da Asinus Novus
di Alessandra Colla
C’era del marcio, una volta, in Danimarca …
Il marcio c’è ancora, ma si è spostato da un luogo geografico-letterario a una categoria mentale che abbraccia non soltanto molti luoghi geografici ma intere dimensioni dell’essere.
Già, l’essere. Non pensiamo a Parmenide o ad Heidegger — qui di filosofia tocca farne poca, perché siamo già scivolati nel campo della psicopatologia. Pensiamo a Fromm, piuttosto, che denunciava l’esiziale dicotomia fra essere e avere sottolineando che anche la società, oltre all’individuo, può essere malata; e che, anzi, una società malata può guastare anche individui tendenzialmente sani.
Il marcio c’è ancora, ma si è spostato da un luogo geografico-letterario a una categoria mentale che abbraccia non soltanto molti luoghi geografici ma intere dimensioni dell’essere.
Già, l’essere. Non pensiamo a Parmenide o ad Heidegger — qui di filosofia tocca farne poca, perché siamo già scivolati nel campo della psicopatologia. Pensiamo a Fromm, piuttosto, che denunciava l’esiziale dicotomia fra essere e avere sottolineando che anche la società, oltre all’individuo, può essere malata; e che, anzi, una società malata può guastare anche individui tendenzialmente sani.
Chissà cosa direbbe oggi, Fromm, di fronte allo scandalo che
sono questi campionati europei di calcio. Scandalosi, proprio — per
tutti e in grazia di almeno due validi motivi che, a ben guardare, sono
soltanto due aspetti di uno stesso fenomeno.Il primo, meno appariscente, ci obbliga a fare i conti col passato: un
passato così nobile e antico da sembrare più mito che storia, e invece è
storia a così gran titolo da aver costituito per secoli un ineccepibile
sistema di datazione.
Era il tempo di Olimpia, la città greca in cui ogni quattro anni
convenivano gli atleti di tutta quanta l’Ellade a cimentarsi nelle più
svariate discipline; lo spirito agonistico che animava quegli atleti e
quel pubblico (oh quanto diversi dagli sportivi e dai tifosi di oggi)
era tale da far sospendere perfino le guerre al cospetto della sfida
leale e simmetrica fra quei ginnasti mossi soltanto dal desiderio di
mostrare la propria valentìa.
Oggi, invece (e tanto per restare in Italia), la sconcezza delle
calcio-scommesse è sotto gli occhi di tutti ed è cosa recentissima; non
c’è neanche bisogno di essere tifosi per indignarsi. L’idea stessa che
un gioco (“il gioco più bello del mondo”, come sospira certa retorica)
possa snaturarsi al punto di diventare una slot-machine su scala
planetaria è francamente ripugnante.
Così, anche soltanto il dubbio che questi campionati possano essere
lambiti dalla pratica truffaldina delle combines avvelena
irrimediabilmente il godimento di quello che dovrebbe essere (che è
stato) un momento di altissima tensione ideale — l’applicazione
esemplare del “vinca il migliore”.
Il secondo motivo, più massiccio e opaco, ha un nome — tornaconto.
Sappiamo tutti, ormai e purtroppo, che dal 2010 le strade di Kiev sono
impregnate del sangue di decine di migliaia di randagi (cani per la
grandissima parte, ma anche gatti), ammazzati nei modi più barbari per
consentire all’Ucraina di rifarsi il look in vista di un adeguamento
agli standard dei paesi cosiddetti civili. Si sono mobilitati
praticamente tutti, contro questo massacro orrendo e perpetrato con una
diligente ferocia che lascia sgomenti — sospetto che se Hannah Arendt
fosse ancora tra noi avrebbe da aggiungere qualcosa alle sue riflessioni
sulla banalità del male.
