Millenovecentonovantadue. Secondo la Corte d’appello di Palermo, che ha condannato tre giorni fa Marcello Dell’Utri a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa, questo è un anno che segna uno spartiacque nella storia personale del senatore del Pdl. L’anno però non è uno qualunque. È quello della morte di Falcone e Borsellino. «Negli anni delle stragi di mafia culminate con gli omicidi dei giudici Falcone e Borsellino ci fu qualcosa di molto simile ad una trattativa tra Stato e Cosa Nostra». Sono le considerazioni alle quali è giunto il presidente della Commissione parlamentare antimafia, Giuseppe Pisanu, che ha illustrato due giorni fa la sua relazione su «I grandi delitti e le stragi di mafia del 1992-93». «È ragionevole ipotizzare – ha detto – che nella stagione dei grandi delitti e delle stragi si sia verificata una convergenza di interessi tra Cosa Nostra, altre organizzazioni criminali, logge massoniche segrete, pezzi deviati delle istituzioni, mondo degli affari e della politica».
Ieri, la conferma. Tre dirigenti di polizia Vincenzo Ricciardi, Mario Bo e Salvatore La Barbera, sono indagati per calunnia aggravata dalla procura di Caltanissetta dell’ambito delle inchieste sulle stragi palermitane del ‘92 in cui furono uccisi Giovani Falcone, la moglie Francesca Morvillo, e tre agenti della polizia di scorta, e Paolo Borsellino e 4 agenti della polizia di scorta tra cui una donna.
I tre poliziotti, ora questore a Novara il primo e capo della squadra mobile di Trieste il secondo, facevano parte del gruppo speciale d’indagine «Falcone - Borsellino» che investigava solo sulle stragi di Capaci e via D’Amelio e che era diretto dall’ex capo della mobile poi questore di Palermo, Arnaldo La Barbera, morto per un male incurabile nel 2002 e il cui nome è stato trovato qualche mese fa sui libri paga del Sisde - il servizio segreto civile - per gli anni 1986 e 1987, proprio nei mesi precedenti al suo arrivo a Palermo.
I tre poliziotti sono indiziati di aver estorto le confessioni al falso pentito Vincenzo Scarantino «mediante minacce e pressioni psicologiche. In concorso con il dottor Arnaldo La Barbera, nonché con altri allo stato da individuare, con una pluralità di azioni e in esecuzione di un medesimo disegno criminoso». I magistrati stanno cercando di scoprire se, anche con l’influenza di personaggi dei servizi segreti, vi sia stata una regia per il depistaggio delle indagini sulle stragi. Tra gli indagati ci sarebbe anche Lorenzo Narracci, già collaboratore di Bruno Contrada, come funzionario del Sisde a Palermo, e tuttora in servizio all’Aisi. Riferendosi al funzionario, Pisanu ha riferito che: «Gaspare Spatuzza lo ha vagamente riconosciuto in fotografia come persona esterna a Cosa Nostra; mentre Massimo Ciancimino, testimone piuttosto discusso, lo ha indagato come accompagnatore del misterioso signor Franco o Carlo» che secondo il figlio dell’ex sindaco di Palermo avrebbe seguito Vito Ciancimino nel corso della «cosiddette trattativa tra Stato e Cosa Nostra».
La vicenda di Scarantino è emblematica: il killer si autoaccusò della strage del 19 luglio portando le investigazioni su una falsa pista che identificava i mandanti dell’eccidio di Via D’Amelio nella borgata della Guadagna. Fin dai giorni successivi all’arresto (settembre ‘92) i familiari di Scarantino, soprattutto le donne, negarono subito un coinvolgimento del congiunto accusando Arnaldo La Barbera di averlo picchiato costringendolo a dire «cose false».
E spostando l’attenzione degli inquirenti dal mandamento di Brancaccio, indicato oggi dal vero pentito Spatuzza e regno dei fratelli Graviano. I boss sospettati per anni di essere stati in contatto con Marcello Dell’Utri, già indagato insieme a Silvio Berlusconi come mandante esterno delle stragi dei primi anni Novanta.
Prima che tutto venisse archiviato.
fonte: www.terranews.it
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