Il 20 settembre l'Assemblea Onu discute dell'indipendenza per i palestinesi
Anche se ostenta freddezza, nel migliore dei casi, o irritazione, Israele il 20 settembre ci sarà. A rappresentarla, come nelle grandi occasioni, sarà lo stesso premier Benyamin Netanyahu. L'Assemblea Generale dell'Onu si aprirà a New York e il presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese Abu Mazen (Mahmud Abbas) formalizzerà la richiesta di riconoscimento e ammissione di uno Stato di Palestina.
Il simbolo della campagna palestinese, supportata da organizzazioni non governative e da attivisti di tutto il mondo, è una sedia. Sarebbe quel seggio all'Onu che è molto più di un oggetto di arredamento; il simbolo non dell'esistenza in vita di un'identità, ma di un diritto a viverla liberamente. I Palestinesi attendono questo momento dal 1948, quando venne proclamata l'indipendenza d'Israele. Da allora guerra, nel 1948, nel 1956, nel 1967, nel 1972. E ancora due intifada, un'occupazione, milioni di profughi, centinaia di migliaia di morti, un muro di pietra. Nessuno può credere davvero che basti una piccola sedia per riposarsi, per asciugare le lacrime e dimenticare tutto questo dolore.
Però da qualche parte bisogna pur cominciare. Sarebbe stato meglio che a rappresentare la Palestina ci fosse un presidente eletto in elezioni libere e trasparenti come quelle del 2006. Certo, Hamas potrebbe obiettare che la sua vittoria -democratica per davvero - ha ricevuto in premio dall'Occidente il boicottaggio, l'embargo a Gaza, due violente operazioni militari e la fame per la Striscia. Ma serebbe stato meglio. Come sarebbe stato meglio che Hamas e Fatah, dopo il riavvicinamento, avessero proseguito su questa strada creando un governo di unità nazionale. Ma sono anche tanti, troppi, i deputati di Hamas che marciscono nelle galere d'Israele senza aver commesso alcun crimine.
Però, per la prima volta, il Consiglio di Sicurezza potrebbe essere chiamato a pronunciarsi su una risoluzione dell'Assemblea. Poca cosa, diranno gli scettici, Molti tra loro sono palestinesi. Decenni di occupazione, in barba a centinaia di risoluzioni Onu, non possono che fiaccare chiunque. Ma gli Usa, perché di loro si tratta, saranno costretti a dire al mondo che l'Assemblea, con tutto il potere morale di cui è investita, non viene ascoltata. E chiede solo quello che il dirittoo internazionale sancisce dal 1948. Non c farà una bella figura.
Israele, sulla Palestina, non la fa mai una bella figura. Ribadendo la sua opposizione all'iniziativa palestinese, Netanyahu si è detto convinto che ''la pace possa passare solo attraverso il negoziato diretto e non essere imposta. So che Israele non ha un'uditorio favorevole nell'Assemblea Generale, ma ho deciso di andare non per ricevere applausi, quanto per dire la verità''. Che è quella di un'occupazione illegale, che si è arricchita negli ultimi giorni di training militari ai coloni che occupano illegalmente la Cisgiordania.
E poi, di quali negoziati parla Netanyahu? ''Se i palestinesi si rivolgeranno all'Onu per chiedere di essere ammessi come stato a questo foro per Israele ciò significherà la fine di tutti gli accordi conclusi con i palestinesi'', ha dichiarato il vice ministro degli esteri israeliano Danny Ayalon. Ammonimento che giunge dopo quello lanciato dal capo della diplomazia israeliana, Avigdor Lieberman, per il quale il passo palestinese avrà ''conseguenze gravi e dure''. Come se i Palestinesi, oggi, possono dire di aver mai ricevuto nulla dalla diplomazia. Gli Accordi di Oslo? L'allora leader Arafat ha fatto concessioni enormi, portando a casa un aborto di stato, ostaggio di un muro e dei check-point israeliani.
