sabato 1 maggio 2010

Lettera a Ipazia d'Alessandria




«Quando ti vedo mi prostro, davanti a te e alle tue parole,
vedendo la casa astrale della Vergine,
infatti verso il cielo è rivolto ogni tuo atto
Ipazia sacra, bellezza delle parole,
astro incontaminato della sapiente cultura».
(Pallade)
Cara Ipazia,
quando appresi per la prima volta la tua triste storia, mi incuriosii subito alla tua vicenda, tu donna come me, così lontana nel tempo, eppure così vicina al mio sentire. Mi sei apparsa come una splendida meteora in un periodo storico, non a caso definito “secoli bui” che ha racchiuso nella tua breve vita la parabola di un fulgido astro la cui luce ha brillato per poco anche se in modo splendido.
La meravigliosa Alessandria d’Egitto ti diede i natali e ti vide diventare un’illustre astronoma, matematica e filosofa, figlia di un altrettanto illustre padre, Teone, tu hai unito in un’unica persona bellezza, saggezza e compassione, tu che giovanissima sei stata l’erede del filosofo neoplatonico Plotino. La tua competenza nelle scienze matematiche e in filosofia è stata riconosciuta da tutti, ma è altrettanto vero che sei stata un punto di riferimento per la tua saggezza.
Mi è noto l’episodio in cui Oreste, prefetto della tua città, alla vigilia di un’importante decisione, si affidò a te per avere consigli e quello del tuo più fedele discepolo che in una sua lettera si rivolse con queste parole. “Detto questa lettera dal letto nel quale io giaccio. Possa tu riceverle stando in buona salute, o madre, sorella e maestra, mia benefattrice in tutto e per tutto, essere e nome quant’altri mai onorato!”
Credo proprio che tu fossi una maestra di saggezza e compassione.
Amavi stare tra la gente e istruire alla conoscenza tutti quelli che te lo chiedevano. Molte volte davanti alla tua casa, si riunivano persone di tutti i tipi per consigli o ammaestramenti.
Come una vera maestra non eri gelosa del tuo sapere, ma eri pronta a donarlo pur di allontanare l’ignoranza che è causa di invidia, gelosia e fanatismo.
Cara Ipazia concedimi di ripercorrere brevemente le vicende storiche che fanno da sfondo alla tua intensa vita, anche perché vivendo ora posso metterti al corrente di come e perché maturò il tuo assassinio.
Dopo l’Editto di Costantino nel 313 e.v., il Cristianesimo era diventato religione di stato. Potere politico e potere religioso si erano alleati per favorirsi a vicenda e poter governare sui sudditi. I vescovi, rappresentanti del Papa avevano così ottenuto un potere illimitato nelle città più importanti dell’impero.
Ciò accadeva anche nella splendida Alessandria d’Egitto, centro culturale tra i più importanti del mondo antico, con la sua famosa Biblioteca, in cui era custodito tutto lo scibile umano, sede dell’Accademia platonica.
Tu, cara Ipazia sei stata la fortunata testimone e la vivace promotrice e animatrice di quell’intensissima vita culturale della città, crocevia di diverse etnie, di varie forme di culti, di antiche conoscenze.
Per un certo periodo sembrò proprio che l’ignoranza fosse stata allontanata dal mondo.
Ma allora perché la tua morte così atroce? Che cosa era successo? Perché gli assassini rimasero impuniti?
Io credo, cara Ipazia, che la risposta sia in ciò che tu hai sempre avversato: il fanatismo e quello che lo genera. Purtroppo è accaduto che l’invidia di pochi si è unita all’ignoranza di molti, creando un’arma così potente che nulla hanno potuto il sapere e la saggezza, in un momento storico particolarmente favorevole.
Tu sai bene che l’invidia era rappresentata dal vescovo Cirillo, che mal sopportava la presenza di scuole filosofiche, della Biblioteca, ma soprattutto mal sopportava la libertà di pensiero, l’autonomia intellettuale.
Tu, Maestra, insegnavi ad entrare dentro di sé guardando un cielo stellato e mostravi, con rigore scientifico come procedere su questo cammino, senza bisogno della mediazione del potere ecclesiastico. E’ questa la risposta alle domande.
Nella sua cieca follia Cirillo si chiedeva: “Cosa ci fa tutta quella gente radunata presso la casa di Ipazia? Perché il prefetto lascia parlare pubblicamente o davanti a soli uomini quella donna?”
Eri diventata una minaccia per l’esercizio del suo potere assoluto. Ed ecco allora la soluzione: la tua morte.
Era facile indottrinare gente da poco e farli diventare dei fanatici: tra questi pare ci fosse un certo Pietro il Lettore, che con la sua masnada di uomini, dediti al saccheggio e alla violenza, spense in modo atroce la tua giovane vita.
Ahimè la tua morte coincise anche con l’inesorabile declino del sapere nella tua città, con la prevaricazione di una religione affermatasi con la forza e la violenza e sancita da un potere politico ormai in balia del volere del Papa. Gli amati libri dati alla fiamme, la Biblioteca e la Scuola chiusi per sempre!
Cirillo rimase impunito anzi venne acclamato difensor fidei e santificato.
La conoscenza, fatta di saggezza, fu obbligata a chiudersi nell’ambito di ristretti circoli di intellettuali, occultandosi tra le mura di muti palazzi patrizi e svelandosi a pochi eletti.
Cara Ipazia, grazie a costoro il tuo nome è giunto sino a noi sottraendosi all’oblio a cui lo avevano destinato, divenendo simbolo di libertà intellettuale messa al servizio della verità, della conoscenza e dell’umanità. Tu sei diventata bersaglio di coloro che, resi ciechi dall’ignoranza e dal potere, non hanno compreso e hanno preferito sbarazzarsi di qualcuno che insegnava che la libertà risiede nella conoscenza e nella dignità, che tu hai difeso fino alla morte.
Dopo di te altre donne hanno tentato di percorrere il tuo stesso cammino, di loro non si sa più nulla, molte probabilmente sono state vittime, forse meno illustri, dei tribunali ecclesiastici, altre sono state condannate a rimanere recluse nei conventi di clausura.
Il tempo nel quale io vivo è diverso da allora, la donna ha lottato per essere riconosciuta aventi pari dignità dell’uomo, è riuscita ad avere libero accesso alle università e alla conoscenza, prende parte a dibattiti, fa sentire la sua voce in tutti i campi del sapere, in una parola si è emancipata, ha preso coscienza di sé.
Ma è realmente questa la libertà? essa coincide con l’emancipazione?
Forse noi donne abbiamo più che mai necessità di riscoprire qualcos’altro che probabilmente si è perso dopo di te: la sacralità del nostro essere femmine, di essere la Madre nel suo triplice aspetto, ecco la dignità, ecco la libertà, ecco ciò che fece dire di te a Socrate Scolastico: «…accedeva in modo assennato anche al cospetto dei capi della città e non era motivo di vergogna per lei stare in mezzo agli uomini. Infatti per la sua straordinaria saggezza, tutti la rispettavano profondamente e provavano verso di lei un timore reverenziale……».
Chissà se quell’otto marzo 415, giorno della tua morte erano fiorite nei campi le mimose?.....
Con rispetto.




