquistato latte, mozzarella, semilavorati o ingredienti dalla società tedesca Jaeger, che invece è stata fornitrice esclusivamente di provole dolci (un prodotto già confezionato, denominato “Sfiziosino”);
- la mozzarella Granarolo in busta in liquido di gorverno viene fatta in Italia; se sulla confezione è riportata la dicitura “solo latte fresco italiano” significa che la materia prima è esclusivamente italiana;
-gli esiti degli accertamenti dei Nas nel nostro stabilimento e sul lotto di produzione delle due presunte “mozzarelle blu” segnalate in Piemonte non hanno evidenziato alcuna anomalia, confermando l’assoluta regolarità dei processi produttivi e dei prodotti della nostra azienda;

Purtroppo chi ha alimentato al riguardo tante suggestioni prive di fondamento, che hanno finito col produrre un danno rilevantissimo alla nostra azienda, non ci porgerà spontaneamente le sue scuse.
Ma chi lo farà, avrà tutto il nostro apprezzamento


Cordialmente

Vittorio Zambrini
Direttore Qualità, Innovazione, Sicurezza, Ambiente

La tragedia delle donne afgane “Se fuggiamo i Taliban ci massacrano”

www.giornalettismo.com
di Teresa Scherillo (makia)

La copertina del settimanale Time, in edicola il 9 agosto, mostra cosa succede a quelle che tentano di lasciare l’Afghanistan. Una foto scioccante.

Il Time uscirà il 9 agosto con una copertina e un articolo che tenta di spiegare che cosa succede attualmente ad una donna, se tenta di lasciare l’Afghanistan. Il pezzo è accompagnato da un potente ritratto di Aisha, una donna afghana, che appare con il naso e le orecchie tagliate per effetto di un decreto talebano dopo aver tentato di sfuggire agli abusi dei familiari. A 18 anni, dopo essere stata trattata da schiava dal marito e dai parenti, la ragazza aveva tentato la fuga, ma i Talebani l’avevano riacciuffata e mentre suo cognato la teneva ferma, il marito le mozzava naso ed orecchie e la lasciava agonizzante. Un esempio per tutte le altre ragazze del villaggio che avessero tentato la ribellione. Ora Aisha è nascosta in un rifugio segreto per donne, dopo essere stata assistita dalle forze americane. L’immagine, intensa, crea le premesse per il punto cruciale del ragionamento dell’articolo – quello che i diritti delle donne afghane potrebbero essere distrutti da un potenziale accordo tra gli USA e i Talebani.

IL LORO DESTINO LEGATO AGLI USA - Come scrive Aryn Baker del Times, gli Stati Uniti sembrano potenzialmente pronti a negoziare con i talebani quella che lei chiama la “ricerca di una pace veloce“. Anche se questo trade-off potrebbe fornire una parvenza di stabilità in Afghanistan, una condizione potrebbe presumibilmente essere messa sul tavolo per un eventuale ritiro delle truppe statunitensi, Baker sostiene che le donne afghane, in questo scambio, pagherebbero un prezzo devastante. Anche se tale conclusione solleva una serie di preoccupazioni per le condizioni di un eventuale ritiro americano, sembra anche trascurare una varietà di condizioni tragiche che le donne afghane attualmente affrontano, anche con la forte influenza statunitense, sia militare che diplomatica nel paese.

CHE COSA SUCCEDE SE RESTANO IN AFGHANISTAN - Nonostante le solite promesse retoriche sui diritti delle donne, nella versione del 2004 della Costituzione dell’Afghanistan e afghan women 12 La tragedia delle donne afgane “Se fuggiamo i Taliban ci massacrano”nella legislazione successiva, il paese ha in gran parte resistito all’ attuazione di progressi significativi nel trattamento delle donne. In effetti, nel 2009, tra le proteste internazionali, il presidente afgano Hamid Karzai ha firmato un disegno di legge che è stato visto da molti come la legalizzazione dello stupro nei confronti delle donne. Anche se l’ex presidente George W. Bush si è espresso più volte sulla “liberazione” delle donne afghane dopo l’invasione del Paese nel 2001, rapporti e numeri mostrano che le storie di successo più spesso si presentano come outliers statistici piuttosto che descrittive di una situazione migliorativa per le donne. Se il trattamento delle donne afgane non è migliorato, anzi è pure peggiorato dopo l’invasione americana, la questione del “che cosa succede se restiamo in Afghanistan” può essere altrettanto importante del “che cosa succede se lo lasciamo”.

