L’esercito è schierato a Tunisi, e la “guerra del pane” continua anche in Algeria. Ma i movimenti di protesta scatenati dall’aumento dei beni di prima necessità non sono solo un problema del Nord Africa. Olivier de Schutter, relatore speciale delle Nazioni Unite per il diritto all’alimentazione ha detto che sono 80 i Paesi in situazione di deficit alimentare e che «oggi viviamo l’inizio di una crisi alimentare simile a quella del 2008».
Il ministero dell’Agricoltura del Cairo ha giocato d’anticipo e ha cominciato a importare carne dal Kenya e mucche dall’Etiopia. L’Egitto teme di essere il prossimo Paese a esplodere, dopo le violente proteste contro il rincaro dei generi alimentari che da giorni stanno insanguinando Algeria e Tunisia. Il timore è giustificato. Secondo la Fao, in Egitto il prezzo del cibo ha raggiunto un livello record lo scorso dicembre, e l’inflazione sul pane e i cereali è salita almeno del 20 per cento. Con la disoccupazione arrivata al 10 per cento, gli ingredienti perché la “guerra del pane” scoppi anche all’ombra delle piramidi ci sono tutti.
C’è una data di inizio, diventata simbolica, delle proteste che stanno infiammando il Nord Africa: il 17 dicembre in Tunisia il giovane Mohamed Bouazizi, in un atto di estrema protesta per la mancanza di lavoro e l’assenza di prospettive, si è dato fuoco nella città di Sidi Bouzid. La polizia gli aveva sequestrato la merce e il banchetto di ambulante perché esercitava abusivamente. Il suo gesto è stato la miccia per la manifestazioni di studenti e disoccupati. La sua morte, due settimane dopo, ha ridato vigore alle proteste, che nel frattempo si sono organizzate, diventando un vero e proprio movimento. Secondo i dati ufficiali del governo tunisino le vittime degli scontri nel fine settimana del 10 gennaio sarebbero 21, mentre Amnesty International parla di 23 vittime e la Federazione internazionale per i diritti umani di 35.
Quella che è stata chiamata “rivolta del pane” si diffonde a catena da un centro urbano all’altro, anche attraverso il tam tam dei social networks, come twitter a facebook. Dalla Tunisia all’Algeria. Il 4 gennaio nel quartiere popolare di Belouizdad ad Algeri gruppi di giovani affrontano le forze di polizia. A innescare la miccia anche è anche qui la decisione del governo di aumentare del 20-30% i prezzi dei beni alimentari di largo consumo, come il pane, l'olio e lo zucchero. Dopo la capitale gli scontri scoppiano anche in altri centri algerini, tanto che il ministro del commercio abolisce la tassa su pane e alimentari, ma il provvedimento basta a riportare la calma.
Le cause: L’aumento del prezzo del cibo è uno dei fattori scatenanti, anche se non l’unico, della rivolta in Nord Africa, che potrebbe essere la spia di un disagio più ampio. La Fao già a dicembre parlava di una «situazione allarmante» a livello internazionale, che rischia di travolgere soprattutto le economie dei Paesi emergenti. Un dato è certo: l’Indice dei prezzi alimentari (Ffp) - che misura l'andamento mensile dei prezzi di un paniere che include tra l’altro cereali, carne, zucchero, olio di semi - ha toccato a dicembre i massimi storici.
«La siccità in Russia e Kazakisthan accompagnata dalle inondazioni in Europa, Canada e Australia, associate a incertezza sulla produzione in Argentina stanno facendo aumentare i prezzi dei cereali» avvisava già a dicembre l’economista Fao Abdolreza Abbassian.
È in atto una nuova crisi alimentare, simile a quella scoppiata nel 2008, che fu causata fra l’altro da un’ondata speculativa sui beni di prima necessità? La Fao ci va cauta, ma nei suoi rapporti non riesce a essere rassicurante: lo stesso Abbassian ha dichiarato che è «una follia» aspettarsi che i prezzi raggiunti a dicembre rimangano un picco insuperabile.
Per Olivier de Schutter, relatore speciale delle Nazioni Unite per il diritto all’alimentazione, l’aumento dei prezzi dei beni alimentari mette a rischio circa 80 paesi nel mondo che attualmente sono in una situazione di deficit alimentare. Oggi, come nel 2008, sottolinea de Schutter, «non c’è un problema di penuria». Tuttavia, rileva, quando si accumulano informazioni come quelle legate ad incendi in Russia, alla canicola in Ucraina, a piogge troppo forti in Canada o altre notizie di questo tipo, spiega, «alcuni operatori di mercato preferiscono non vendere subito mentre gli acquirenti provano ad acquistare il più possibile: quando tutti fanno così i prezzi aumentano». A questo fenomeno, sottolinea, «si aggiunge l’aumento della produzione legata ai biocarburanti». Gli stock mondiali di cereali nel 2011, sottolinea de Schutter, «saranno pari a 427 milioni di tonnellate contro 489,8 nel 2009: questa perdita di circa 63 milioni di tonnellate per oltre i due terzi è imputabile agli Usa e all’Ue che puntano sui biocarburanti».
I rimedi: a rischio crisi alimentare sono soprattutto i paesi africani.«I paesi del Sahel», sottolinea de Schutter, «sono generalmente in una situazione di deficit alimentare perché producono spesso per l’esportazione e dipendono dal riso e dal grano per alimentarsi». L’impennata dei prezzi del grano del 2008, però, qualcosa ha insegnato. «L’agricoltura è tornata a essere una priorità», dice de Schutter, «ma i fondi promessi tardano. Sui 20 miliardi di dollari promessi al G8 dell’Aquila nell’aprile del 2009 solo il 20% è stato sbloccato. È molto deludente».
Emanuela Citterio
http://www.unimondo.org/Notizie/Non-solo-Tunisi.-80-Paesi-a-rischio-alimentare
Povera gente.... come vorrei che i ricchi diventassero poveri!!!
RispondiEliminaCiao Antonella...
RispondiElimina...o almeno che i poveri fossero meno poveri e che la ricchezza fosse equamente ridistribuita!
Un abbraccio
Namastè