La fonte da cui è stata tratta non esiste più.

2 commenti:

  1. "...la libertà risiede nella conoscenza e nella dignità..." Bellissima lettera che restituisce ad Ipazia il suo vero valore: una donna libera dalle imposizioni della religione, libera dagli obblighi imposti alle donne del suo tempo. Una donna che, più che insegnare ai suoi allievi, amava distribuire il suo sapere al popolo in modo che potesse capire e non farsi ingabbiare in rigidi schemi e dettami prestabiliti. Un simbolo della libertà di pensiero e dell’indipendenza della donna, oltre che martire del paganesimo e in generale del dogmatismo fondamentalista. Una storia, quella di Ipazia, che dovrebbe far riflettere su come i dogmi in generale, di tipo religioso ma anche ideologico, siano stati troppe volte nella storia nemici della libertà di pensiero e della sete di conoscenza del genere umano, oltre che fonte di assurde discriminazioni del genere femminile. Grazie Rosa. Un abbraccio.

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  2. Hai ragione cara Gianna, dovrebbe far riflettere, soprattutto in questi tempi, su cosa sia la sapienza vera che non è nozionismo, ma conoscenza unita ad empatia, su cosa sia la spiritualità, che non è dogma e regola, ma capacità d'ascolto ed apertura alla voce dell'Universo. Dovrebbe indurci a pensare, ma quanti sono realmente disposti a farlo e quanti, invece, come il vescovo Cirillo sono prigionieri dei propri preconcetti, delle proprie paure, dei tremendi mostri dell'intolleranza e della xenofobia ... della misoginia. Grazie a te per il tuo commento, mi fa sempre piacere quando ne fai. Un abbraccio.

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