La protesta è stata generalizzata e trasversale: singoli, associazioni,
enti, europarlamentari perfino — il web ne è testimone. Ma nessuno, ai
piani alti di quella colossale e ingorda macchina da soldi che è
diventato il calcio, ha avuto il cuore o il fegato di prendere una
posizione decisa al riguardo. Non i dirigenti, non i giocatori, non i
giornalisti sportivi, non i molti prezzemoli dello spettacolo che
ostentano volentieri la loro fede (!!!) calcistica — e nemmeno i
tifosi. A parte qualche lodevole eccezione, da contare su assai poche
dita, nessuno dei molti frequentatori di tribune negli stadi, negli
studi e da casa ha sentito il bisogno di dire qualcosa sull’argomento.
Eppure la tragedia ucraina era nota da tempo, e in questo agghiacciante
villaggio globale che McLuhan non sarebbe riuscito a immaginare nemmeno
nei suoi incubi peggiori non è più possibile dire “non lo sapevo”.
Eppure, tutti questi blasonati campioni del non-c’ero-e-se-c’ero-dormivo
sono abitualmente lestissimi a mettere la loro preziosa faccia là dove
ci sia da pubblicizzare una salutare acqua minerale, una sfiziosa
merendina, una pia elemosina al Terzo mondo, una questua commossa per la
Santa Ricerca, un’imperdibile pay-tv — là dove ci sia, insomma qualcosa
da commercializzare.
Stavolta, invece, non si è mosso nessuno: e non c’è niente da stupirsi,
perché è tutto perfettamente logico e consequenziale. Il calcio, come
s’è detto, è diventato una macchina da soldi: vanta un indotto immenso
in termini di visibilità mediatica e fruibilità consumistica, e metterlo
in crisi significa inevitabilmente mettere in crisi l’indotto. Così,
tutti zitti. Va tutto bene. Le proteste, contenutissime, sono state
avanzate educatamente dai vertici quando la faccenda, essendo ormai
divenuta di dominio pubblico, non poteva più essere ignorata pena un
rilevante danno d’immagine.
A questo punto qualcuno — un’anima bella, Pangloss o Forrest Gump —
potrebbe azzardarsi a far notare che una società in cui perfino
un’attività di per sé disinteressata come lo sport privilegia i valori
economici a scapito di quelli morali ha qualcosa che non va.
E avrebbe ragione, se si parlasse in astratto. Ma qui non c’è niente di
astratto: questa non è Olimpia, s’è detto; e non è nemmeno Sparta, dove
la durezza d’animo e la spietatezza — così urtanti per noi estenuati
europei del XXI secolo — servivano fini superiori. Più terra terra, è
Occidente: oh sì. Alla grande.
È l’Occidente dell’apparire che prevale sull’essere, l’Occidente del
profitto ad ogni costo, del fine che giustifica ogni mezzo, della
reificazione di ogni vivente purché produca un utile. È l’Occidente
della morte di Dio, in cui la perdita di senso legittima ogni arbitrio e
costituisce la cifra del nostro tempo.
Ma se abbiamo potuto uccidere Dio, credete forse che esista qualcosa che
ci impedisca di uccidere un cane? Cani, gente! “Sono soltanto cani”. E
non si dice forse “ammazzare come un cane”? — a significare che quella
di un cane è una vita che non vale niente, anzi è una non-vita, è una
seccatura, uno sfrido biologico di cui disfarsi a proprio piacimento
come e quando si vuole.
È questo il pensiero sotteso alla nostra società malata, capace di
guastare qualsiasi individuo se soltanto abbassa la guardia e allenta i
pugni e si distrae un momento. La nostra società che si regge sullo
sterminio diuturno e sommerso di milioni di senzienti non umani, forte
della vecchia constatazione che se un morto è una tragedia, un milione
di morti è una statistica. Valeva per le vittime della guerra, può
valere a maggior ragione per gli animali che immoliamo quotidianamente a
milioni sull’altare putrido di innumerevoli bisogni indotti, nel nome
di una “realizzazione di sé” tanto più lontana quanto più materiale,
accecati da una foia sanguinaria che fa di Moloch e Jahvé una coppia di
patetici dilettanti.