Una sedia non basta per riposarsi, per dimenticare tanto dolore. Ma l'Assemblea può dare un segnale forte, una scossa, ai finti negoziati dei tanti venditori di promesse. Un elenco nutrito, al quale buon ultimo si è unito il presidente Usa Barack Obama. La sua elezione è stata vista con timore dagli israeliani. Ma si erano sbagliati. L'ennesimo inquilino della Casa Bianca non è differente dagli altri. Ma che almeno lo sappiano tutti.
http://it.peacereporter.net/articolo/30490/Palestina%2C+il+giorno+pi%26ugrave%3B+lungo
Il simbolo della campagna palestinese, supportata da organizzazioni non governative e da attivisti di tutto il mondo, è una sedia. Sarebbe quel seggio all'Onu che è molto più di un oggetto di arredamento; il simbolo non dell'esistenza in vita di un'identità, ma di un diritto a viverla liberamente. I Palestinesi attendono questo momento dal 1948, quando venne proclamata l'indipendenza d'Israele. Da allora guerra, nel 1948, nel 1956, nel 1967, nel 1972. E ancora due intifada, un'occupazione, milioni di profughi, centinaia di migliaia di morti, un muro di pietra. Nessuno può credere davvero che basti una piccola sedia per riposarsi, per asciugare le lacrime e dimenticare tutto questo dolore.
Però da qualche parte bisogna pur cominciare. Sarebbe stato meglio che a rappresentare la Palestina ci fosse un presidente eletto in elezioni libere e trasparenti come quelle del 2006. Certo, Hamas potrebbe obiettare che la sua vittoria -democratica per davvero - ha ricevuto in premio dall'Occidente il boicottaggio, l'embargo a Gaza, due violente operazioni militari e la fame per la Striscia. Ma serebbe stato meglio. Come sarebbe stato meglio che Hamas e Fatah, dopo il riavvicinamento, avessero proseguito su questa strada creando un governo di unità nazionale. Ma sono anche tanti, troppi, i deputati di Hamas che marciscono nelle galere d'Israele senza aver commesso alcun crimine.
Però, per la prima volta, il Consiglio di Sicurezza potrebbe essere chiamato a pronunciarsi su una risoluzione dell'Assemblea. Poca cosa, diranno gli scettici, Molti tra loro sono palestinesi. Decenni di occupazione, in barba a centinaia di risoluzioni Onu, non possono che fiaccare chiunque. Ma gli Usa, perché di loro si tratta, saranno costretti a dire al mondo che l'Assemblea, con tutto il potere morale di cui è investita, non viene ascoltata. E chiede solo quello che il dirittoo internazionale sancisce dal 1948. Non c farà una bella figura.
Israele, sulla Palestina, non la fa mai una bella figura. Ribadendo la sua opposizione all'iniziativa palestinese, Netanyahu si è detto convinto che ''la pace possa passare solo attraverso il negoziato diretto e non essere imposta. So che Israele non ha un'uditorio favorevole nell'Assemblea Generale, ma ho deciso di andare non per ricevere applausi, quanto per dire la verità''. Che è quella di un'occupazione illegale, che si è arricchita negli ultimi giorni di training militari ai coloni che occupano illegalmente la Cisgiordania.
E poi, di quali negoziati parla Netanyahu? ''Se i palestinesi si rivolgeranno all'Onu per chiedere di essere ammessi come stato a questo foro per Israele ciò significherà la fine di tutti gli accordi conclusi con i palestinesi'', ha dichiarato il vice ministro degli esteri israeliano Danny Ayalon. Ammonimento che giunge dopo quello lanciato dal capo della diplomazia israeliana, Avigdor Lieberman, per il quale il passo palestinese avrà ''conseguenze gravi e dure''. Come se i Palestinesi, oggi, possono dire di aver mai ricevuto nulla dalla diplomazia. Gli Accordi di Oslo? L'allora leader Arafat ha fatto concessioni enormi, portando a casa un aborto di stato, ostaggio di un muro e dei check-point israeliani.
Una sedia non basta per riposarsi, per dimenticare tanto dolore. Ma l'Assemblea può dare un segnale forte, una scossa, ai finti negoziati dei tanti venditori di promesse. Un elenco nutrito, al quale buon ultimo si è unito il presidente Usa Barack Obama. La sua elezione è stata vista con timore dagli israeliani. Ma si erano sbagliati. L'ennesimo inquilino della Casa Bianca non è differente dagli altri. Ma che almeno lo sappiano tutti.
http://it.peacereporter.net/articolo/30490/Palestina%2C+il+giorno+pi%26ugrave%3B+lungo
Loschi figuri, i dirigenti israeliani!
RispondiEliminaCiao Adriano, ci sono parti di mondo dove intere generazioni non hanno mai conosciuto la pace, non riescono nemmeno ad immaginarsela.
RispondiEliminaIl potere degli uomini può essere molto stupido e crudele. La pace è anche questone di volontà.
Un abbraccio Namastè