martedì 14 dicembre 2010

Ricordando Zaher, due anni dopo

Riccardo Bottazzo (Terra Nordest)
INIZIATIVE. L’11 dicembre 2008 un ragazzo afghano di 12 anni moriva nel porto di Venezia. Da richiedente asilo era senza diritti.

Due anni fa un ragazzino afghano moriva stritolato dalle ruote di un camion in manovra nella banchina del porto di Venezia. Si chiamava Zaher Rezai, aveva appena 12 anni e scriveva poesie. “Non so ancora quale sogno mi riserverà il destino, ma promettimi o dio, che non lascerai che finisca la mia primavera” troveremo scritto nel suo taccuino sporco del suo sangue. Zaher era sbarcato da una di quelle grandi navi traghetto che percorrono incessantemente la rotta Patrasso – Venezia. Aveva attraversato l’Adriatico nascosto in uno dei tanti container, così come fanno tutti gli altri profughi che sbarcano nel porto lagunare.
Come sia riuscito a scappare dal’Afghanistan, come, ancora bambino, abbia attraversato la Turchia e la Grecia sino a riuscire ad imbarcarsi nel porto di Patrasso, è una storia che non conosceremo mai perché è morta con lui, l’11 dicembre di due anni fa, sotto le ruote di quel camion, mentre cercava di eludere i controlli della polizia di frontiera.
Polizia che, Zaher lo sapeva bene, lo avrebbe rispedito in Grecia nonostante la legge italiana e le normative internazionali dichiarino l’obbligatorietà di tutelare i richiedenti asilo, soprattutto se minorenni. Una pratica illegittima, già condannata dal tribunale europeo che ha accolto a tale proposito un ricorso presentato dalla rete di associazioni Tuttiidirittiumanipertutti, ma che continua ad essere la norma nei porti italiani.

Nonostante Zaher e altri che come lui hanno perso la vita alle nostre frontiere, i porti continuano ad essere zone franche dove i diritti non contano e la discrezionalità della polizia di frontiera è elevata a legge. Gli operatori per i rifugiati e i mediatori culturali  sono tenuti fuori della zona portuale per non meglio precisate “questioni di sicurezza” e l’autorità portuale si rifiuta sistematicamente di fornire dati sul numero di migranti che puntualmente vengono rispediti in Grecia senza che i servizi competenti possano valutare la legittimità delle loro richieste di accoglienza. Neppure le donne incinte e i bambini, Zaher non è stato un caso, subiscono un trattamento migliore.

«Rimandare indietro un richiedente asilo è una pratica illegale – ha dichiarato Alessandra Sciurba della rete Tuttiidirittiumanipertutti -. Illegale e omicida, perché in Grecia il diritto d’asilo non esiste: i migranti vengono barbaramente deportati in Turchia e poi nei paesi di origine. Oppure uccisi come è successo solo poche settimane a un altro afghano di 25 anni sulla strada di Patrasso. Zaher non è morto per caso. Il sistema di controllo che lo ha ucciso continua a funzionare ogni giorno annientando i diritti di migliaia di persone. Ricordare lui significa continuare a lottare anche per tutti gli altri che dalle frontiere dell’Adriatico e da quelle del Sud Italia vengono respinti verso la violenza o la morte e abbandonati nelle mani dei criminali».

Per ricordare Zaher e quanti come lui hanno perso la vita nel tentativo di vedere riconosciuto il loro diritto di asilo, la Rete ha deposto una lapide davanti al porto di Venezia. Davanti, perché l’autorità portuale non ha neppure concesso il permesso di depositarla nella strada dove è stato ucciso. «In ricordo di Zaher – si legge - ragazzo e poeta, fuggito dalla guerra, ucciso a una frontiera che sognava di pace».

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