Report: bonifiche fantasma e pesci ripuliti dal catrame per essere venduti. Sui fondali davanti a Genova giacciono ancora cinquantamila tonnellate di greggio. Che non fermano i pescatori
di CATERINA PASOLINI
ROMA - Altro che Louisiana, la marea nera di petrolio abita qui. Davanti alle coste tra Genova e Savona più di 50mila tonnellate di greggio giacciono sui fondali. Dimenticate da chi avrebbe dovuto bonificare la zona, inquinano l'acqua, intossicano e ricoprono di una melma grigiastra i pesci che si ammalano di cancro. Solidificato dal tempo fino ad apparire come massi lunari, il petrolio affolla le reti dei pescatori liguri nonostante vadano a gettarle lontano dalla zona off limits. Eppure, secondo le autorità, qui non dovrebbe esserci traccia del più grande disastro ecologico del Mediterraneo. Quello della superpetroliera Haven, inabissatasi davanti ad Arenzano con 144mila tonnellate di greggio dopo un esplosione che provocò la morte di cinque marinari l'11 aprile del 1991.
Da allora sono passati quasi vent'anni ma gli effetti di incuria o disattenzione, burocrazia o superficialità che denuncia Report in un documentario di Sigfrido Ranucci in onda questa sera, sono evidenti tra quei pesci morenti incatramati dai fondali. Un disastro senza colpevoli visto che la compagnia greco-cipriota è uscita assolta dopo aver addossato le responsabilità al capitano, morto nell'incidente. Un disastro che continua nell'indifferenza, nonostante ricercatori, pagati dallo Stato, abbiamo messo in allerta governo e ministeri della gravità della situazione.
Ma andiamo con ordine. Bastano pochi numeri a raccontare questa storia italiana. All'indomani dell'incidente, gli esperti stimano il danno ecologico in duemila miliardi di lire. L'Italia ne riceve 117 come risarcimento che decide di impiegare così: 32 per bonificare il mare e 60 ai Comuni del litorale come risarcimento. In realtà, di miliardi ne sono stati spesi solo 16 (circa 8 milioni di euro) ma per bonificare parte della Haven - dopo che il governo Berlusconi li aveva affidati nel 2005 alla Protezione civile - certificando poi che le acque erano pulite. Così non era, evidentemente, ma tanto fa e così gli altri 8 milioni di euro destinati a disinquinare il mare - e attribuiti di nuovo alla Protezione civile nel 2009 - sono stati impiegati per mettere in sicurezza la Stoppani, un'azienda che aveva inquinato di cromo e rame le acque, e in parte per la mobilità dei lavoratori.
Il petrolio sul fondo del mare sembra non interessare, dalla riva non si vede, sulla superficie dell'acqua neanche. Tanto che i 60 miliardi che vanno a risarcire i Comuni vengono impiegati per rifare la passeggiata a mare di Arenzano, mettere a posto le fogne o la zona dell'ex ferrovia. Eppure gli esperti lo hanno detto più volte nel corso degli anni: manca una mappa dei fondali per capire dove è finito il catrame, c'è rischio per il mare, per la popolazione. Nel 1995, a quattro anni dal disastro della Haven, ad esempio, i ricercatori dell'Istituto per la ricerca applicata al mare, incaricati dal ministero dell'Ambiente di preparare un piano per la bonifica, si calano con un batiscafo fino a 700 metri. E vedono distese interminabili di catrame, pesci negli anfratti di bitume.
"Il problema è che i residui degli idrocarburi sono capaci di indurre cancro. Abbiamo trovato pesci che vivono a stretto contatto col fondo e notato come una specie in particolare, mostrasse sintomi, segni di tumore al fegato". Reazioni? "Si è deciso di fare finta di nulla, come se il problema non esistesse", racconta Ezio Amato, allora responsabile scientifico del governo per la bonifica Haven.
Da allora nulla è cambiato, i pescatori nelle loro reti trovano pezzi di catrame come massi, pesce ricoperto di greggio che devono ripulire con l'olio se vogliono venderlo ma dalla Protezione civile e dal presidenza del Consiglio, dicono a Report, considerano chiusa la vicenda. Solo il ministero dell'Ambiente si dice pronto a raccogliere segnalazioni di inquinamento, "come se non avesse mai visto la relazione dei suoi stessi studiosi 15 anni fa". Ma il peggio, dice Ranucci, è che la storia della Louisiana potrebbe ripetersi in Italia visto come vengono presentate le domande per trivellazioni in cerca di greggio: da società con sedi fantasma, senza andare sui posti, senza neppure prendere in considerazione che dove si vuole cercare gas o petrolio c'è un vulcano in attività.
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