Perfino a Oslo, ancora una volta, un evento terroristico di grande portata si è dispiegato a ridosso di un’esercitazione di sicurezza che aveva ad oggetto proprio un grande attentato: la polizia di Oslo appena 48 ore prima delle stragi stava conducendo un massiccio wargame ubicato nei pressi della Operahuset, il Teatro dell’Opera della capitale norvegese. Le stragi di Oslo si mostrano subito con uno scenario pieno di piste contrastanti. A caldo, così come è accaduto per lo stragismo italiano e per le stragi del decennio post 11 settembre, si creano e si cancellano rivendicazioni e ipotesi che si rincorrono: dal presunto comunicato islamista fino all’ipotesi investigativa sulla pista interna. Rimane questo fatto – l’esercitazione - che in sé non basta ancora dimostrare nulla, ma che sarebbe sbagliato ignorare, dati i precedenti.
Come riferisce il quotidiano norvegese Aftenposten, nuclei della «polizia antiterrorismo hanno fatto esplodere delle cariche esplosive in un’esercitazione al centro di Oslo, a duecento metri dall’Opera, ma si sono dimenticati di avvisare il pubblico».
L’esercitazione, svoltasi mercoledì 20 luglio, ruotava intorno all’azione di unità anti-terrorismo che attaccavano un edificio in disuso ai margini del molo Bjørvika con bombe e armi da fuoco.
«Gli uomini si sono calati dal tetto e sono entrati dalla finestra appena esplosa, intanto che sparavano». L’efficacia scenica era tale che – riferisce Aftenposten, si udivano "scoppi violenti", sotto lo sguardo attonito degli spettatori del vicino Teatro dell’Opera.
Il video dell’esercitazione dà un’idea del grado di realismo della simulazione.
In casi precedenti, riferibili ad analoghe esercitazioni, abbiamo visto numerosissimi punti di contatto con gli eventi in corso, fino al punto di sovrapporsi con essi. È possibile ripercorrere molti di questi casi, che mostrano sbalorditive coincidenze con la tortuosa scena del delitto, regolarmente accompagnata dai giochi di ruolo messi in campo da interi apparati coperti legalmente.
Durante gli attentati di Londra del 7 luglio 2005, ad esempio, un'agenzia di sicurezza che si curava della metropolitana stava conducendo un’esercitazione con eventi terroristici simulati che dovevano svolgersi nei medesimi orari ed esattamente negli stessi luoghi in cui accaddero per davvero. Una sfida impossibile alla statistica, su cui né Scotland Yard né il giornalismo britannico – istituzioni regolarmente sopravvalutate - hanno provato a fare obiezioni di sorta.
Dobbiamo intanto chiederci a chi giovi il massacro nella tranquilla città scandinava. La Norvegia, sebbene abbia un peso demografico molto modesto (poco più degli abitanti del Piemonte distribuiti su un territorio più vasto dell’Italia), e sebbene appaia a uno sguardo superficiale come un Paese periferico, ha in realtà una fortissima proiezione geopolitica, presentandosi come un paese chiave della NATO in vista dell’imminente corsa all’Artico, un’area che si libera sempre più dei ghiacci e “scopre” immense risorse su cui stanno puntando le grandi potenze.
È inoltre un paese petrolifero di prima grandezza, che ha nei suoi forzieri sovrani un cumulo di risorse gestite finora con oculatezza e con un’attenzione costante alla coesione sociale legata al modello scandinavo, qualcosa che non piace agli avvoltoi della finanza internazionale. È infine un comitato di emanazione parlamentare norvegese ad assegnare il Nobel per la Pace: il fatto riflette una secolare vocazione delle classi dirigenti della Norvegia a partecipare attivamente nello scenario internazionale, come ad esempio con gli “accordi di Oslo” fra israeliani e palestinesi negli anni novanta del XX secolo, e ultimamente con qualche ripensamento rispetto all’impegno militare in Libia nonché con il possibile riconoscimento dell’indipendenza palestinese.
Mettendoci nei panni dei politici norvegesi, il messaggio degli attentati che ci arriva è chiaro: in quest’epoca di caos finanziario, di intensificazione delle guerre, di lotta più aspra per le risorse energetiche e minerali, non esistono porti franchi per la nostra tranquillità, né per le nostre casseforti piene, né per i nostri pozzi petroliferi non ancora esausti come quelli britannici, e saremo anche noi chiamati a schierarci dolorosamente, perché siamo lungo le linee di frattura dei poteri imperiali in lotta per sopravvivere. Non è stata fatta una strage in un giorno di punta, ma in un momento in cui i palazzi erano semivuoti. Furia omicida, sì, ma a suo modo molto contenuta, come se si dovesse economizzare e ottimizzare il messaggio, sufficientemente spietato, ma militarmente contenuto. Non c’è più nemmeno l’icona di Bin Laden a fare da schermo. Si potrà capire meglio il messaggio.
Mi ha fatto impressione perché non ho mai pensato a quel paese come possibile destinatario di attentati.
RispondiEliminaCiao Kylie, il quadro è globale e noi lo dimentichiamo troppo spesso, presi come siamo dalla nostra ottica di piccola provincia dell'impero e la logica folle che ha guidato gli attentati alle twin tower non è affatto sopita.
RispondiEliminaAncora una volta la domanda importante, fondamentale è "a chi giova"?
Ottimo articolo di Cabras che mette in campo un punto di vista non convenzionale ed allineato!
Un abbraccione e buon fine settimana cara ^__^
Namastè