martedì 9 agosto 2011

Il commissariamento e i complici


La BCE ha deciso di procedere all'acquisto di titoli del debito pubblico italiano e spagnolo. Questa decisione, che sarebbe stata impossibile fino a qualche mese fa, è stata resa realizzabile tramite l'introduzione di nuove regole nella governance europea, approvate recentemente dai Paesi dell'Euro. La discussione politica che si sviluppò nel periodo immediatamente precedente l'introduzione delle nuove norme, vide una divisione fra la Francia e Germania da una parte, e il resto d'Europa dall'altra. I due paesi con economia più forte cercarono di introdurre regole molto rigide, al fine di dare alla UE gli strumenti per determinare le politiche economiche degli stati membri. Gli Stati più deboli opposero una timida resistenza, e strapparono un compromesso che fu poi approvato da tutti.
In pratica ottennero che nonostante le amplissime possibilità di condizionamento da parte degli organismi comunitari, le competenze formali relative alle decisioni sulle politiche economiche nazionali restassero in carico ai governi degli stati membri.
Con il procedere della crisi, Francia e Germania ritornano all'attacco per cancellare quel minimo residuo di sovranità nazionale ancora appannaggio degli esecutivi degli Stati. L'acquisto dei titoli italiani e spagnoli da parte della Banca Europea non è un salvataggio, né tantomeno un aiuto o un favore fatto a Paesi in difficoltà. E' un ricatto.
E' oramai chiaro a tutti che la BCE chiede in cambio che i governi nazionali attuino le riforme indicate da Bruxelles (cioè volute da Francia e Germania), così come è evidente che l'esecutivo italiano è stato sostanzialmente commissariato.
Ma quali sono queste riforme? Cosa viene chiesto all'Italia? Quali sono gli obiettivi della UE? Si potrebbe pensare che l'Europa voglia che gli Stati in crisi garantiscano la solvibilità del debito. Il che è vero. E per far pagare i costi della crisi ai ceti medi e medio-bassi impongono durissimi tagli, privatizzazioni e svendite di patrimonio pubblico.
Ma tutto ciò ancora non basta. C'è un altro elemento che rende il futuro dei paesi come l'Italia estremamente cupo.
L'Unione Europea è nata mettendo insieme Stati con economie molto diverse e variegate, ed ora l'Euro fatica a tenere insieme Paesi con ampi differenziali di produttività. Gli Stati con l'economia più forte hanno bisogno di colmare questi differenziali, e per farlo utilizzano le nefaste ricette del liberismo. I Paesi mediterranei come l'Italia o la Grecia sono destinati ad un costante deperimento delle condizioni di lavoro. Tutti i diritti e le tutele che abbiamo conosciuto fino ad oggi vanno eliminati, in quanto ostacoli all'aumento della produttività.
Ecco perché Sarkozy e Merkel, tramite Trichet e Draghi, chiedono al governo italiano misure di riforma del lavoro, tra le quali figurano la facilitazione dei licenziamenti e il potenziamento dei contratti di secondo livello, che vuol dire svuotamento dell'efficacia dei Contratti Nazionali di Lavoro.
Tutto in nome della produttività [vedi qui].
Purtroppo questa disastrosa linea è stata già accettata anche da Susanna Camusso, leader della CGIL, come testimonia la firma in calce all'accordo interconfederale del 28 giugno, che depotenzia la contrattazione nazionale e riduce la democrazia sindacale, al fine di consentire alle aziende di imporre qualsiasi decisione finalizzata all'aumento della produttività dei lavoratori. Al momento la Camusso finge una timida opposizione ad ulteriori decisioni che impattino sul mondo del lavoro, strumentale a facilitare la caduta del governo Berlusconi. Una volta ottenuto un esecutivo bipartisan, sorretto anche dal centrosinistra, la CGIL lascerà i lavoratori italiani al fosco destino cui sono stati relegati dagli Stati forti che governano la UE.

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