DIRITTI COSMETICI - Nel video qui sotto, la Brave New Films sostiene che l’idea che le donne afgane siano libere dopo la caduta dei talebani, è una “falsa percezione“e che “la guerra non ha affatto liberato le donne afghane“. Le interviste nel video sostengono che la promozione dei diritti delle donne è stato un fatto “cosmetico“, e che la qualità reale della vita delle donne non è migliorata dopo l’ occupazione. In alcuni casi, le persone intervistate sostengono che il trattamento delle donne è peggiorato a causa di un sistema giudiziario estremamente fondamentalista e a causa della radicalizzazione di una popolazione attualmente impegnata in quello che rischia di diventare uno stato di guerra perpetua.

L’Aquila, Berlusconi annuncia il ritorno della protezione civile. Cialente non ci sta


di Vincenzo Mulé

L’annuncio è arrivato a sorpresa: la gestione della fase due della ricostruzione dell’Aquila sarà di nuovo affidata alla Protezione civile. Una decisione presa direttamente dal duo Berlusconi-Letta, che hanno totalmente ignorato, a livello locale, le proteste degli aquilani degli ultimi mesi e, a livello istituzionale, la relazione dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici che nella relazione del 2009, presentato lo scorso 22 giugno alla camera dei Deputati, aveva sonoramente bocciato il modello adottato in Abruzzo. Seguendo la strada aperta dalla Corte dei Conti. Berlusconi ha spiegato che «ci sono ancora 13 miliardi di euro da spendere per la ricostruzione», una fase che «le istituzioni locali non hanno saputo gestire». La decisione ha scatenato la reazione degli aquilani. Ieri pomeriggio, si è svolta un’assemblea cittadina straordinaria straordinaria convocata dal presidio permanente di piazza Duomo. L’assemblea ha valutato anche eventuali nuove iniziative di mobilitazione. «C’è bisogno di certezza sui fondi a disposizione della ricostruzione – ha commentato Patrizia Tocci del comitato 3e32 – e non del mero ritorno della Protezione civile». Assume un significato diverso anche l’appuntamento Ripartiamo da l’Aquila, una tre giorni di dibattiti e confronti già programmato per il prossimo fine settimana e che vivrà il suo clou nella notte tra sabato e domenica, quando in occasione della Notte bianca gli aquilani finalmente potranno entrare nel centro storico senza paura di essere cacciati. La più grande iniziativa culturale del dopo terremoto vedrà tre piazze animate da musica, degustazioni e video. Come una città qualunque e normale. Un concetto espresso chiaramente ieri dal sindaco dell’Aquila Massimo Cialente. Che per rispondere all’annuncio di Berlusconi ha convocato una conferenza stampa in un luogo insolito: una stanzetta con un lungo tavolo con decine di faldoni trapieni di pratiche (traslochi, Cas, progetti, richiesta ristori). «Sono domande evase con tanta fatica dal nostro personale – ha spiegato Cialente – Hanno un valore di circa 100 milioni di euro che il Governo non ci mette a disposizione. È come con i 2 miliardi per la ricostruzione, certo: ci sono ma se non ci vengono fornite le leggi per accedervi saranno sempre li’ in bella mostra. È come un frigorifero pieno di bontà dinanzi ad un affamato che però è chiuso ermeticamente. L’Aquila – ha attaccato Cialente – non e’ Kabul e non abbiamo bisogno di forze di occupazione. Perche’ dovrebbe tornare la Protezione civile? L’emergenza, visto che siamo tornati a pagare le tasse, è finita». Il primo cittadino è furente, e continua: «Forse una ragione c’e’. Visto che dopo aver manifestato e preso anche le botte siamo riusciti ad ottenere qualche soldo, può darsi che la Protezione civile sia interessata a tornare per gestire quelle risorse». È un fiume in piena il vice Commissario per la ricostruzione, che però ieri ha chiarito era in veste di amministratore locale «colpito nell’orgoglio da chi lo ha tacciato di incapacità. Ed ora spunta fuori l’idea di far rientrare la Protezione civile dalla finestra – ha continuato Cialente – E a quale titolo’? E chi sara’ il nuovo Commissario? Forse Balducci?».

