Il grande incendio che da giorni interessa la Russia e che ora lambisce impianti nucleari e aree contaminate dalla “eredità “ di Chernobyl, dovrebbe indurre a una riflessione cittadini e istituzioni, sottoposte da mesi alla morsa della lobby del nucleare. Innanzitutto una banale osservazione relativa agli impropri paragoni tra gli incidenti nelle centrali termoelettriche o negli impianti chimici, che gli effetti prodotti da tali incidenti si fermano in un’area contenuta di territorio e interessano chi vive in queste limitate aree.
L’incidente nucleare interessa, invece, territori lontanissimi, varie generazioni e un evento come un incendio, un terremoto o un’alluvione può far riemergere il pericolo connesso all’eredità del nucleare. Il pericolo attuale è che gli incendi in Russia possano rimettere in atmosfera elementi radioattivi che si sono depositati nel suolo e nelle piante a seguito dell’incidente di Chernobyl. Ma quando è stato “grande” quell’incidente e quali altri effetti ha prodotto il nucleare sul pianeta? La radioattività totale liberata dal reattore, per il cesio 137 è stata 560 volte superiore (12 miliardi di miliardi di Becquerel; il Bq è l’attività radioattiva di una sorgente) a quella delle bombe di Hiroshima e Nagasaki e soltanto 6 volte superiore per lo iodio 131.
Le condizioni atmosferiche determinarono ricadute per il 70% in Bielorussia. Le restanti ricadute si suddivisero principalmente tra Ucraina, Russia e il resto dell’emisfero settentrionale. In Bielorussia 2,5 milioni di persone vivono oggi con una contaminazione radioattiva di 37.000 Bq per metro quadrato. Il rischio, invece, è misurato attraverso la dose efficace espresso in altra unità di misura che si chiama Sievert e che “pesa” la quantità di energia della radiazione depositata in un dato tessuto. Queste però sono medie ottenute dividendo la radioattività caduta su ogni singolo Paese per la sua superficie misurata in metri quadrati. Le ricadute però non sono omogenee e la tipologia di suolo può determinare molte differenze.
I residui radioattivi (radionuclidi) per esempio non sono assorbiti dall’asfalto delle città ma possono esser assorbiti dalle radici delle piante o sollevati dal vento su terreni polverosi. Il cesio 137 dimezza la propria attività dopo 30 anni e la riduce di mille volte dopo 300 anni e penetra nel suolo a un massimo di tre centimetri. Stante i dati ufficiali solo il 5% del’irradiazione di Chernobyl riguardò stronzio e plutonio (isotopi). Eventi come l’incendio in Russia ci obbligano a rispolverare la memoria e considerare l’eredità nucleare in maniera globale!
La radioattività diffusa dai test nucleari in atmosfera terminati 40 anni fa fu significativa. Stati Uniti, Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna fecero test nucleari per complessivi 428 megatoni ovvero l’equivalente di circa 22.000 bombe “tipo Hiroshima”. Su scala planetaria utilizzando il fattore d’induzione di neoplasie usato dal Comitato per la Protezione contro le Radiazioni Ionizzanti, si ottengono centinaia di migliaia di morti. Un tale rilevante numero di morti se dipendessero da azioni militari sarebbe un crimine che scompare se a determinarli è stato l’attività nucleare?
Siamo consapevoli che esiste un fondo di radioattività determinato dal flusso di radiazione cosmica, dalla presenza di elementi radioattivi nelle rocce e da quella intrinseca al corpo umano dovuta a carbonio,potassio ,torio e uranio (C 14,K40,Th 232 e U 238) ma proprio per questo e al netto di tutte le altre considerazioni di natura economica, industriale, di sicurezza e di proliferazione ci sembra una follia l’uso del nucleare per produrre una limitatissima parte di energia elettrica che incide per meno di un quinto sul bilancio energetico.
Nessun terrorismo psicologico o uso strumentale dell’incendio russo ma riflettere sui rischi banalizzati da lobby nostrane e politici superficiali serve a prepararsi con potenziate azioni preventive e di monitoraggio per eventuali rischi connessi a trasporti di radionuclidi in atmosfera.
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