(Le donne di Bukavu - Foto: Saamaya)
fonte: www.unimondo.org
È stata la marcia della ribellione e della protesta, ma anche la marcia della denuncia, quella di migliaia di donne congolesi scese il 17 ottobre in piazza a Bukavu contro i gruppi armati di ribelli, autori di numerosi stupri di massa. Ad organizzare la manifestazione è stato il Movimento Femminista Internazionale (Mmf), associazione che ha sede in Brasile e che si batte per i diritti delle donne, a conclusione di una serie di convegni e dibattiti che hanno caratterizzato la settimana di sensibilizzazione su pace, smilitarizzazione, violenza, lavoro e autonomia economica delle donne.
Tra le circa 1700 delegate, almeno 200 provenivano da altri 43 Paesi non solo africani e in testa al corteo c’era Olive Lembe Kabila, moglie dell’attuale presidente congolese Joseph Kabila. Per le strade sono scese assieme alla first lady centinaia di ragazze e madri, arrivate soprattutto dal Sud Kivu, la più tormentata regione della Repubblica Democratica del Congo RdC della quale il Governo di Kinshasa ancora non riesce a prendere il totale controllo, lasciando la popolazione civile esposta alle violenze delle milizie, retaggio di una guerra mai definitivamente conclusa.
Tra la folla si vedevano una moltitudine di striscioni e scritte come: “Il riscatto passa attraverso il rispetto delle donne”, "No allo stupro come arma di guerra", "No al terrorismo sessuale" e "Potere alle donne e alle ragazze". “Venire qui era importante – ha detto Miriam Nobre, responsabile della marcia ed esponente della Mmf - perché la violenza contro le donne è ancora usata in modo sistematico come arma di guerra [...] Sono anni che cerchiamo di farci sentire e oggi abbiamo l’impressione che finalmente la comunità internazionale cominci a interessarsi veramente ai nostri problemi. Bisogna combattere contro l’impunità, bisogna che gli autori degli stupri siano condannati. Solo ciò permetterà alle donne violentate di riottenere la loro dignità”.
Un'inchiesta condotta dal Fondo Onu per la popolazione (Unfpa) ancora nel 2006 su metà dei centri sanitari del RdC aveva individuato 50 mila casi di stupro, 25 mila dei quali in Sud Kivu. I responsabili sono indistintamente militari, poliziotti, ribelli, banditi... Stupri come “arma di guerra”, ma anche come frutto della violenza cieca e fine a se stessa. Secondo i rapporti di Amnesty International e delle Nazioni Unite solo nel 2009 e solo nell'est della RdC, oltre 15.000 donne sono state stuprate da uomini appartenenti a milizie ribelli, ma anche da soldati dell'esercito regolare. Un altro recente studio, sempre delle Nazioni Unite, ne denuncia almeno altri trecento nei primi mesi del 2010.
Purtroppo “niente di nuovo sul fronte congolese”, verrebbe da dire. Il dottor Denis Mukwege dirige il principale ospedale della regione da una decina di anni e di casi ne ha visti moltissimi. “Ci sono troppi interessi in questa regione - commenta amareggiato - e l'interesse per l'uomo viene dopo gli interessi materiali. La violenza, specialmente quella contro le donne - continua Mukwege -, ha assunto una dimensione e una gravità inaudite. Non parliamo più solo di stupri, ma di vere e proprie torture. In alcuni villaggi tutte le donne sono state violentate, rapite, ridotte a schiave sessuali, contagiate dall'Aids”, un trauma per tutta la comunità, che provoca la distruzione della struttura e della coesione sociale.
Tutto questo però non ha fermato le donne di Bukavu che con coraggio hanno fatto sentire la loro voce alla comunità internazionale. Per padre Giulio Albanese questo è stato un segnale forte. “Una cosa è certa: in Africa il futuro è nelle mani delle donne. Come rilevava il sociologo francese Emmanuel Todd in L’enfance du monde (1984), in quasi tutte le società africane esiste una forte componente matrilineare, che può essere temporaneamente repressa sotto l’influenza dell’Islam o di altre ideologie, ma che poi finisce sempre per riaffiorare. Ed è proprio lei, la donna africana - secondo Jacques Giri, africanista di fama internazionale – prima degli uomini, prima della scuola, prima della radio, del cinema o della televisione, che formerà l’Africa di domani”.
Ma non solo donne. Come ha affermato recentemente Aidos anche gli uomini più giovani sono sottoposti, loro malgrado, a sevizie. Marina Mancinelli dell'UNFPA - fondo delle Nazioni Unite sulla popolazione – nel presentare il Rapporto 2010 lancia l'allarme sul fenomeno della violenza sessuale anche contro uomini e ragazzi nei conflitti armati. Ciò ''ha conseguenze gravissime sulla stabilità delle comunità nella fase della pacificazione, perché spesso provoca nei soggetti colpiti depressione o propensione alla violenza''. Un uomo angosciato in fuga dalla RdC, la cui testimonianza è raccolta nel Rapporto 2010 UNFPA, ha spiegato a un operatore umanitario impegnato con i rifugiati in Uganda che non riusciva più a sopportare di stare a guardare impotente mentre altri attorno a lui subivano abusi brutali. In Liberia, ad esempio, si calcola che almeno il 30% degli uomini potrebbe aver subito violenze negli anni del caos politico e della guerra civile.
Il Refugee Law Project della prestigiosa Makerere University ha documentato questi abusi attraverso le storie dei rifugiati interni dell'Uganda e dei rifugiati provenienti dalla regione dei Grandi Laghi, in particolare dalla RdC. Un testimone descrive gli abusi sessuali subiti da parte di ''molti'' soldati non identificati, appartenenti a una delle fazioni armate in guerra nella RdC. Particolarmente agghiacciante la spiegazione del comportamento dei suoi aggressori: ''Noi non valevamo niente - afferma. - Ci prendevano al posto delle donne. Ci hanno detto: adesso vi dimostriamo che siete tutti delle donnicciole. Non siete uomini come noi''.
Lo stesso rapporto conferma ciò che Unimondo aveva timidamente ipotizzato pochi giorni fa: “Quando le donne hanno accesso agli stessi diritti e alle stesse opportunità degli uomini, sono meno propense ai conflitti armati e possono guidare la ricostruzione rimotivando le loro società”. [A.G.]
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