Durante l’incontro, Cialente ha anche ricordato come il Dipartimento di Bertolaso prima di lasciare L’Aquila abbia lasciato tante questioni aperte: «Hanno fatto delle case bellissime ma solo per pochi . Quando hanno lasciato L’Aquila c’era necessita’ di altri 1.430 appartamenti. La Protezione civile ha dato una pacca sulle spalle e arrivederci. La ricostruzione dell’Aquila la faranno gli aquilani. Se qualcuno, poi, vuole darci una mano lo faccia, dandoci soldi ». Che verrebbero utilizzati anche per coprire, secondo il sindaco, i debiti lasciati proprio dalla Protezione civile (50 milioni di euro solo per le spettanze degli albergatori) e per le riparazioni delle abitazioni del progetto CASE, già alle prese con carenze strutturali.

anche su Terra

via: www.gliitaliani.it

Italia, Amnesty International denuncia due esecuzioni avvenute ieri in Giappone

PeaceReporter

Due detenuti impiccati in carcere. L'appello di Amnesty contro la pena di morte

Amensty international ha condannato le due esecuzioni che hanno avuto luogo mercoledi 28 luglio in Giappone. Ogata Hidenori, 33 anni, e Shinozawa Kazuo, 59, sono stati impiccati nel centro di detenzione di Tokyo. Sono le prime due condanne a morte eseguite dal nuovo governo di Naoto Kan, insediatosi l'anno scorso, approvate dal ministro delle Giustizia, Keiko Chiba, che in passato si era detta contraria alla pena di morte. Dopo l'esecuzione il ministro Chiba ha annunciato di voler instituire un gruppo di lavoro sulla pena. Donna Guest, vicedirettrice del Programma Asia Pacifico di Amnesty ha dichiarato: "Il Giappone continua ad andare contro la tendenza internazionale verso l'abolizione ed ad applicare questa punizione crudele, disumana e degradante".
Le condanne a morte sono eseguite tramite impicaggione e in segreto. I detenuti vengono avvertiti solo la mattina stessa, e le famiglie solo dopo la loro morte. Amnesty chiede di commutare tutte le condanne a morte e l'introduzione di una moratoria formale sulle esecuzioni. Sono 107 i prigionieri in carcere in attesa della condanna.

giovedì 29 luglio 2010

Bambini a perdere

di Gianni Lannes

Ritratto italiano: 1.800 minori scomparsi nel nulla, 2 milioni di bimbi in stato di povertà, 500 mila costretti a lavorare, 50 mila obbligati a mendicare in un Paese dove si sprecano tonnellate di cibo. Sopravvivono senza genitori, accompagnati da adulti che li costringono quotidianamente a chiedere l’elemosina ai semafori. «In Italia spariscono mediamente ogni anno 1.800 minori, d’età compresa fra i 6 e i 14 anni»: rivelano le cifre ufficiali ma inedite del ministero dell’Interno. Non si ritrovano più e si ignora la loro fine. Gli inquirenti ipotizzano la riduzione in schiavitù e la tratta degli organi umani. Diamo altri numeri. “2 milioni di bambini sono in stato di povertà e 500 mila – fra i 10 e i 14 anni d’età – sono costretti a lavorare”. E ancora: “è in esponenziale diffusione il mercato della pedo-pornografia online e toccherebbero quota 1 milione i bambini e le bambine testimoni di abusi e maltrattamenti ai danni soprattutto di fratelli e madri”. Sono alcuni dei dati che emergono dal rapporto “I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia” realizzato da “Save the Children”. I bambini, in relazione alle altre fasce d’età (giovani e anziani), presentano l’incidenza più alta di povertà, pari al 17 per cento della popolazione infantile. Sul totale dei minori poveri 2 terzi vive nel Sud Italia dove è povero un bambino su 3, con la Sicilia a detenere il triste primato (il 41 per cento di bambini poveri). E dire che nello Stivale si sprecano annualmente 1,5 tonnellate di cibo, per un valore di 4 miliardi di euro: metà di quanto destiniamo agli aiuti internazionali. L’accattonaggio ha investito l’Europa e registra ora un notevole incremento nella Penisola, riconducibile ai flussi incontrollati di immigrazione clandestina. Il fenomeno coinvolge quasi sempre bambini stranieri appartenenti per la maggior parte alle comunità di nomadi Rom di origine slava. Seguono in misura minore, ma in forte crescita, quelli giunti da Romania, Marocco, Albania, Paesi dell’ex Urss. A differenza dei bambini Rom, per i quali questo sistema è parte integrante della propria cultura e metodo per contribuire al sostentamento della famiglia, i minori provenienti dall’Europa dell’Est sono pedine in mano alle organizzazioni criminali. L’impiego redditizio dei bambini in attività di accattonaggio rappresenta un forte incentivo per la tratta dei minori che è la peggior forma di riduzione in schiavitù. Secondo il VI Rapporto nazionale sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza, “i percorsi della tratta, sono principalmente due: quello gestito dalla malavita ucraina, le cui vittime passando per il confine con la Slovenia, arrivano da Ucraina, Russia, Moldavia, Bulgaria e Paesi Baltici; quello gestito dalla mafia albanese, le cui vittime partono dall’Albania e dai Paesi dell’Est per approdare nei porti di Bari e Brindisi”. In Italia sono almeno 50 mila i bambini fra i 2 e i 12 anni, costretti a mendicare. Solo nel Lazio, sono più di 8 mila i pargoli che chiedono l’elemosina per strada e che riescono a raccogliere, in una grande città, fino a 100 euro al giorno. Lo sfruttamento dei piccoli mendicanti si manifesta in maniera più consistente a Napoli, dove negli ultimi due decenni, a causa dei conflitti che hanno devastato i Balcani, è divenuta allarmante la presenza di bambini romeni provenienti dalla Romania orientale, Moldavia e soprattutto dalla città di Calarasi, situata al confine con la Bulgaria.

