fonte: Peace Reporter
Duecentomila sfollati, 80 mila capi di bestiame morti nelle inondazioni, raccolti devastati, rischio epidemie: la cronaca di un disastro.
Duecentomila sfollati, 80 mila capi di bestiame morti nelle inondazioni, raccolti devastati, rischio epidemie: la cronaca di un disastro.
Prima la carestia, poi il diluvio ma il risultato è sempre lo stesso. In Niger si muore in silenzio, nella disperazione di chi è stato dimenticato. L'ufficio delle Nazioni Unite responsabile del coordinamento degli interventi umanitari (Ocha) venerdì scorso stimava intorno a duecentomila le persone sfollate a causa delle inondazioni, 90 mila delle quali solo nell'ultima settimana.
Emergenza nell'emergenza. E adesso il quadro è davvero drammatico. In Niger "ci sono almeno tre emergenze: la crescita esponenziale dell'insicurezza alimentare, quella nutrizionale - soprattutto per quanto riguarda i bambini con meno di cinque anni - e quella legata alla pastorizia con l'aumento della mortalità degli animali", ha detto John Holmes, Sottosegretario generale e Coordinatore delle attività di assistenza umanitaria degli Stati Uniti. E' un'emergenza nell'emergenza. Il Paese era già stato duramente colpito da una spaventosa crisi alimentare; l'anno scorso le piogge torrenziali avevano innescato una catena distruttiva:la devastazione dei raccolti si è tradotta in poco cibo, anche per gli animali, che quindi sono morti a migliaia, colpendo duramente un Paese la cui economia poggia ancora su agricoltura e allevamento. Poi è arrivata la carestia.
Ancora a metà agosto, il governo - che si è distinto positivamente nel panorama africano per la percentuale del budget statale dedicata al potenziamento dell'agricoltura - era impegnato nel contenimento dell'emergenza alimentare in un quadro che complessivamente era comunque spaventoso, con gli ospedali che registravano sei-settemila nuovi casi di bambini malnutriti ogni settimana. Metà dei circa 15 milioni di nigerini sono a rischio fame, il 60 per cento della popolazione vive con meno di un dollaro e un bambino su cinque muore prima di aver compiuto cinque anni. Le organizzazioni umanitarie erano al lavoro per distribuire aiuti: centri d'emergenza erano stati aperti in alcune delle regioni più colpite, come Tahoua e Zinder ma poi sono arrivate le piogge: settimane di precipitazioni intense da fine luglio che hanno distrutto i raccolti, demolito strutture e ucciso circa 80 mila capi di bestiame. Le strade sono impraticabili, regioni come Agadez (nord) e Diffa (sudest) sono completamente isolate e non hanno ancora ricevuto assistenza; se si pensa che il 45 per cento della popolazione vive ad almeno 10 chilometri dall'ospedale più vicino, si capisce quanto sia difficile gestire questa emergenza. Se già prima si era ad un passo dalla catastrofe, ora la situazione sembra fuori controllo.Una goccia nel mare. Si teme l'esplosione di epidemie, soprattutto tra i bambini malnutriti, il cui numero negli ultimi mesi è aumentato a dismisura, nonostante l'impegno delle agenzie umanitarie, il cui sforzo è titanico ma non regge di fronte all'entità del disastro. Eppure nei mercati di cibo ce n'è ma è troppo caro e rimane invenduto. Il governo nigerino ha già stanziato 200 mila dollari per l'acquisto di cibo dall'estero da far arrivare alla popolazione affamata e ha già distribuito 400 tonnellate di alimenti, ma si tratta di una goccia nel mare. Secondo le stime del World Food Programme delle Nazioni Unite, per far fronte al food gap (il cibo che serve per coprire i mesi che mancano al nuovo raccolto), servirebbero 215 mila tonnellate di cibo solo per i mesi tra agosto e dicembre e uno stanziamento da 213 milioni di dollari, cifra fissata per la gestione dell'emergenza nigerina. Sono stati raccolti però solo 90 milioni di dollari e questo ha costretto il Wfp a distribuire razioni solo al 40 per cento circa dei bisognosi. E adesso, che le piogge equatoriali cadono su un terreno già disastrato, si moltiplicano gli appelli per uno sforzo in più, da parte di tutti. Da parte della popolazione, alla quale si chiedere di reggere anche di fronte a quest'ennesimo dramma, da parte dei volontari e da parte dei donatori, perché aprano, e in fretta, i cordoni della borsa.
Alberto Tundo
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