da: PeaceReporter
Il 16 settembre scorso Ayabaca, Huancabamba, Jaén e San Ignacio si sono autoproclamate zone libere da attività mineraria, in un paese in cui 21 milioni di ettari sono stati dati in concessione a imprese minerarie
Scritto per noi da
Alessia Marucci
Dichiarare una zona libera da attività mineraria in Perù? Sarebbe come proclamare una zona libera da corruzione in Italia, da xenofobia in Europa, da violazioni dei diritti umani in tutto il mondo. Eppure, quattro province del nord del Perù lo hanno fatto. Il 16 settembre scorso Ayabaca, Huancabamba, Jaén e San Ignacio si sono autoproclamate 'zone libere da attività mineraria' (Zlm).
Il boom del settore minerario. Il settore estrattivo vive il suo momento di maggiore espansione nella storia del paese: l'ultimo Rapporto dell'Osservatorio sui Conflitti Minerari in Perù dice che 21 milioni di ettari di territorio sono stati dati in concessione a imprese minerarie, il 16,73% del territorio nazionale. Se al conteggio includiamo i lotti petroliferi e per l'estrazione di gas naturale, i risultati sono allarmanti: il 48,6 percento dell'Amazzonia peruviana è già stata ceduta e secondo le previsioni la percentuale potrebbe crescere fino al 72 nei prossimi anni.
L'attività mineraria è una delle cause principali dei conflitti sociali in Perù: la maggior parte delle concessioni si ubica nelle terre delle comunità contadine della zona andina che, anno dopo anno, assistono alla svendita dei loro territori. Dal 2006 al 2010 il numero delle concessioni in tutto il paese è raddoppiato.
Il governo peruviano non ha saputo risolvere i cosiddetti conflitti 'socio-ambientali' e continua ad assegnare concessioni senza rispettare il diritto dei popoli indigeni a essere consultati (previsto dalla Convenzione 169 della Oil, ratificata dallo stato peruviano).
L'ultimo in termini di tempo è il conflitto esploso nella provincia di Áncash in seguito al quale il ministero per l'Energia e le Attività Minerarie ha annullato il permesso ambientale assegnato all'impresa Chancadora Cantauro per lo sviluppo del progetto minerario Huambo. Gli abitanti della zona protestavano da giorni per l'impatto ambientale che tale attività avrebbe provocato, per i rischi di contaminazione alla laguna Conococha e all'area circostante, cordone ombelicale fisico con altre lagune, fiumi e torrenti che alimentano tre regioni (Ancash, Lima e La Libertad). Durante la settimana di proteste che ha paralizzato tutta la regione di Huaraz, gli scontri con la Polizia Nazionale hanno originato un morto e vari feriti.
Anche in queste terre esiste la volontà di dichiarare zone libere da attività minerarie; anche qui gli abitanti delle comunità non erano stati consultati, come prevede la normativa nazionale ed internazionale.
Tambogrande ha scritto la prima pagina di una lunga storia di resistenza che vede da un lato lo Stato e le imprese estrattive e dall'altro gli abitanti di comunità contadine e di comunità indigene. Nel giugno del 2002 si realizzava in Tambogrande la prima consulta popolare i cui risultati sancirono il rifiuto alle attività minerarie nel territorio, caratterizzato per altro dall'esportazione di prodotti agricoli. Era la prima volta nella storia dei popoli dell'America Latina che una popolazione locale utilizzava la tecnica del voto libero e segreto per pronunciarsi rispetto all'insediamento di una miniera nel suo territorio. E con successo: l'impresa canadese se n'è andata. Da allora la ricetta è stata ripetuta in altre comunità in tutta l'America Latina, con alcuni casi molto noti come la consulta di Sipacapa in Guatemala, Esquel in Argentina e Murindó in Colombia.