fonte: www.italiaterranostra.it

Le truppe segrete inviate dall’Italia: la sudditanza agli Stati Uniti


Nei vari materiali che si possono rintracciare fra quelli resi pubblici attraverso il sito “Wikileaks”- probabilmente a causa di una fuga di notizie voluta da una parte dell’intelligence Usa (1)- è possibile leggerne diversi riguardanti l’Italia e uno in particolare pare interessante per confermare la natura “antidemocratica” della gestione della politica estera sotto una democrazia, in special modo in riferimento alla coalizione nord atlantica (Nato) guidata dagli Usa.

In un documento classificato confidential e contraddistinto dall’acronimo “Noform” che significa che “non può essere comunicato a governi e persone non americane”, troviamo la pianificazione decisa nel 2007 dall’amministrazione Usa e il governo di centro-sinistra guidato da Romano Prodi di un aumento dello sforzo militare italiano in Afganistan. La cosa interessante è che già dal titolo del rapporto Usa si capisce che “bisogna lavorare con discrezione, ad un livello tecnico”, ossia in altre parole l’ambasciata Usa a Roma – fonte delle notizie secondo il documento – informa Washington che il premier Prodi è disposto ad aumentare la capacità militare all’Isaf, ma che può farlo soltanto segretamente senza dibattere la questione pubblicamente e nel Parlamento, perché in tal caso avrebbe trovato degli ostacoli…nella sovranità popolare! Citando il documento: a patto che la questione “non sia trattata pubblicamente ma solo a un livello tecnico” data “la sensibilità politica nazionale”. In particolare sono Gianni Bardini (all’epoca ministro plenipotenziario e responsabile per le problematiche di sicurezza e le questioni Nato della Direzione Generale Affari Politici Multilaterali e Diritti Umani [non c’è da stupirsi di niente con nomi così orwelliani che rendono palese a chi vuole capire il dominio globale NdR]) e il diplomatico Achille Amerio a spiegare nel testo che il governo Prodi sta già aumentando in maniera discreta le capacità militari in Afganistan e che comunque si sarebbero trovate modalità tecniche per rendere ancora più profondo tale obiettivo.

In definitiva quello che si evince è la classica prerogativa che gli Usa ricoprono sulla politica estera italiana (e in tutti gli Stati appartenenti alla Nato), per niente affatto sottoposta alla sovranità ed agli interessi della popolazione della Penisola e dell’Europa; le decisioni sull’utilizzo dei nostri soldati in scenari di guerra voluti dagli Stati Uniti per controllare la massa continentale eurasiatica, vengono semplicemente ordinate da Washington e messe in atto da un punto di vista tecnico, facendole così passare inosservate. Il Ministro degli Esteri del governo Prodi, Massimo D’Alema come i suoi colleghi precedenti e successivi sono semplici esecutori in un Paese a sovranità limitata come l’Italia (in cui sono presenti, ricordiamo più di cento basi militari controllate dagli Usa e che contengono un centinaio di bombe nucleari).