Naturalmente, non è dei calciatori la responsabilità delle stragi di
Kiev; e non è neppure dei signori della UEFA, dei commissari tecnici o
dei commentatori. Però tutti costoro si sono rivelati parte integrante
del meccanismo distorto che regge la civiltà contemporanea e che ha
fagocitato anche il calcio facendone uno dei molti ingranaggi del
tritacarne planetario (sì, tritacarne: in senso proprio e non soltanto
metaforico).
Si può invertire la tendenza? Credo di sì. Non c’è meccanismo che non
possa essere messo in difficoltà da un granello di polvere, un sassolino
o un corpo estraneo. E quelli che non si riconoscono più — che non si
vogliono più riconoscere — in questa compagine socio-culturale
cominciano a essere numerosi, e cominciano a strutturarsi a vari
livelli.
Sono, a tutti gli effetti, corpi disobbedienti …
Siamo — corpi estranei.
letto su ComeDonChisciotte
Cani e gatti un altro nostro volto un volto di Dio
RispondiEliminaI calciatori si rifiutino di giocare l'evento ormai é il massacro lo sport un fantasma-
Egill
Non si rifiuteranno mai Egill, perchè ovviamente "Business is Business".... "lo spettacolo deve continuare", mille e mille frasi fatte per motivare una scelta d'opportunità...un'altra tacca nella vocazione umana per lo stragismo.
EliminaUn abbraccio.
Namastè
Condivido quasi tutte le affermazioni del post e in toto il messaggio. Dico "quasi tutte" perchè deve essere chiara una cosa: il calcio professionista non è uno sport ma un'industria dell'intrattenimento, esattamente come il cinema o la pornografia. Tutti coloro che ne fanno parte sono egualmente responsabili di non aver preso posizione quando il massacro di quelle povere creature veniva messo in atto. Non ci sono giustificazioni e, come ha scritto Egill, i calciatori dovrebbero smettere di giocare.... se avessero le palle, aggiungo io, e non sto parlando di quelle da prendere a calci.
RispondiEliminaDopo l'orrore resta l'ennesima profonda tristezza
Namastè, cara Rosa
V.
Appunto...se avessero le palle! Ma dubito, che marionette strapagate e viziate possano esserne fornite.
EliminaE l'assoluta, ingiustificabile vergogna ukraina dovrebbe, se fosse possibile, farci riflettere sull'assoluta vuotezza di questo inutile spettacolo.
Orrore e raccapriccio, sì!
...ed un pesantissimo senso di impotenza.
Buona serata Vess.
Namastè
Lo sport non può essere diverso dal resto ... è uno dei tanti specchi in cui ci riflettiamo ... se nel mondo esiste corruzione, inganno e sopraffazione anche nello sport ci saranno (basta pensare al doping) ... con tutte le ingiustizie che avvengono giornalmente ci dovremo fermare tutti domani mattina e infrangere tutti gli specchi che ci hanno creato.
RispondiEliminaSperiamo che corrisponda al vero ciò che dice alla fine l'autore del post ... attorno a me vedo solo rabbia e disperazione, solo sulla rete sembra che ci sia un pò di movimento (ben controllato però).
Namastè
Purtroppo no, sebbene io non sia esattamente una sportiva, nessuna delle attività umane si salva dalla generale debacle. Non si perde alcuna occasione per dimostrare tutta la barbarie che si continua a definire "progresso". Spero che l'ottimismo di molti sia giustificato ...e che davvero prima o dopo questo "orrido meccanismo" trovi il proprio granello di polvere.
EliminaCerto è che sino a quando si fonderà sullo sterminio di esseri senzienti, per apparenza o anche per procacciare il proprio cibo, nulla potrà davvero cambiare, sebbene si sia abituati a costruire grandi psudo-civiltà sullo sterminio.
Buona giornata, un abbraccio.
Namastè