mercoledì 15 dicembre 2010

Usa, la natura dei conflitti

L'ambiente irrompe negli studi strategici. Ma ecologia fa rima con energia.
di Gabriele Battaglia
per: PeaceReporter

Si chiama "natural security", è una nuova branca degli studi strategici che a Washington va per la maggiore. Niente di nuovo, volendo: si tratta di capire quali siano le grandi questioni "naturali" che possono provocare delle guerre. In realtà è almeno dal tempo del ratto delle Sabine che combattiamo per procacciarci risorse limitate. E' questo anche il fine dell'economia: garantirsi la sopravvivenza in un contesto di scarsità, ovvero competere.

Tuttavia, il nuovo ramo della national security di cui i think-tank vicini al Pentagono si occupano sempre più ha a che fare con alcuni ambiti di studio molto ben delineati: energia, minerali, acqua, terra, cambiamento climatico e biodiversità. Dietro alla scelta tematica, c'è un'ipotesi precisa: il ventunesimo secolo non sarà caratterizzato dalla competizione per la crescita economica, bensì dall'effetto potenzialmente distruttivo di molteplici scarsità.


Il New York Times ha delineato cinque tra i principali scenari.
La crescita della Cina - uno spettro si aggira per i salotti Usa - significa per esempio tensioni incentrate su petrolio, terre rare, aree oceaniche ricche di pesce oppure da controllare per ragioni commerciali o per esplorarne i fondali.
La conquista degli abissi riguarda anche l'Artico, dove le grandi potenze stanno già sgomitando per garantirsi il diritto a trivellare i le profondità marine.
In Africa orientale, invece, i cambiamenti climatici destabilizzano ulteriormente le società povere e provocano conflitti per terre arabili, acqua, petrolio. Se poi ci trasferiamo nel delta del Niger, l'inquinamento, oltre l'onnipresente petrolio, complica conflitti già preesistenti.
Infine c'è la deforestazione in Amazzonia e altrove, cioè il problema di come impedire che i Paesi emergenti distruggano il proprio ecosistema - con ricadute però di interesse globale - per garantirsi crescita e fuoriuscita dalla povertà per il maggior numero possibile di persone.

Alcuni conflitti sono direttamente connessi alla scarsità naturale, altri ne sono una conseguenza indiretta.
Torniamo al Corno d'Africa:  che nesso c'è tra risorse limitate, pirateria somala e, quindi, controllo delle rotte e dei commerci internazionali?
Compito dei nuovi studi di "natural security" è proprio rispondere a domande di questo tipo. Si tratta insomma di prevedere dove e come scoppierà un conflitto "naturale" e, se possibile, giocare d'anticipo.
Se per esempio pensiamo al prolungato diluvio che l'estate scorsa ha afflitto il Pakistan, la mente corre ai continui allarmi che i media lanciavano sulle possibili conseguenze politiche, mentre la rete jihadista si rivelava più efficiente del governo nel portare aiuti alle popolazioni afflitte.

La "sicurezza naturale" è, in ottica Usa, la sicurezza nazionale declinata in termini naturali. Il Center for a New American Security (Cnas) è il principale think tank che se ne occupa. Sul suo sito compare in bella vista un'equazione:
National Security+Natural Resources=Natural Security.
Il nuovo campo di studi nasce di fatto con il passaggio dall'amministrazione Bush a quella Obama, cioè con l'ammissione che il global warming, l'emergenza ecologica, esiste.
E dietro le emergenze ambientali fa capolino il tema che sta veramente a cuore: l'energia.
"Qualsiasi soluzione per l'insicurezza energetica del Paese riguarderà probabilmente acqua, minerali non combustibili e il modo di utilizzare i terreni; cambiamento climatico e biodiversità sono preoccupazioni trasversali, con grandi conseguenze sulla vulnerabilità delle risorse. Senza un approccio integrato a livello nazionale, che tiene insieme tutte le sfide alla sicurezza naturale, gli Stati Uniti corrono il rischio di scambiare una dipendenza con un'altra e di peggiorare le conseguenze" (da Sharon Burke, "Natural Security", paper, giugno 2009).

link http://it.peacereporter.net/articolo/25803/Usa%2C+la+natura+dei+conflitti

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