Non sono di certo novità, ma semplici conferme dell’ipocrisia della sovranità che si vorrebbe democratica, ma della quale viene proibito l’esercizio alla popolazione, per paura (giustificata) che questa possa non essere d’accordo con gli obiettivi di dominio globale degli Stati Uniti, e sia invece più interessata a difendere la libertà italiana, europea ed eurasiatica; conferma dell’inutilità odierna della distinzione fra “destra” e “sinistra” entrambe referenti di certi poteri atlantici; conferma infine della sudditanza del nostro Paese nei confronti del centro di potere residente a Washington.

Matteo Pistilli

Note

1) http://www.cpeurasia.eu/1079/qualche-dubbio-riguardo-wikileaks

Ogm, quando la burocrazia favorisce la contaminazione


Quello che sta accadendo nel silenzio dei media potrebbe essere la prima estesa contaminazione da ogm in Italia e invece di intervenired’urgenza, la Procura di Pordenone si prende un mese di tempo. La “Task Force OGM”, quindi, si rivolge “rispettosamente” direttamente al Presidente della Repubblica.

I campi OGM in Friuli, nel comune di Fanna (PD) e forse anche altrove, violano il Decreto Legislativo 24 aprile 2001, n.212, che prevede il rilascio di una specifica autorizzazione in assenza della quale è prevista la pena dell’arresto da sei mesi a tre anni o dell’ammenda fino a € 51.700. Tali disposizioni mirano a garantire i prodotti tradizionali e biologici dalla contaminazione con quelli transgenici e a evitare un danno all’ambiente. Dal 10 luglio un campo è stato identificato e posto sotto sequestro e sono stati prelevati dei campioni per verificare la presenza di mais OGM: questi test richiedono tre giorni di tempo, ma la Procura di Pordenone ha deciso di non fare niente fino ai primi di agosto, ovvero un tempo sufficiente a disperdere il polline.

È inaudito che il Procuratore di Pordenone, Antonio Delpino, abbia deciso di concedere un intero mese per la stesura della perizia - dichiarano i membri della Task Force OGM – se le analisi possono essere completate in pochi giorni. Si sta perdendo tempo prezioso: se si tratta di mais transgenico il campo deve essere distrutto prima della fioritura delle piante, che è imminente, per impedire un’estesa contaminazione da ogm“.

Sicuramente chi ha fatto queste analisi, denuncia la Task force, sa già con esattezza se le piante sono state geneticamente modificate oppure no. Se non si tratta di mais transgenico, bisogna annunciarlo subito per liberarci dal peso di questa minaccia. Se, invece, quelle piante sono geneticamente modificate, la Task Force OGM, e la normativa italiana, ne esige l’immediata distruzione. Adesso, non ad agosto, quando la violazione della norma sulla coltivazione di organismi geneticamente modificati renderà ormai incontrollabile la diffusione di polline e la contaminazione.

La Task Force, quindi, chiede rispettosamente al Presidente della Repubblica di fare tutto quanto in suo potere per segnalare alla Procura di Pordenone di procedere immediatamente agli accertamenti del caso in modo da poter scongiurare ogni ipotesi di contaminazione da piante transgeniche e in particolar modo per impedire che tale contaminazione risulti di fatto permessa da una incomprensibile dilazione dei tempi.

La “TASK FORCE per un’Italia libera da OGM” è sostenuta da: Acli, Adoc, Adusbef, Aiab, Amab, Campagna Amica, Cia, Città del Vino, Cna Alimentare, Codacons, Coldiretti, Crocevia, Fai, Federconsumatori, Ferderparchi, Focsiv, Fondazione Univerde, Greenaccord, Greenpeace, Lega Pesca, Legacoop Agroalimentare, Legambiente, Movimento difesa del cittadino, Slow Food, Unci, Vas, Wwf.

Fonte: AffariItaliani.it
Via: www.laboratorioantispecista.org