In questa Italia che sul versante dell’immigrazione si caratterizza per l’avvento del reato di clandestinità e per la stipula del trattato italolibico che intende proteggere la frontiera mediterranea con i respingimenti indiscriminati in mare, si tende a nascondere talune di quelle realtà efficaci ed edificanti che tanto avrebbero da insegnare agli sterili pregiudizi della destra.
In quella straordinaria terra di contraddizioni, slanci e arresti che è la Calabria, non distante da Rosarno, che ha scelto di essere ricordata per la deportazione dei braccianti extracomunitari, si erge, fisicamente dalla cima di un cucuzzolo e moralmente dall’alto della sua recente esperienza di integrazione, Riace. Un paesino che, destinato ad un lento abbandono demografico, è ora risorto grazie alla volontà del Sindaco Mimmo Lucano di aderire al «Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati» (Sprar) che ha permesso l’accoglienza di profughi dall’Iraq e dalla Siria; curdi, afghani, eritrei, somali, serbi rom che rimpiazzano i riacesi emigrati a loro volta verso il mondo.
L’esperienza di Riace, nata il 1° luglio 1998 quando un barcone con trecento profughi approdò sulle spiagge del suo territorio, è stata già narrata dal regista Wim Wendres nel documentario “Il volo” con Ben Gazzarra nella parte del Sindaco perché ha qualcosa di veramente esaltante il programma di reinsediamento dei rifugiati che stanno ripopolando Riace facendo riaprire le scuole, ristrutturare le case, riscoprire le antiche tradizioni artigianali.
Tra queste si è particolarmente distinto il laboratorio di Pina Sgrò direttrice della cooperativa “Il borgo e il cielo”, che insieme alle donne del paese ha recuperato e rilanciato l’attività tradizionale femminile tipica di questi luoghi: la tessitura della ginestra. La pianta più povera e resistente del nostro Appennino, il «fiore del deserto» di Leopardi, a Riace è tornato così ad essere occasione di lavoro e futuro, nelle stanze di un laboratorio multietnico, dove si macerano i fustelli traendone un filo resistentissimo, perfetto per tessuti d’arredo ed abiti.
All’iniziativa diretta da Pina Sgrò è andata lo scorso 4 ottobre 2010 la massima onorificenza della quinta edizione del premio “Testimone di pace” adottato dal Comune di Ovada, in Piemonte.
Insignito dell’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica fin dalla prima edizione, il Premio Testimone di Pace ha ottenuto la prestigiosa adesione del Presidente della Repubblica accompagnata da speciale medaglia presidenziale. Ha ottenuto inoltre il patrocinio di Genova Città dei Diritti ed è organizzato dal Comune di Ovada, dal Centro Pace Rachel Corrie, dall’Associazione Articolo 21 e dalla trasmissione radiofonica Fahrenheit (RAI Radio 3), con il sostegno della Regione Piemonte, della Provincia di Alessandria e della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria.
«Si può fare. Dare nuova vita ad un borgo destinato al declino, partendo dalla tradizione e accogliendo chi giunge nel nostro Paese in cerca di un destino migliore. Creare un laboratorio artigianale che unisce l’esperienza più antica e consolidata con il desiderio di lavoro e serenità delle giovani fuggite dalla guerra. Questo dimostra l’esperienza di Pina Sgrò. Un esempio per chi è chiamato a governare, anche nelle piccole realtà locali, le sfide della globalizzazione» ha commentato Sabrina Caneva, vicesindaco e Assessore alla Pace del Comune di Ovada.
La vivacità di questi piccoli centri sul fronte dell’integrazione trova anche sponda in quelli più grandi.
Sul finire dello scorso settembre, Roma è stata sede di un’altra esperienza positiva accogliendo il dibattito intitolato “Emergenze di identità” organizzato dall’Associazione ComunicAzioni sul tema "migranti, donne e artisti" con il patrocinio della Provincia di Roma e del Municipio XI in collaborazione, tra gli altri, con le Associazioni A Buon Diritto, Migrare e Cento Autori, oltre al sostegno dell’Università Roma Tre, dell’Istituto di Studi Orientali de La Sapienza ed al CNA.
Si sono confrontati per la prima volta giornalisti, registi, docenti, esponenti della società civile sui temi dell’immigrazione, dell’integrazione, delle donne e degli artisti quali vittime di un medesimo carnefice a forma di tenaglia: da un parte il pensiero razionale e dall’altra il pensiero religioso, entrambi impegnati in una volontà negazionista, come ha affermato Pino Di Maula, secondo cui la tesi di fondo dell’iniziativa è che nella migrazione non c’è solo uno spostamento nello spazio, ma un movimento di identità così come, nelle donne che si emancipano da casalinghe, non c’è solo un bisogno di soldi, ma la ricerca di una nuova identità. Allo stesso modo gli artisti, fuori dal ciclo produttivo, sanno entrare nell’irrazionale interpretando il senso più vero e profondo dell’identità umana. Ecco dunque l’emergere di nuove identità che, anziché trovare accoglienza e tutela, trovano tentativi di occultamento o di sopportazione quando non di aggressione come molti film indicati da Massimo D’Orzi hanno evidenziato.
Non possiamo che auspicare il ripetersi di iniziative che, come quelle appena indicate, esaltino le esperienze positive dell’integrazione e fungano da esempio per quegli altri comuni italiani che vogliano aprirsi alla globalizzazione, magari mettendo a disposizione degli immigrati, con una innovativa riforma, le tantissime terre abbandonate, i numerosi casali fatiscenti, le innumerevoli stalle in disuso e cadenti.
Sul fronte dell’integrazione, qualcosa si muove.
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