Nel settembre del 2007 nella stessa regione di Tambogrande, Piura, tre distretti andini hanno oragnizzato una consulta per pronunciarsi al riguardo dell'attività mineraria nelle loro zone. Qualche anno prima, un'impresa inglese - attualmente in mano al gruppo cinese Zijin - entrò nelle terre comunitarie senza nessun tipo di licenza o permesso sociale per iniziare la fase di esplorazione del progetto minerario Río Blanco. Da allora la popolazione delle quattro province minacciate dallo sviluppo del mega-progetto e da altre concessioni minerarie che coprono il 25 percento del territorio, lotta per salvaguardare il proprio modello di sviluppo, basato sull'agricoltura e l'allevamento. Ma c'è di più. Il progetto Río Blanco si ubica in un contesto di straordinaria bellezza naturale e fondamentale per l'approvvigionamento di acqua nelle quattro province. La zona è caratterizzata dall'ecosistema del paramo e delle foresta nebulare, ricchi in biodiversità e regolatori di acqua sia per il versante pacifico che atlantico. Inoltre il territorio forma parte del bacino del fiume Marañon, uno dei principali affluenti del Rio delle Amazzoni. I risultati della consulta furono chiari, con più del 94 percento di voti contro la attività mineraria, ma l'impresa si trova ancora nella zona, a pochissimi chilometri dal confine con l'Ecuador.
La popolazione locale si è organizzata nel Fronte per lo Sviluppo Sostenibile della Frontiera Nord del Perù ed ha sofferto e soffre tutt'oggi di una serie di violazioni ai diritti umani: nonostante la presenza illegale dell'impresa, la polizia ha adottato un comportamento violento nei confronti dei contadini uniti nella difesa del territorio. Finora si contano sette morti, 28 persone torturate e 30 denunciate per terrorismo. Nell'agosto del 2005, durante una manifestazione di protesta che portava fino alla sede dell'impresa, vennero sequestrate e torturate 28 persone e venne ucciso un leader contadino. Membri della Polizia Nazionale Peruviana, dell'impresa di sicurezza Forza, e funzionari dell'allora impresa Majaz sono indagati nel processo che inizierà a Londra con l'accusa di violazione dei diritti umani. Al riguardo, nell'ottobre del 2009, il Tribunale Superiore di Londra ha emesso un'ordinanza in cui si congelavano 5 milioni di sterline di Monterrico (proprietaria del progetto all'epoca dei fatti) per garantire l'eventuale indennizzo per violazioni dei diritti umani.
Dopo vari tentativi, il processo di dialogo con lo Stato si è arenato; l'ultima proposta del governo è di militarizzare la zona. Non ci sono segni di distensione, al contrario. La politica di criminalizzazione della protesta sociale e di boicottaggio alla proposta di legge di consulta ai popoli indigeni non lascia intravedere buone prospettive.
È così che i cittadini di queste quattro province hanno deciso di far un altro passo, più in là della consulta, delle manifestazioni e delle denunce. Un'azione pacifica e soprattutto simbolica, in questo Perù che giorno dopo giorno svende pezzi di terra con gli abitanti che ci vivono da sempre: dichiararsi come zona libera da attività mineraria. Sono decine le comunità, i movimenti di base, le cooperative del caffè biologico ad aver firmato la dichiarazione.
Anche il supporto internazionale non ha tardato ad arrivare: è stata organizzata una campagna che appoggia l'iniziativa ed invita la società civile europea a firmare una petizione. Più di un centinaio tra associazioni, ong ed istituzioni hanno appoggiato l'iniziativa.
In aprile ci saranno le elezioni politiche nazionali e Tierra y Libertad, il partito del sacerdote Marco Arana, potrebbe essere il solo ad appoggiare la proposta di zone libere da attività minerarie ed il solo a portare avanti la proposta di legge di consulta ai popoli indigeni come fu approvata lo scorso maggio. Tutti gli altri candidati giocano dalla parte delle imprese estrattive, senza scrupoli e senza imparare le lezioni dal passato. Keiko Fujimori candidata per Fuerza 2011, è la figlia di Alberto, ex dittatore attualmente in carcere per corruzione e crimini contro l'umanità che, agli inizi degli anni Novanta, aveva dato il via ad una serie di riforme legislative che favorivano l'entrata di imprese straniere per l'estrazione di materie prime. Keiko, una dei candidati favoriti secondo i sondaggi, non prenderà una strada diversa da quella del padre.
http://it.peacereporter.net/articolo/25873/Indigeni+contro+multinazionali.+Una+speranza+dal+nord+del+Per%26ugrave%3B
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